Rende, il blitz di Gratteri: le intimidazioni all’ex assessore Toscano e il ruolo dell’avvocato Paolo Pisani

Vittorio Toscano e Paolo Pisani

I pm della Dda di Catanzaro hanno lavorato a fondo su Rende nel corso degli anni e c’è una vicenda particolare che merita un doveroso approfondimento. La vicenda integra quattro distinti reati tra loro collegati: danneggiamento da incendio, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato e falsa testimonianza. I protagonisti risultano esponenti del gruppo D’Ambrosio (Massimo D’Ambrosio, Fabio Ciranno, Ivan Montualdista), l’avvocato Paolo Pisani (interdetto per un anno dalla professione forense; misura revocata ieri) e l’assessore (all’epoca dei fatti) Vittorio Toscano. 

L’inizio di tutto va cronologicamente individuato nell’incendio, che risulterà di origine dolosa, dell’autovettura del Toscano, il quale sporgeva denuncia-querela in data 17 marzo 2016. Tale procedimento, tuttavia, si concludeva con decreto di archiviazione.

Il 16 settembre dello stesso anno (2016), il Toscano sporgeva un’altra denuncia-querela per minacce ricevute da Massimo D’Ambrosio due giorni prima all’interno degli uffici del Comune di Rende. Conseguentemente si instaurava un procedimento penale che sfociava nel rinvio a giudizio di D’Ambrosio. In particolare, il Toscano denunciava che il D’Ambrosio proferiva al suo indirizzo la seguente minaccia: “Tu stai remando contro la famiglia D’Ambrosio e ci hai cacato la minchia: non solo mi hai fatto chiudere il bar, ma mo sta rumpiannu i cugliuni ccu ra festa da birra (Oktoberfest, ndr): a nua nunn’ha datu nente e a loro ci sta dannu tuttu… nun ti permetta a rilascià a licenza da gestione du bar ad ancun atru ca pu su cazz’i cacà… e comunque appena liberano chiru i supra (Adolfo D’Ambrosiom ndr) ti fazzu vida cchi ti fazzu fa…”. 

Un mese dopo il rinvio a giudizio di Massimo D’Ambrosio, il Toscano rimetteva la denuncia nei confronti dell’imputato, che accettava.

La premessa cronologica consente di inquadrare i successivi elementi indiziari costituiti da intercettazioni coinvolgenti anche Ivan Montualdista, che non era parte del procedimento di Toscano. Tale aspetto è decisamente rilevante, laddove manifesta un interessamento e una partecipazione che vanno al di là di un eventuale rapporto di amicizia eventualmente esistente con il D’Ambrosio o (addirittura) con l’avvocato Pisani.

La prima conversazione rilevante è quella avvenuta in data 14-10-2019, nel corso della quale il Montualdista parlava con l’avvocato Pisani per chiedere informazioni sull’andamento del processo a carico del D’Ambrosio. Giova precisare che tale conversazione avveniva mentre il Montualdista era in compagnia, tra gli altri, proprio di Massimo D’Ambrosio, che tuttavia non interloquiva direttamente col suo avvocato.

Nell’ordinanza si riporta il passaggio del dialogo intercettato tra Montualdista, Christian e Massimo D’Ambrosio, avvenuto successivamente all’udienza nel corso della quale si procedeva all’esame testimoniale del D’Ambrosio.

MONTUALDISTA: Quello ha ritrattato tutto quanto… a parte il fatto che ci siamo andati pure noi quel giorno… non ci dovevamo andare nemmeno noi… ci doveva andare lui con Paolo Pisani…

D’AMBROSIO MASSIMO: Paolo Pisani ha detto a me: Vieni! Devi venire! Io ve l’ho detto… Io veramente non ci volevo venire che avevo paura che ci arrestavano proprio… Ti ricordi? Ma lui ha detto: No, no, vieni, vienici… Io ero con l’avvocato mio, lui con il suo…

MONTUALDISTA: Sì, ma li ha smontati, li ha smontati tutti Paolo (Pisani, ndr)…

D’AMBROSIO MASSIMO: L’ha smontato a lui che dice che gli faceva domande… Gliel’aveva detto: “Io ti faccio queste domande, tu che mi rispondi!”…

MONTUALDISTA: Non è un fesso Paolo (Pisani, ndr)

D’AMBROSIO MASSIMO: Ma lui sa il fatto suo se si è sbilanciato…

Secondo il gip Alfredo Ferraro emergono circostanze di forte rilievo indiziario. In primis va evidenziato che c’è stato l’incontro con il Toscano al quale partecipavano l’avvocato Pisani, il D’Ambrosio e il Montualdista, che non era parte del processo. Tale incontro si desume essere stato precedente alla deposizione del Toscano alla luce del contesto in cui viene riferito: gli interlocutori, in realtà, parlavano del fatto che il Toscano “aveva ritrattato tutto” e immediatamente dopo precisavano “a parte il fatto che siamo andati anche noi (all’incontro)”, così significando una evidente correlazione tra i due eventi (incontro-ritrattazione). Deve evidenziarsi, inoltre, che non si comprendono, al di là delle logiche illecite emerse, ragioni valide e lecite che potessero giustificare la convocazione di un siffatto incontro, per di più dopo che la parte offesa (il Toscano) aveva già rimesso la querela, nonché precedentemente al suo esame davanti al Tribunale.

