Sanità, inchiesta sull’assenteismo. Il pm Tridico e i suoi 5 “raccomandati”

Il pm Tridico

Il 10 aprile scorso 32 persone, tutte dipendenti – alcune anche con ruolo dirigenziale – dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, sono state indagate (il processo è in corso nel Tribunale di Cosenza ed è giunto alla terza udienza) con l’accusa di truffa aggravata e continuata perpetrata ai danni della stessa azienda sanitaria.

L’indagine della procura, denominata “Camice bianco”, ha coinvolto medici, infermieri, dirigenti e dipendenti dell’Asp di Cosenza. Che erano stati additati all’opinione pubblica come i “furbetti” del cartellino.

Dario Granieri, il procuratore del porto delle nebbie
Dario Granieri, il procuratore del porto delle nebbie

I provvedimenti sono stati emessi sulla scorta delle indagini coordinate dal procuratore Dario Granieri e dai sostituti procuratori Antonio Bruno Tridico e Domenico Assumma.

Le indagini prima e il processo poi, riguardano Luigi Miceli, Mario Avellino, Anna Maria Conforti, Emilia Lopez, Francesca Zinno, Angela Campolongo, Romeo Perri, Anna Turano, Ippolito Spagnuolo, Pasquale Morrone, Marina Sammarra, Giulia Manna, Pia Pignataro, Katja De Rose, Isabella Polillo, Rosalia Cianflone, Annarita Salvo, Carla Caputo, Giovanna Trimarchi, Maria Naccarato, Pieraldo Russo, Gisella Rizzuti, Vincenzo Reda, Asclepiade Felicioli, Alberto Bevilacqua, Elvira Vigna, Claudio Naccarato, Eugenio Presta, Luigi Carelli, Bice Cassazone, Orlando Spizzirri e Luca Pati.

Secondo l’accusa, gli indagati, in servizio all’ospedale civile o nelle varie sedi dell’Asp, durante l’orario di servizio, regolarmente retribuito, anche con prestazioni extra di straordinario, «con sistematicità e abitualità», avrebbero posto in essere condotte di truffa in danno dell’amministrazione di appartenenza attraverso la falsificazione degli orari di presenza e di uscita, mediante l’infedele timbratura del cartellino marcatempo. In una circostanza, secondo quanto reso noto, sarebbe stata accertata l’effrazione di un distributore automatico di alimenti e bevande con la conseguente asportazione del denaro contenuto da parte di due indagati.

Tridico e Assumma, in particolare, avevano anche richiesto l’obbligo di firma per il pericolo di reiterazione del reato per alcuni degli indagati. Ma il gip Carpino ha rigettato la richiesta perché – è la motivazione del giudice – è passato troppo tempo dai fatti contestati, che risalgono al 2013.

Non c’è dubbio che il personaggio più famoso finito nelle maglie dell’inchiesta fosse Ippolito Spagnuolo, fratello dell’ex sostituto procuratore di Cosenza (e oggi procuratore della Repubblica di Vibo) Mario Spagnuolo. Tuttavia, l’inserimento del prode Spagnuolo nella lista degli indagati era sembrato un mero atto dovuto, visto che il personaggio in questione sarebbe andato in pensione dopo pochi mesi.

Gli altri, invece, non sono certo raccomandati da nessuno e infatti sono stati dati in pasto all’opinione pubblica senza particolari problemi.

Abbiamo avuto modo di leggere le carte dell’inchiesta (con 31 indagati non era poi neanche così difficile…) e siamo rimasti quasi di sasso quando abbiamo riscontrato che ci sono ben cinque soggetti che, stranamente, vengono addirittura seguiti e pedinati dai carabinieri, colti con le mani nella marmellata ma clamorosamente ignorati.

Poiché facciamo sempre nomi e cognomi, ecco le loro identità.

Partiamo dal più “grosso” ovvero Pietro Arpaia, medico legale di una certa notorietà a Cosenza. Finito nell’inchiesta mani e piedi e uscito pulito pulito a quanto pare senza colpo ferire.

E continuiamo con i dipendenti: Giorgio Campolongo, Maria Paola Rocca, Andreina Carbone e Antonio Bartolotto. Almeno due di questi dipendenti hanno usufruito di molti periodi di “malattia” abbastanza generosa, eppure, nonostante i controlli accurati, non figurano nell’elenco.

A questo punto, sarebbe interessante capire come mai i pm Tridico e Assumma li abbiano agevolati in maniera così palese e smaccata. E il nostro elenco di domande alla procura di Cosenza aumenta esponenzialmente. Possibile che ci sia del marcio anche nelle cosiddette inchieste “di punta” di questi magistrati che non fanno (quasi) mai il loro dovere?