Reggio. Bombe, “tragediatori” e famiglie: ecco chi sono i parenti mafiosi di Tommasina Cotroneo

Tommasina Cotroneo, presidente della sezione penale Gip-Gup del Tribunale di Reggio, è tra le colonne dell’Anm ed è stata a lungo agguerrita delegata di Unicost, il gruppo centrista. Una delle favorite del famigerato Luca Palamara, finita nel tritacarne delle chat con grande clamore mediatico.

Quando Tommasina Cotroneo, oggi capo dei gip reggini, puntava alla promozione, due rivali la screditarono presso il procuratore generale Dino Petralia, oggi capo del Dap dopo le dimissioni di Basentini: «Ha cugini mafiosi», dicevano le rivali. E lei invocò Luca Palamara, naturalmente: «Qui tanti hanno amici nelle cosche. Aiutami, stratega». Capirai che stratega!

Ecco quanto scriveva Claudio Cordova su “Il Dispaccio”. “… In tanti avevano interlocuzioni. Talvolta irrilevanti – il pm antimafia Stefano Musolino, per esempio, parla di partite di calcetto anche se usa il termine “comandante” – ma altre assai più significative.

Rapporto strettissimo, quello con il giudice reggino Tommasina Cotroneo. La donna chiama Palamara “orsetto”, “orsacchiotto” o “pupazzo” e, più volte, gli scrive “ti adoro”. Lo scambio di messaggi è fitto. Addirittura, Cotroneo scrive a Palamara: “Ricorda una cosa: io senza te non sono niente”. E, ancora: “Io per te mi farei uccidere”. E, ovviamente, si parla di posti da occupare: “Ascoltami bene. C’è il posto di presidente sezione palmi penale per il quale concorrono solo due persone: Petrone, Md (Magistratura democratica, ndr), e Bandiera, simpatizzante verdi. Gerardis (presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, ndr) e i suoi fedeli vorrebbero Gea (Bandiera, ndr). Md vuole Petrone. Io voglio quest’ultimo. Il suo profilo è eccellente è magistrato superiore alla media di moltissimo oltre che persona a me cara. Non prendere impegni con Campagna e simili”.

Cotroneo interpella Palamara anche circa le polemiche scaturite da alcune sue parentele, che, queste le sue paure, ne avrebbero potuto bloccare il percorso all’interno della magistratura: “Luca ricorda che la questione della incompatibilità ambientale è stata archiviata dal CSM ed in allora Gerardis ha scritto una nota sulla mia integrità morale e sul fatto che mai ho creato problemi all’ufficio. Ricorda anche che ho fatto tutte le cosche di ‘ndrangheta e tutti i più grossi processi di mafia. 13 anni al riesame 5 al Gup distrettuale e 4 in corte anche presiedendo maxi. Non si tratta di prossimi congiunti peraltro ma cugini con cui non ho rapporti da 20 anni”.

Pesanti i commenti che Cotroneo fa sulla collega Kate Tassone, ma anche diversi i riferimenti a Olga Tarzia e alla componente di Area (quella considerata più di sinistra): “Petralia mi ha convocata per avvertirmi che ha comunicato al CSM perché doveva la vicenda sull’altro mio cugino, il secondo di cui ti avevo parlato. Dicendomi che incontestabile la mia condotta era la seconda vicenda di parentela che doveva comunicare”. Fatti vecchi, dice Cotroneo. Già comunicati e già superati, a suo dire. Il nocciolo della questione è la nomina a presidente di Sezione. Diversi gli sfoghi di Tommasina Cotroneo, che rivendica il proprio lavoro e minimizza capacità e impegno degli altri: “Vedi che Petralia è un vigliacco e se sente fiuto di CSM, mente Gerardis è vigliacco e ipocrita”. Il giudice usa parole molto offensive nei confronti dell’allora procuratore facente funzioni Gaetano Paci. “Ci temono, ma non hanno fatto bene i conti” scrive Palamara, il quale si immedesima nel cavaliere che salva la principessa dalle grinfie dei maligni: “Questa volta gli faccio male te lo prometto”. E, ancora, “guai a chi ti tocca”. Tra un “tesoro” e l’altro, alla fine Palamara scrive “Strada spianata”. Un happy ending come nelle favole con gli orsetti…”. 

Alla fine, Tommasina ha stracciato la rivale ed ha vinto la battaglia ma il mistero sulle sue parentele pericolose è rimasto tutto. C’è chi dice che questi cugini mafiosi siano della piana di Gioia Tauro, c’è chi dice addirittura che il cugino ingombrante possa essere della dinastia dei Tegano ma non ci sono certezze nonostante queste vicende siano in ballo ormai da anni. Omertà? E chi lo sa… Fatto sta che in una città dove custodire un segreto è impossibile, neanche i giornalisti più sgamati si azzardano a scrivere qualche ipotesi. Nulla di nulla.

Anzi, per essere più precisi, la giudice Tommasina Cotroneo appena qualche mese fa, ad agosto per la precisione, è balzata alla ribalta delle cronache per aver denunciato un’intimidazione “mafiosa” per avere ricevuto un proiettile esploso e una foto con una croce. Con la solita “giaculatoria” delle solidarietà…

Ritorniamo allora sulla strada maestra del libro-inchiesta “Porto Franco” e stavolta facciamo, insieme a Francesco Forgione, i nomi e i cognomi dei parenti mafiosi della signora Cotroneo che nessuno “osa” scrivere o pronunciare. Nella narrazione siamo arrivati alle motivazioni che hanno spinto il boss Nino Lo Giudice, dopo l’arresto del fratello Luciano, a mettere due bombe, una davanti alla Procura generale e una davanti casa del Pg Di Landro.

