Rende, la città dei politici palazzinari nel mirino della Dda

Sandro Principe

“La Calabria non è solo ‘ndrangheta. Abbiamo anche i Bronzi di Riace e poi c’è Rende con l’università di Arcavacata”. Quante volte abbiamo ascoltato e magari anche detto questa frase per uscire dal solito luogo comune della Calabria ‘ndranghetista? Tante, tantissime volte. Perché Rende, per molti anni, è stata davvero un modello di buongoverno.

Francesco “Cecchino” Principe, socialista e inevitabilmente rivale del coetaneo e compagno di partito ma non di corrente Giacomo Mancini, aveva creato un piccolo gioiello e gli piaceva che chi veniva da fuori definisse la sua Rende come una “città europea” paragonandola a realtà come Stoccolma o Copenhagen. “Cecchino”, nonostante fosse entrato anche in Parlamento, è stato sindaco di Rende dal 1952 al 1980. Poi ha lasciato il passo al figlio Sandro, anche lui parlamentare, che ha cercato di conservare questo immenso patrimonio ma non ha mai avuto il carisma e la caratura del padre.

Ed è proprio sotto la sua gestione che il mito del “modello Rende” prima si offusca e poi tramonta definitivamente.

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Gli iscritti all’Università sono diventati, nel tempo, circa 40mila e questa pletora di ragazzi ha richiamato un boom edilizio e demografico spaventoso. Basti pensare che i residenti a Rende nel 1981 erano 25.280 nel 2001 ben 34.421 e oggi sfiorano i 40mila.

Rende non è una città qualsiasi perché è un tratto del cordone ombelicale che la lega in tutto e per tutto a Cosenza e ai suoi centri di potere: dall’idea (che è rimasta sempre tale, però) della comune metropolitana o addirittura della città unica, allo sviluppo urbanistico (presente e passato) che qui venne e viene sperimentato con un successo che non poteva e non può passare inosservato. No, Rende non è una città qualsiasi. E col passare del tempo dalla “Harvard” del Sud, come piaceva definirla ai soliti provincialisti, più realisticamente è scaduta a definizioni tipo il “Principato di Rende”.

Lo sviluppo di Rende si è centuplicato tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, quando accadono anche un paio di eventi che fanno capire tante cose dell’evoluzione della cittadina d’oltre Campagnano. Un’evoluzione fatta anche di appalti e sangue, come quello dell’ex consigliere comunale di Rende Pino Chiappetta, costruttore trucidato nel 1990 a Commenda all’età di 36 anni e del cui delitto fu accusato il ‘collega’ Antonio Grimoli. Una triste sfaccettatura dell’intreccio tra politica, imprenditoria e ‘ndrangheta che ha fatto la fortuna del cemento su Rende.

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Un paio d’anni dopo, poi, Sandro Principe verrà anche raggiunto da un avviso di garanzia nel quale si avanzava il sospetto che fosse vicino a qualche cosca importante della ‘ndrangheta reggina. E il sospetto nasceva tutto dal cemento. Su questo non ci possono essere dubbi.

Pino Chiappetta, come accennavamo, era stato sia consigliere comunale sia costruttore. E questo binomio consiglieri comunali-costruttori a Rende è stato sempre una costante. Oltre allo sventurato Chiappetta, l’elenco è veramente lunghissimo: Carlo Stellato, Raffaele (prima), Michele e Alessandro (poi) De Rango, Francesco Mirabelli (figlio del costruttore Gianfranco), Dario Raimondi, Pietro Ruffolo (il costruttore in questo caso era lo stretto congiunto Luigi), Antonio Marchiotti e Ferdinando Vena (figlio del costruttore Peppino).

Il dato di dieci consiglieri-costruttori è troppo evidente per non far scattare il fatidico campanello d’allarme che porta dritti al conflitto di interessi. Un sindaco “padrone” e uno stuolo di consiglieri che costruiscono palazzi a più non posso. Non è difficile fare due più due.