In secondo luogo, deve rilevarsi che la partecipazione tanto del D’Ambrosio quanto del Montualdista, nonostante una loro iniziale reticenza, era stata caldamente richiesta dal Pisani. I due, peraltro, nel ricordarsi di ciò, paventavano anche il rischio di arresto, manifestando la consapevolezza dell’illiceità dell’incontro. La circostanza per la quale era stato il Pisani a insistere affinché partecipassero sia il Montualdista che il D’Ambrosio all’incontro non può che essere letta come finalizzata a incutere timore al Toscano. Diversamente, non si comprenderebbe la necessità della presenza di entrambi i soggetti, uno dei quali peraltro estraneo al processo…

Inoltre, quanto appena espresso, veniva rafforzato dalla successiva frase del D’Ambrosio (Gliel’aveva detto: “Io ti faccio queste domande, tu che mi rispondi!”… ). Frase questa che conferma l’oggetto dell’incontro ossia la concertazione dell’interrogatorio che si sarebbe svolto successivamente e che avrebbe scagionato il D’Ambrosio, che infatti veniva assolto.

Va osservato inoltre che le dichiarazioni rese dal Toscano nel corso dell’udienza, e riferite essenzialmente alla non conoscenza da parte sua del D’Ambrosio Massimo e dei suo rapporto di parentela con Adolfo D’Ambrosio, risultano difformi rispetto a quanto riferito dallo stesso in sede di indagini, allorquando dichiarava tra l’altro: “… Ritengo che si riferiva al fratello Adolfo D’Ambrosio in atto detenuto… Il primo pensiero sorto era che il tutto, anche l’incendio della mia auto avvenuto il 17-3-2016, fosse dipeso dalla chiusura del bar… Ho notato nei pressi della mia sede aziendale autovetture parcheggiate nei pressi che avevano un atteggiamento oltremodo sospetto…”. 

Secondo il gip, è di palmare evidenza la contraddizione con quanto successivamente dichiarato in udienza, laddove il Toscano dalla sicura conoscenza del legame parentale dei due fratelli D’Ambrosio, e finanche dello stato detentivo di Adolfo, ha riformulato la sua posizione riferendo di una conoscenza indiretta e superficiale di colui che aveva denunciato. Si evidenzia inoltre che sempre il Toscano, al momento della denuncia-querela, era consapevole non solo del legame parentale di Massimo D’Ambrosio ma anche della caratura mafiosa dello stesso, collegando infatti la minaccia ricevuta ad altri atti intimidatori (incendio e auto parcheggiate nei pressi della sua sede aziendale).

Sempre secondo il gip, esistono gravi indizi di colpevolezza per gli indagati. E’ stato evidenziato infatti che l’avvocato Paolo Pisani insisteva affinché all’incontro con il Toscano prendessero parte anche il D’Ambrosio e il Montualdista e ciò perché, inevitabilmente, era consapevole che la contemporanea presenza di entrambi avrebbe determinato una carica intimidatoria tale da coartare le azioni della vittima, concertando preventivamente il contenuto dell’esame testimoniale che, infatti, veniva svolto in modo tale da determinare l’assoluzione di Massimo D’Ambrosio.

Nell’ordinanza viene poi riportata una intercettazione dalla quale si desume agevolmente che l’incendio dell’auto del Toscano era opera del gruppo D’Ambrosio e in particolare di tale Fabio Ciranno, che agiva su commissione di Massimo, che infatti aveva minacciato Toscano, all’epoca assessore, per coartare l’azione pubblica della vittima in relazione al rilascio elle licenze.

Quanto all’aggravante di cui all’articolo 416bis del codice penale, il gip esprime alcune (pesanti) precisazioni rispetto all’avvocato Paolo Pisani. Dalle intercettazioni in atti risulta sicuramente un rapporto con almeno due membri del gruppo D’Ambrosio (confidenziale tra l’avvocato e il Montualdista e di “rispetto” con Massimo D’Ambrosio). Il gip ritiene che tale rapporto, che da solo resterebbe una circostanza neutra, vada valutato alla luce delle altre emergenze indiziarie, e soprattutto di quelle relative all’integrazione dei due delitti connessi alla professione forense.

Particolarmente indicativa è anche la circostanza che il Pisani si rivolgeva al Montualdista, e non al suo cliente (Massimo D’Ambrosio) per aggiornarlo sulle vicende relative al processo, e sempre al Montualdista chiedeva il pagamento della parcella. Risulta quindi che l’avvocato Pisani conosceva le gerarchie del gruppo e le rispettava, non parlando direttamente con un membro di rango superiore, ma rivolgendosi a quello di rango inferiore.

Inoltre, la scelta di insistere affinché partecipassero entrambi (Massimo D’Ambrosio e Montualdista) all’incontro con il Toscano manifesta la volontà del professionista di utilizzare il metodo mafioso ossia di incutere timore nella vittima ed esercitare una carica intimidatoria derivante dalla caratura mafiosa dei soggetti coinvolti.

Quanto all’agevolazione mafiosa, invece, deve osservarsi che la condotta ascritta al Pisani ha determinato un’agevolazione al gruppo D’Ambrosio. E in realtà, fermo il diritto di ciascun imputato di essere difeso in qualsiasi procedimento, è emerso come il Pisani ha travalicato il mandato difensivo non solo da un punto di vista deontologico ma anche da un punto di vista legale. Il discrimine tra mandato difensivo, per il quale è normale che un avvocato adoperi tutti gli strumenti forniti dalla legge per organizzare la migliore difesa auspicando di ottenere l’assoluzione per il proprio assistito, e agevolazione mafiosa va individuato nelle scelte e nelle azioni del difensore, per cui la strategia di concertare, mediante la forza intimidatrice mafiosa, le dichiarazioni rese dalla parte offesa (che commetteva falsa testimonianza) manifesta la volontà di agevolare il gruppo D’Ambrosio che, grazie all’assoluzione di uno dei suoi membri apicali (esito processuale evidentemente non ottenibile con strumenti legali), avrebbe continuato a compiere e perseguire il programma associativo.