BOMBE, “TRAGEDIATORI” E FAMIGLIE: ECCO CHI SONO I PARENTI MAFIOSI DI TOMMASINA COTRONEO 

Al di là della rilevanza penale dei fatti riguardanti i rapporti dei Lo Giudice con alcuni magistrati, quello che è emerso è comunque un grumo di relazioni poco chiare e per molti aspetti inquietanti: rapporti con Servizi segreti, strani traffici telefonici con schede riservate e utenze utilizzate per comunicare con i Lo Giudice e i loro intermediari, incontri segreti. Insomma, partiti dagli attentati, siamo finiti ancora una volta nella terra di nessuno.

Quello che invece è chiaro è il motivo che ha portato a far esplodere quelle bombe e dare il via a quella che appariva come una strategia della tensione: il tritolo era per chi aveva messo in discussione un equilibrio nel quale a Reggio, fino a quel momento e all’arrivo degli stranieri, si potevano avere più parti in commedia.

Quanto alle dichiarazioni dei “pentiti”, che una ben orchestrata campagna di una parte della stampa calabrese si è subito affrettata a definire “tragediatori”, il Gip di Catanzaro ha dichiarato credibili sia quelle di Antonino Lo Giudice che quelle di Consolato Villani. Ha escluso invece che le bombe fossero dirette al Procuratore Di Landro per la sua azione a capo della Procura generale.

Le bombe, oltre che di tritolo, erano cariche di messaggi. In molti, nella Reggio dei misteri. dovevano e sapevano leggerli: magistrati, avvocati, politici, spioni. In questo, sì, erano parte di una strategia della tensione. E tensioni da qualche anno Reggio cominciava a viverne troppe. Per alcuni sarebbe stato meglio un ritorno al passato, quando il “sistema” funzionava, tutti erano garantiti, e anche quelli che volevano fare i convegni contro la ‘ndrangheta se li potevano fare e loro, avvocati, pubblici ministeri e giudici, vi avrebbero partecipato in rappresentanza delle Istituzioni dello Stato.

Serviva serenità, lo aveva capito anche il Procuratore Di Landro, che nell’estate del 2010, dopo la seconda bomba aveva sentito il bisogno di mandare un messaggio di pacificazione alla città e al Palazzo di giustizia. In una intervista rilasciata alla Gazzetta del Sud, aveva affermato che avrebbe fatto di tutto per “ritornare al clima di serenità del passato”. Nel Palazzo di giustizia ce ne sarebbe stato bisogno più che altrove.

Del resto, per il Procuratore generale il Tribunale di Reggio è un po’ una seconda casa. Senza metafore. Per esempio, sua figlia Francesca Di Landro è giudice nello stesso Tribunale di Reggio. E per una sorta di “equilibrio delle parti”, suo marito, Attilio Cotroneo, fa l’avvocato. Non un avvocato così, di quelli che fanno le cause per sconfinamento di aree demaniali, come diciamo qui da noi. No, l’avvocato Cotroneo è il principale esperto di assicurazioni e materie finanziarie, e praticamente monopolizza l’intero settore.

La sorella dell’avvocato Cotroneo, Tommasina, invece, fa il Gip, sempre al Tribunale di Reggio. Lo stesso Tribunale dove la cognata, Francesca Di Landro, fa il giudice e il padre di questa il Procuratore generale. Per l’amor di Dio, gli uffici sono diversi e conflitti d’interesse, ovviamente, non ne esistono.

Ma c’è sempre un “ma” che, da queste parti, cambia il senso delle cose. E il ma, come in tutte le cose calabresi, anche nel finale di questa storia riguarda la famiglia. Il padre del Gip Tommasina Cotroneo e dell’avvocato Attilio, quindi il suocero della giudice Di Landro, era il fratello di Domenico Cotroneo. Cioè del capo del locale di ‘ndrangheta del Comune di San Roberto. Quindi sono nipoti del capomafia.

Sarà un caso, o una svista, o esistevano ragioni in punto di diritto, ma molti si erano chiesti perché, quando scattò l’operazione “Meta”, con decine e decine di arresti, il Gip aveva ratificato gran parte degli ordini di custodia cautelare richiesti dalla Procura, ma il nome di Domenico Cotroneo compariva tra quelli rimasti liberi. Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla famiglia, la mamma del Gip e dell’avvocato Cotroneo – Tommasina e Attilio – e quindi anche suocera della giudice Di Landro, è Silvana Tripodi.

Silvana ha una sorella, Mariagrazia, che è sposata con un signore che si chiama Antonino Crudo. Il loro figlio, Michele, quindi il cugino della Gip, dell’avvocato e della giudice Di Landro, è sposato con la figlia di Giovanni Tegano, il capomafia della famiglia di Archi, arrestato nel 2008. Da quel giorno era diventato lui, il cugino delle giudici, il reggente della famiglia Tegano. Fino al 20 settembre del 2010, quando anche per lui sono scattate le manette.

A Reggio questi intrecci sono cose che conoscono tutti o forse nessuno. In ogni caso nessuno ne parla né ci ha mai trovato niente di strano. E questo è solo un piccolo spaccato della realtà nel Palazzo di giustizia della Città dello Stretto. Certo, nel giudicare il lavoro delle singole persone e dei singoli magistrati non ci possiamo fare condizionare dai loro legami familiari. Ma nessuno ci può convincere che qui, in Calabria, nella terra della “famiglia” o delle “famiglie”, sia giusto e normale continuare ad andare avanti così.