Ma non solo.

”Da più di vent’anni Rende – spiega l’urbanista Alberto Ziparo – aveva un’offerta di case esuberante rispetto alla domanda abitativa dell’area urbana. Negli anni ’90 è stata quindi usata l’Università della Calabria e i suoi potenziali studenti per giustificare un’ulteriore cementificazione del territorio di Rende. Si diceva che poiché l’Unical doveva espandersi, si dovevano costruire più palazzi per ospitare i futuri iscritti. Intanto l’università, da parte sua, ha continuato a edificare i propri alloggi studenteschi ripetendo, alla nausea, di non essere in grado di far fronte alle numerose richieste di case dei laureandi. In realtà, però, l’edilizia universitaria faceva da testa di ponte per l’edilizia privata speculativa. Infatti quelle case, spesso, non sono state date nè agli studenti nè alle famiglie, ma sono state usate come pacchetti finanziari per far sì che i costruttori potessero ottenere crediti dalle banche o dalle finanziarie e nuovi programmi di investimento”.

Costruttori, dunque, tanti costruttori. Tutti rendesi. E non c’era neanche bisogno che fossero palazzinari di mestiere.

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Nel 2007 un’inchiesta giornalistica di Mario Campanella, comunque ispirata da Tonino Gentile, scoperchia il pentolone della speculazione edilizia a Rende. Il consigliere d’opposizione Spartaco Pupo cavalca l’onda della protesta e il mito del “modello Rende” crolla.

Se ne accorge persino la procura di Cosenza e ipotizza proprio i reati di conflitto di interesse e abuso di ufficio che si sarebbero verificati all’epoca del varo dei Pau, Piani Attuativi Unitari, approvati in una burrascosa e calda seduta di consiglio Comunale il 7 agosto 2007.

Otto i consiglieri sottoposti addirittura all’incidente probatorio. Tutti vicinissimi alla famiglia Principe.

Sono Emilio Chiappetta, presidente del consiglio comunale, che avrebbe avuto un conflitto in contrada Linze; Giuseppe Gagliardi, presidente della commissione Ambiente e Territorio, in riferimento ai Pau di contrada Pelleca. E ancora Mario Tenuta, Salvatore Lombardo, Francesco Mirabelli, figlio del noto costruttore Gianfranco, Lunetto Vercillo, figlio del dirigente al Personale Valdo, Michele De Rango e Ferdinando Vena, per i Pau di contrada Santa Chiara, S.Rosa e Iannuzzi.

L’articolo 78 del Testo Unico sugli Enti Locali prevede l’obbligo di astensione dalla discussione e dalla votazione dei consiglieri che, per se stessi o per parenti e affini entro il quarto grado, abbiano interessi su immobili ricadenti nelle zone oggetto dei Piani. Ma quell’inchiesta, come tante altre, è stata insabbiata.

Il “modello Rende”, tuttavia, ormai vacillava e parecchio. Le casse del Comune, un tempo floride, diventano una specie di colabrodo e se ne accorge anche la Corte dei Conti. Nel 2009 (ma la notizia sarà resa pubblica soltanto l’anno successivo) arrivano una lunga serie di rilievi relativi al Bilancio di previsione che i magistrati descrivono come “pregiudizievoli per la sana gestione finanziaria dell’Ente”. Cinque delibere in nemmeno due anni, a conferma di una situazione allarmante gestita malamente.

Ma il problema più grave è quello che Pupo denunciava da tempo e che la Corte purtroppo conferma: nel 2008 sono saliti a ben 7 milioni 378.472 euro le entrate accertate riferibili agli oneri di urbanizzazione, di cui ne sono state riscosse solo 821.753.

In altre parole: la stragrande maggioranza dei costruttori, nella città a più alta cementificazione della Calabria, non paga gli oneri di urbanizzazione, e il Comune continua a non pretenderli. Un fenomeno tutto “rendese”.

