Reggio, il sistema Scimone per il riciclaggio. Il ruolo delle “cartiere”

L’operazione “Energie Pulite”, condotta dalla Dda di Reggio Calabria, aveva portato al sequestro di un patrimonio di 50 milioni di euro nei confronti degli imprenditori Antonio Scimone, Pietro Canale e Antonino Mordà. Il 14 aprile 2021 si era registrato un ulteriore sequestro http://www.iacchite.blog/reggio-i-lussi-della-ndrangheta-sequestrati-orologi-di-lusso-e-un-anello-in-pietre-preziose-a-imprenditore-dei-clan/ e proprio oggi si è avuta notizia di un nuovo provvedimento di confisca di beni per un valore complessivo di 15 milioni nei confronti di Scimone (http://www.iacchite.blog/reggio-imprenditore-riciclava-il-denaro-dei-clan-sequestro-beni-per-15-milioni-di-euro/).

L’operazione “Energie Pulite” è la diretta conseguenza di “Martingala”. Si tratta di una importante doppia operazione delle Dda di Firenze e Reggio di tre anni fa, che aveva consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero. Ma veniamo senz’altro ai dettagli di questa organizzazione specializzata in riciclaggio di denaro sporco.

Gli elementi di vertice dell’organizzazione già allora erano stati identificati in Antonio Scimone (principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali), in Antonio Barbaro, Bruno Nirta ed il figlio di quest’ultimo Giuseppe Nirta. E in un’altra operazione, denominata “Waterfront”, era stato portato a termine un maxisequestro da 200 milioni effettuato dalla Dda di Reggio contro altri 4 imprenditori vicini ai maggiori clan.

Il ruolo delle “cartiere”

L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie. Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) e dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente trasferite nel Regno Unito e cessate.

Tutto ciò era funzionale ad evitare accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Le fittizie operazioni hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi. Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale.

Gran parte di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”. Le approfondite indagini finanziarie portate a termine dagli uomini della DIA hanno consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle operazioni fittizie, Antonio Scimone ed i suoi sodali riuscivano a far transitare dai conti delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di euro al mese.

Questo vorticoso giro di denaro aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici a società di comodo, oppure sui conti di società estere. Da detti conti il denaro veniva successivamente prelevato e riportato in contanti in Italia. L’organizzazione ha dimostrato anche una notevole capacità di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici. Ciò è avvenuto con varie modalità, ad esempio con la predisposizione di contratti di Joint Venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”: tali strumenti contrattuali venivano sviati dalle loro cause tipiche; nelle mani di Scimone diventavano flessibili strumenti funzionali all’esigenza di drenare, in modo apparentemente lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici.

L’attività posta in essere dalla DIA, sviluppatasi anche grazie all’approfondimento investigativo di oltre un centinaio di Segnalazioni di Operazioni Finanziarie Sospette, pervenute anche da FIU (Unità di Informazione Finanziaria) estere, ha interessato, tra l’altro, dinamiche criminali estrinsecatesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione promossa e capeggiata dallo Scimone. Fra questi, si evidenzia la posizione di Pietro Canale, (socio di maggioranza ed amministratore della Canale Srl, società molto attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino Morda’, già interessato in passato da procedimenti in materia di criminalità organizzata. Con riferimento al Morda’, è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva.

Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. In tale illecita attività, il Morda’ è stato attivamente collaborato dai suoi più stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco Arconte, figlio del più noto Consolato, già condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca Araniti. Nella rete della DIA è finito anche, con la contestazione del reato di riciclaggio, un impiegato di banca, il quale si è dimostrato sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze del Morda’. Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione guidata dallo Scimone – avvalendosi del complesso reticolo di imprese allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata “Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Stortive Doo”) – ha fornito alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a Morabito Giorgio, collegati alla cosca Piromalli.

“Il Sistema Scimone” e la “Barbieri Costruzioni”

Partendo da tali risultanze, l’attività investigativa delle fiamme gialle reggine si è focalizzata sulla ricostruzione dei flussi finanziari legati all’aggiudicazione di due appalti pubblici – entrambi finanziati con i fondi europei P.I.S.U. (Piani Integrati di Sviluppo Urbano) – che il cartello d’imprese predetto, sotto la regia del Morabito, ha ottenuto con le accennate modalità delittuose. Si fa specifico riferimento, in primis, all’appalto – gestito di fatto dai Bagalà e dal Morabito – relativo al “Centro Polisportivo a servizio della città – porto” (l’ambito portuale interessato ricadeva nel Comune di Rosarno che era l’ente appaltante). A tal riguardo, è stato accertato che la società formalmente aggiudicataria della gara pubblica (Barbieri Costruzioni Srl) aveva ottenuto un’anticipazione dal predetto ente per € 877.557,12. Tale somma, a sua volta, per circa 670 mila euro, era stata fatta confluire dai conti correnti della “Barbieri” sui rapporti finanziari delle società italiane riconducibili allo Scimone e, da qui, successivamente, su quelli delle imprese estere (le predette Nobilis Metallis Doo e B-Milijon). Infine, da tali conti esteri, sono stati disposti bonifici in favore di vari imprenditori coinvolti nel sistema (tra cui il Mordà ed il Canale) nonché prelevate somme in contanti dallo Scimone che sono state poi consegnate al Morabito.

Anche in relazione al secondo appalto, relativo al “Centro Polifunzionale – lato sud del lungomare di Gioia Tauro” (il Comune di Gioia Tauro era l’ente appaltante), è stato accertato che quest’ultimo ente pubblico aveva concesso alla società aggiudicataria dei lavori (“Cittadini Srl”) un anticipo sull’importo del SAL per € 775.966,66 a fronte di fatture emesse, tra le altre, da imprese riconducibili allo stesso Scimone.

Tutto ciò a conferma che “il cd. Sistema Scimone” – ricorrendo ad un articolato schema di imprese nazionali ed estere nonché ai correlati rapporti economici e finanziari – ha di fatto garantito ad intere filiere criminali riconducibili alle principali cosche di ‘ndrangheta locali, adeguato, sicuro e protetto canale per riciclare i proventi illeciti derivanti, tra gli altri, dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti. Le indagini, pertanto, hanno evidenziato la caratura criminale di Antonio Scimone, soggetto che spicca come riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma della criminalità organizzata della provincia reggina unitariamente intesa, per conto della quale si è prestato sistematicamente a favorirne gli interessi economici attraverso il suo collaudato sistema di società di comodo italiane e straniere.