Sant’Ippolito e Borgo Partenope, discariche pericolose e mai bonificate

SANT’IPPOLITO

A pochi chilometri da Cosenza, si erge a sud delle sue colline, Sant’Ippolito, un piccolo borgo nel quale gli abitanti della città trovarono rifugio nel X secolo per fuggire dalle invasioni saracene. Prende il nome dallo stesso santo patrono, un soldato romano del terzo secolo d.C. che, secondo la leggenda, subì il martirio trascinato da cavalli e il cui culto conobbe nei secoli scorsi una certa diffusione. A tal proposito è diventata una ricorrenza fissa la festa, che si celebra ogni estate, dedicata all’omonimo santo. La caratteristica di quest’evento è di aver mantenuto immutate nel tempo alcune tradizioni che la rendono interessante anche per gli appassionati della cultura popolare. Nei giorni dedicati al patrono (la festa ha il suo culmine il 13 agosto), sacro e profano si mescolano e il piccolo borgo, alle porte della città, diventa punto d’attrazione per i vari centri circostanti. Ma purtroppo, anche in questo luogo, non mancano i problemi.

Sant’Ippolito, in particolare, all’inizio degli anni Ottanta viene individuato dai “papponi” della Dc e del Psi come la pattumiera della città. E’ proprio in quel periodo che viene aperta una discarica grandissima e impressionante. Viavai di camion, scarico di rifiuti anche tossici e pericolosi. C’è persino una leggenda metropolitana che narra di cadaveri sotterrati.

All’alba degli anni Novanta, però, la gente di Sant’Ippolito si ribella e scende in piazza. Sono soprattutto le donne e i bambini a mobilitarsi per dire basta. E il sindaco dell’epoca, Pietro Mancini, è costretto a chiudere definitivamente la discarica dopo giornate di grande passione. Era il 1991. 

A ventiquattro anni dalla sua chiusura, l’ex discarica di Sant’Ippolito resta ancora ferma lì in attesa di bonifica della zona.

Un sito dismesso da tempo che non ha mai cessato di essere un problema per la gente che vi vive accanto. Un pericolo costante per la salute pubblica. Posta sotto sequestro, l’area è stata classificata, nel 2002, ad alto rischio e in Infrazione Comunitaria 2003-2007 ed occupa il tredicesimo posto in una classifica che comprende i 600 siti più pericolosi della Calabria. L’iter di bonifica si è fermato solo al progetto, nonostante la procura della Repubblica di Cosenza abbia aperto un’inchiesta. Ma il nulla, anzi l’assenza di una recinzione ha consentito a chiunque nel tempo di continuare a disfarsi di rifiuti di ogni genere, anche di tipo pericoloso come cemento-amianto e copertoni di auto, spesso dati alle fiamme. L’area è stata dunque accessibile anche agli animali da pascolo e la presenza di acque inquinanti ha causato nei giorni piovosi il ruscellamento del percolato nel fiume Crati che scorre a poche decine di metri.

Una vera e propria emergenza che, tuttavia, per chi di competenza non pare essere tale. Anche qui (come nelle frazioni vicine), anziché sfruttare le potenzialità del luogo (che sarebbe potuto diventare polo d’attrazione turistica), si è preferito procedere con la politica dell’abbandono. Dimenticando come sempre le vittime di tutto ciò: i cittadini costretti a respirare i veleni e che, purtroppo, troppo spesso si ammalano di tumori. E il numero è in costante crescita.

BORGO PARTENOPE

Un piccolo paesino che si estende su di una collina a sud di Cosenza, costituito da un centro storico di grande interesse culturale. Un tempo denominato Torzano, agli inizi del ‘900 prese il nome di Borgo Partenope, in onore del comitato napoletano che portò aiuti al paese distrutto dal terremoto del 1905. Oggi il luogo rientra tra quei centri che, seppur definiti minori, sono una risorsa per la Calabria e rappresentano un vero e proprio tesoro da scoprire.

Certo qualcosa deturpa l’armonia e il benessere del posto: esiste ormai da tempo una discarica abusiva di materiale di vario genere con presenza inquietante di eternit. Una vera e propria situazione di degrado e di inquinamento ambientale alla quale, ancora, non si è trovata una soluzione. Eppure lo scorso anno l’Assessore alla sostenibilità ambientale Carmine Vizza, a tal proposito, dichiarò: “E’ stata segnalata una discarica, sulla strada di collegamento con Borgo Partenope, che conterrebbe, tra l’altro, anche dell’eternit. Per amore di verità, la strada in questione è di competenza provinciale. Ciò nonostante, il Comune non è rimasto con le mani in mano, attivando anche in questo caso le procedure previste, in maniera tale da ovviare, con la collaborazione degli organi provinciali, alla situazione venutasi a determinare”.

Forse è venuta a mancare la giusta sinergia tra provincia e comune, non si sa, ma quel che si sa è che la discarica è ancora lì e continua a preoccupare enormemente i suoi cittadini. Ciò che da tutto questo tempo ad oggi, si chiamava emergenza, ora è ormai diventata quotidianità. Una quotidianità allarmante che conferisce alla Calabria la denominazione di “pattumiera d’Italia”, da sempre teatro di interessi criminali nel campo dell’ecomafia, che hanno esteso e diversificato le loro attività con attività cosiddette collaterali come il traffico illegale di rifiuti con la creazione di discariche abusive, il cemento illegale ottenuto con la mistura di rifiuti ma, soprattutto, con la gestione dei rifiuti pericolosi o tossici.

E nel caso della discarica di Borgo Partenope di tossico se ne può scorgere. Non si tratta, evidentemente, per chi ha l’obbligo di affrontarla, di una priorità, se (oltre discuterne) nulla è cambiato. Anche qui, come nei casali vicini, anziché sfruttare al massimo le potenzialità del luogo, da un punto di vista paesaggistico, agroalimentare e di conseguenza turistico, si è preferito procedere con la politica dei profitti, ma non a vantaggio di tutti ma di pochi. Viene naturale poi domandarsi perché tali colline al pari dei colli bolognesi (per fare un esempio), non hanno lo stesso riscontro in termini di affluenza e fatturato. La risposta è scontata soprattutto per i residenti della zona.

Valentina Mollica