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L’irriducibile Pupo torna alla carica e chiede a gran voce perché gli uffici preposti non gli rilascino, nonostante l’intervento del Prefetto, l’elenco delle concessioni edilizie con gli oneri di urbanizzazione pagati, richiesto addirittura tre anni prima. E si chiede se figurino tra i costruttori morosi società riconducibili a politici-amministratori rendesi o a loro congiunti.

Ormai anche la Dda di Catanzaro ha i riflettori accesi su Rende, sempre meno “modello” e sempre più “Principato”.

Umberto Bernaudo
Umberto Bernaudo

A novembre 2012 vengono arrestati l’ex sindaco Umberto Bernaudo e l’ex assessore ai Lavori pubblici Pietro Ruffolo. Due uomini di fiducia di Sandro Principe.

Secondo la Dda di Catanzaro avevano finanziato e poi capitalizzato con 8 milioni di euro una cooperativa di servizi per “garantire occupazione e pagamento di uno stipendio mensile a soggetti legati da vincoli di parentela o contiguità a esponenti apicali del clan Lanzino”. In pratica la coop Rende 2000, ribattezzata Rende Servizi dopo essere divenuta a partecipazione comunale grazie ai due politici e a 8 milioni di fondi pubblici, assicurava uno stipendio al luogotenente del clan, Michele Di Puppo, allo stesso boss della ‘ndrangheta Ettore Lanzino e ad altre persone affiliate o vicine all’associazione mafiosa, in cambio dell’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni del 2009, vinte appunto dal centrosinistra.

Per il gip Sabatini, che aveva comunque escluso l’aggravante del metodo mafioso (la Dda aveva impugnato il provvedimento) “l’unica funzione economica” della coop era “assicurare una retribuzione” ai dipendenti vicini al clan Lanzino.

Pierpaolo Bruni
Pierpaolo Bruni

Uno dei pm di quell’inchiesta era proprio Pierpaolo Bruni, che oggi, nella sua grande inchiesta sulla massopolindrangheta cosentina, potrebbe recuperare proprio tutte le risultanze di quell’inchiesta su Rende che venne parecchio decimata dal potere giudiziario probabilmente dietro preciso ordine del potere politico.

La “fotografia” di quel momento storico ce la rende, come al solito, mirabilmente il giornalista de Il Sole 24 Ore Roberto Galullo.

“… Per quel che si legge, l’ordinanza sembra scoperchiare un pentolone di malaffare politico con la longa manus della ‘ndrangheta. Vedremo se sarà effettivamente così. Sapete che ho il pregio (difetto secondo il giudizio della classe politica, il che mi rende ancor più fiero) di dire ciò penso e di scrivere ciò che dico e penso: ebbene leggendo le 34 pagine dell’ordinanza della Procura di Catanzaro ho avuto la sensazione nettissima che i pm Pierpaolo Bruni e Carlo Villani abbiano “sofferto” questo primo gradino di una scala che prefigurano ben più alta e impervia. Insomma: si sono dovuti – per il momento – “accontentare” di questo primo passo e la “mazzata” che hanno ricevuto dal Gip Livio Sabatini (che ha smontato metà delle considerazioni e delle accuse dei pm con motivazioni che a me sono sembrate paradossali, ma io Gip non sono) non deve essere stata facile da digerire. Non credo che – subito il colpo – i due pm si abbatteranno…”.

No, Pierpaolo Bruni non si è abbattuto e oggi possiamo affermare, con estrema certezza, che si sta ancora interessando di Rende.

E se qualche anno fa il vento politico tirava dalla parte del “Principato”, con tanto di interventi risolutivi da parte di “pezzi grossi” del Pd, oggi la situazione è completamente diversa.

La legge la fanno loro, la verità in tasca ce l’hanno loro, il potere giudiziario lo muovono loro… Ma prima o poi scriveremo approfonditamente di queste “logge” che decidono le sorti della Calabria dall’alto del loro potere “segreto” e criminale. E’ una promessa.

2 – (fine… per il momento)