San Demetrio Corone, la commemorazione dei defunti nella comunità arbereshe

A San Demetrio Corone, come in tutti i paesi arbereshe della Calabria, la Commemorazione dei Defunti è uno degli avvenimenti che più caratterizza la comunità, per le peculiarità che assume e per la grande partecipazione di popolo alle celebrazioni sacre ed ai rituali profani.

La Commemorazione è definita nel rito greco-bizantino una festa mobile, che varia, cioè, con il variare della Pasqua. Inizia sette giorni prima del Carnevale e si protrae per tutta la settimana, fino allo Psicoseveton, ossia al Sabato delle anime del Purgatorio, dedicato all’ufficio della Panaghia per i defunti ed alla visita dei Sepolcri.

Un’intera settimana, quindi, la cosiddetta Java Prigatorvet, nella quale si ricordano i morti: preghiere ed antichi rituali, intrisi di profondo timore cristiano, in memoria dei morti, di quelle anime che si trovano nel Purgatorio; alla loro memoria si preparano tante piccole cose, per alleviarne i dolori, per accelerare il loro ingresso nel Paradiso. In tutte le case brilla di giorno e di notte una fiammella preparata con il cotone inzuppato di olio e riposto in un bicchiere; si dice, infatti, che in questo periodo le anime dei defunti vadano vagando ed abbiano bisogno di luce perché il loro cammino venga schiarito; si dice che in questo periodo i defunti tornino nelle loro case, tra i loro cari, a vedere quei nipoti che non hanno mai visto, a conoscere le loro nuore, i loro generi, a riporre le coperte del letto dei loro figli, a render loro una carezza, come facevano un tempo. Nell’arco dell’intera settimana, i rintocchi mesti della campana chiamano i fedeli a raccolta nella Chiesa madre: quivi si prega per le persone che non ci sono più. La Chiesa è gremita in ogni suo posto; si rivedono in giro sbucare da ogni angolo del paese persone che tutto l’anno se ne stanno in casa: vestite di nero, con gli occhi pieni di malinconia e con la mente riversa chissà dove.

Non molto tempo fa, quando la povertà caratterizzava la piccola comunità di San Demetrio Corone, i poveri bussavano nelle case dei più ricchi, chiedendo l’elemosina: pir shpirt e prigatorvet, per l’anima dei cari defunti, imprecavano. Nelle case padronali si preparava una grossa pendola ove veniva bollito il grano; a tarda sera, poi, un via vai di gente veniva a chiedere un po’ di grano bollito; con gioia la padrona di casa dava a tutti il grano ricevendo il solito ringraziamento: Nlezot gjith vedekurvet, possano riposare in pace tutti i morti.

L’ultimo giorno della settimana è dedicato alla visita dei sepolcri; la comunità si cinge d’un misto tra il sacro ed il profano: il pellegrinaggio inizia al mattino presto e si protrae per l’intera giornata; durante la mattinata, ci si avvia in processione al cimitero cantando lo struggente salmo 129 del De ProfundisTek jam i thell Dove sono sprofondato, un canto funebre liberamente tradotto in arbrisht  dal poeta Giulio Variboba (1724 – 1788) Tek jam i thell e rri, ndë Purgatuar U thërrita fort: Oj Zot, të qosha truar….

Lungo il tragitto, i giovani soprattutto, che all’andata come al ritorno passano a destra dello stelo, lasciano una piccola pietra sul bordo dello stelo che si trova lungo lo stradone che porta al Camposanto, che ricorda i caduti in guerra, a perseverarli da una morte prematura e violenta, come quella che colse i combattenti della grande guerra; la pietra assume il significato del pegno da lasciare in cambio della salvezza.

Nel Camposanto, oltre ai fiori ed alle fiammelle, compaiono le bottiglie di vino, il pane, la soppressata, le sigarette, le caramelle e tant’ altro ancora; i parenti dell’estinto intendono ricordarlo così; il rapporto tra chi non c’è più e chi è rimasto è vivo, lo senti, lo percepisci, lo tocchi quando bevi il vino che hai bevuto con lui; quando mangi il pane, quando fumi una sigaretta e ne lasci metà per lui o per lei; lui o lei che sono li, che ti vedono, ti ascoltano, ti percepiscono. Così è facile trovare sul sepolcro il vino ed è facile incontrare un gruppo di amici che bevono alla memoria di chi non c’è più, che fumano una sigaretta ai piedi della sua tomba lasciandone metà per lui, per l’invisibile; è facile trovare una madre con gli occhi pieni di lacrime che ti offre da bere. E’ un rapporto vivo con l’aldilà, che non vuole cessare, forzato o naturale che sia, ma è tipico delle nostre comunità.

Dopo la visita al Camposanto, ritornati in paese, Zoti, il papàs, viene invitato nelle case colpite da un lutto di recente a benedire la panaghja, il grano bollito, simbolo del ritorno in vita dei defunti, che genera una nuova vita: su un tavolo il piatto con il grano bollito, una candela accesa a simboleggiare l’immortalità dell’anima, una bottiglia di vino, due pani; dopo la benedizione Zoti spegne la candela nel grano, taglia un pane a pezzi, lo spalma di grano bollito e lo offre ai presenti.

Alla sera, poi, ci si ritrova nelle casupole di campagna, le turre: un bel fuoco acceso, le olive nere seccate al sole, le sarde salate, il formaggio, il pane, il salame, il lardo, la cipolla fresca ed il vino rosso. Una cena povera, ricca di simbolismo e piena di ricordi, di riferimenti a chi non c’è più ma è presente, a chi è invisibile ma si vede, nitidamente e chiaramente. Per loro, per gli invisibili,  il bicchiere di vino rosso ed il piatto in tavola, alla pari degli altri commensali. Per loro il brindisi, senza brindisi, Nlezoth.

Terminata la cena, si ritorna al Camposanto per rendere l’ultimo saluto: un via vai silenzioso in un luogo mistico ed ancor più magico per le fiammelle lasciate durante il giorno, durante la visita al sepolcro. Ci si ritrova nuovamente sulla tomba del congiunto, del parente, dell’amico; non servono le parole, qualche cenno del capo, ogni tanto una frase, che viene giù come un boccone amaro, poi si ritorna a casa.

I misteri della diversità arbereshe, nelle loro case riecheggia ancora l’antico adagio: Il sabato dei morti che venga sempre, il sabato di Sciaglia non venga mai, ad indicare il giorno in cui i morti escono dai sepolcri e vagano per le case, per le strade, alla ricerca dei loro cari.  Il sabato successivo, e shtuna e madhe o e shtuna e Shales Il sabato di Rosalia, festa pagana, sarà un giorno di lacrime, i morti ritornano nell’oltretomba, si staccano dai propri cari.

Per questo motivo, per coltivare questa illusione, in tutte le case del paese la sera di sabato si lascia la tavola imbandita e si spera … si coltivano le chimere …  si rivangano i ricordi … lontano dai loro pensieri il sabato di Sciaglia, il sabato successivo, quello del ritorno alla normalità quotidiana, quella normalità che cancella l’illusione, ma non fa venir meno la speranza.

San Demetrio Corone 15 febbraio 2019                                                                  Adriano D’Amico