San Demetrio Corone, Djelzit: i diavoli di Carnevale

Djelzit: i diavoli di Carnevale.

Tra i riti e le tradizioni popolari sopravissute al trascorrere del tempo, quelle legate al periodo di Carnevale sono forse più calabresi che arbereshe, se si escludono alcuni rituali, tipici dell’ Arberia ed addirittura di San Demetrio Corone.

Degna di essere ricordata la Notte dei Diavoli del Martedì grasso: alcuni giovani del paese, con il corpo imbrattato di grasso, neri in viso, puzzolenti, coperti di pelli di capra e con in capo enormi corna, vagano per le strade al calar del sole, dimenando catene e campanacci, urlando a squarciagola. Eccoli i Diavoli di San Demetrio: terrore e paura per le vie del paese, tra piccoli e grandi: Mbulli diert, se jan’e arrevonjin djelzit, Chiudi la porta, stanno arrivando i diavoli. Guai, infatti, a farli entrare in casa; soprattutto in passato, quando a travestirsi erano i più poveri, farli entrare significava certamente perdere qualche salsiccia appesa al soffitto, tutto in nome dei diavoli e di Re Carnevale.

Ma il significato di questa tradizione, tipica di San Demetrio Corone, è ben diverso: in un periodo non certo di magra come il Carnevale, i diavoli rappresentano la tentazione, la perdizione assoluta, l’eccesso sfrenato, il demonio pronto a rubare l’anima al Carnevale ubriaco; essi costituiscono l’epilogo della festa, che termina appunto il Martedì e rappresentano la premessa del mercoledì delle Ceneri, del pianto di Zù Nicola, della morte del Carnevale, fondamentale rito di purificazione, scena culminante, attimo di riflessione profonda e di contrasto con la sfrenatezza del martedì e dei diavoli. Nei paesi vicini sono in tanti, soprattutto gli anziani, a ricordare i diavoli di San Demetrio, quando nel passato, dopo aver vagato per le strade del paese, arrivavano a far baldoria, incutendo curiosità e paura.

Altra cosa il pianto di Zù Nicola, molto più calabrese che arbereshe; tra sacro e profano si celebra la morte del Carnevale: in un corteo funebre, con tanto di cassa da morto, moglie addolorata ed al seguito le numerose amanti: Qahet Cu Nikolla, Si piange Zu Nicola, scoppiato per aver ingurgitato troppo cibo, per aver troppo bevuto, per l’eccessiva sfrenatezza; un finto prete accompagna il corteo e la vedova, confortata dalle amanti, non perde occasione di gridare forte il nome del suo povero marito, morto per colpa di tutti. Ed infatti, attimo pungente di satira, è tipico della cerimonia il fermarsi con il corteo vicino alle case delle persone: le più in vista, le più antipatiche, le più simpatiche del paese, per tutti c’è un rimprovero, magari lo si voleva fare da tempo e non si aveva il coraggio, per tutti una colpa, in fondo carnevale è morto e per ognuno dei designati c’è qualche malanova.

Zù Nicola è l’anno vecchio che muore che si porta dietro le tristezze e i mali del passato. All’interno della bara c’è un buontempone, di stazza leggera, facile da trasportare; alla cassa è collegato un tubo che porta il vino al “poveretto” o al “fiasco” sito nell’interno e pronto ad essere svuotato.

Le ceneri di Re Carnevale avvicinano la gente al periodo più triste dell’anno, la Quaresima: al calar delle tenebre il mercoledì, in alcuni centri arbereshe, improvvisamente le viuzze si riempiono di strani personaggi vestiti di bianco; entrano nelle case gettando un po’ di cenere e facendosi precedere dal suono funereo di un campanello; poi spariscono silenziosamente e misteriosamente, così come sono apparsi. Sono in genere giovani, girano di casa in casa, quali anime vaganti in cerca di pace; buttano la cenere per ricordare la fragilità e caducità della vita umana.

E’ proprio in questo giorno che nelle case appare una strana bambolina, la Kreshma o Korajizma, con in testa sette penne di un pollo ucciso nel periodo di Carnevale; essa ricorda che mancano sette settimane alla Pasqua e questo che si vive è un periodo di penitenza ed umiliazione, ogni settimana, ad indicare il tempo che passa e ci avvicina alla festa, si stacca una penna.

Durante il periodo di Carnevale i sandemtresi si cimentavano nel gioco della Rrola: un legno a forma di formaggio doveva essere lanciato lontano, sino ad arrivare ad un punto preciso; chi con meno colpi raggiungeva il traguardo prefissato vinceva un formaggio vero che poi, chiaramente, veniva mangiato da tutti.

Ecco, dunque, il Carnevale sandemetrese, esempio di integrazione e contaminazione, legato ad antichi rituali, carichi di profondo timore cristiano e di ritualità pagana, tramandati da secoli, pronti a sfidare la monotonia dei tempi moderni.

Adriano D’Amico