Sistema Catanzaro. Giudici, avvocati e mafiosi. Valea, il presidente del Riesame e Staiano, il legale “specialista” in mazzette

Non sono passati neanche tre anni da quando al processo Rinascita Scott l’avvocato più sputtanato di Calabria, al secolo Salvatore Staiano, massimo esperto di massomafia e mazzette insieme ai suoi degni compari (ma forse sarebbe meglio definirli fratelli) Giancarlo Pittelli e Marcello Manna di Cosenza, aveva dato spettacolo nel suo controesame al pentito Mantella. II collaboratore di giustizia lo accusa con cognizione di causa innanzitutto di avergli procurato le perizie false per soggiornare a Villa Verde invece che in galera (con tanto di mazzette versate), di essere il gancio dei Grande Aracri con i giudici corrotti e di tante altre schifezze.

Il legale, dall’alto della sua infinita arroganza, ha dato il meglio/peggio di se nel patetico tentativo di screditare Mantella (che è uno dei testi più importanti del procuratore Gratteri) e adesso continua a dare “spettacolo” perché un Tribunale ancora più sputtanato di lui come quello di Salerno, da sempre alleato con la parte marcia dei giudici del distretto di Catanzaro (per informazioni chiedere a De Magistris!) ha assolto lui e i suoi fratelli, come da scontatissimo copione. E continua anche oggi parlando addirittura di “igenizzazione” o “sterilizzazione” della requisitoria quando dovrebbe essere lui – caso mai – a sciacquarsi la fogna, pardon la bocca… 

Ma per avere un quadro preciso di chi è questo signore e di chi sono i suoi complici, vi rimandiamo all’ormai leggendario articolo di Giovanni Tizian, che ne delinea esattamente i contorni e la spregiudicatezza. Unitamente a quella del famigerato ex presidente del Tribunale dei Riesame di Catanzaro Giuseppe Valea, ovviamente assolto anche lui a Salerno in virtù del famoso adagio “cane non mangia cane”. 

di Giovanni Tizian

Fonte: Domani 

Diecimila euro che passano di mano con una mossa rapida, dentro un ascensore, al riparo da occhi indiscreti e da eventuali telecamere. I protagonisti di questa storia non sono gangster di strada, ma colletti bianchi corrotti. Dentro l’ascensore ci sono un giudice, un commercialista e un medico in pensione. Il loro arresto ha travolto l’amministrazione della giustizia calabrese. Il trio, però, come raccontano i testimoni, è solo l’apice di un sistema.

“Una congrega nella massoneria che incorporava avvocati, medici e qualche giudice, racconta un boss della ‘ndrangheta pentito che ha pagato per essere scarcerato. Un mercato delle sentenze e degli incarichi, svelano avvocati e commercialisti nei verbali inediti che “Domani” è in grado di rivelare. Un sistema che si basa su un doppio binario: sul primo corrono le trattative per le sentenze, sul secondo l’accordo tra i legali di indagati o imputati, anche sospettati di mafia, giudici e professionisti che ottengono perizie sui beni sequestrati sulla base delle leggi anti cosche.

Un meccanismo corruttivo ricostruito nell’inchiesta della procura di Salerno diretta da Giuseppe Borrelli che ha portato prima all’arresto e poi alla condanna in primo grado di Marco Petrini, ex presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Catanzaro, e a capo della commissione tributaria del circondario. L’accusa del procuratore aggiunto Luca Masini, che lo ha portato a processo, era di corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta era stata ribattezzata dalla Guardia di finanza con il nome “Genesi”. Dalla storia di Petrini che incassava mazzette e aggiustava sentenze anche dei personaggi legati alle famiglie della ‘ndrangheta locale sono nati diversi filoni di indagine, tutti ancora in corso. Rivoli confluiti tutti a Salerno dove c’è la procura che si occupa dei procedimenti penali e delle segnalazioni sulle toghe degli uffici giudiziari di Catanzaro. Il caso Petrini è per l’appunto la genesi, l’inizio, l’argine visibile di un fiume sotterraneo fatto di favori, amicizie, clientele, e corruzioni tra avvocati, giudici e commercialisti. Da quanto risulta sarebbero almeno cinque i fascicoli di indagini aperti frutto di due diverse inchieste: quella che ha scoperto il giro di corruzione gestito da Petrini e l’altra che ha portato a centinaia di arresti su mafia e politica. Alla procura di Salerno il compito di ricostruire “il sistema”.

I PROTAGONISTI 

Alcuni protagonisti coinvolti nel filone Petrini, hanno deciso di parlare. E rivolgono accuse pesanti nei confronti di alcuni giudici calabresi che ricoprono ruoli cruciali: parliamo di giudici della Corte d’appello e di presidenti di sezione del Tribunale di Catanzaro. Il distretto giudiziario del capoluogo di regione è il più esteso per numeri, territori e competenze. Tra questi c’è l’avvocato Francesco Saraco, accusato di aver pagato il giudice Petrini con l’obiettivo di salvare il padre da una dura condanna in secondo grado e ottenere la restituzione dei beni sequestrati dall’antimafia nell’inchiesta su una cosca della provincia di Catanzaro. Una mazzetta da 150mila euro divisa in più tranche per risolvere la questione familiare. Saraco è stato condannato a un anno e otto mesi. Ai magistrati ha ammesso di essere un corruttore ma allo stesso tempo si è anche definito vittima di un sistema gestito da avvocati, commercialisti e alcuni giudici di Catanzaro. Il sistema a monte che gli inquirenti stanno cercando di esplorare, partendo dalle dichiarazioni di Saraco, di Emilio Santoro, ex dirigente dell’Asp di Cosenza, e da fascicoli in passato archiviati che oggi assumono rilevanza alla luce delle ammissioni di alcuni protagonisti.

IL GIUDICE E L’AVVOCATO

Sia Santoro che Saraco hanno parlato di un importante giudice di Catanzaro e di un “potente” avvocato. Il primo è Giuseppe Valea, presidente del Tribunale del Riesame, l’ufficio cioé che ha il potere di scarcerare indagati colpiti da misure cautelari e di dissequestrare i beni. Il secondo, il “potente” legale è Salvatore Staiano, del foro di Catanzaro, a inizio anno rinviato a giudizio per una storiaccia di perizie fasulle per favorire un boss poi pentito della ‘ndrangheta. una coppia sulla quale si sono concentrati i magistrati di Salerno, soprattutto perché nei verbali dei protagonisti della vicenda Petrini, i loro nomi ricorrono spesso. “In particolare Staiano, stando a quanto riferitomi da Claudio Antonio Schiavone (il commercialista pure lui al centro del giro di corruzione con Petrini,  ndr), aveva ottimi rapporti con Giuseppe Valea, avendo anche ricevuto dallo stesso diversi incarichi… Sono a conoscenza che Staiano era stato difensore di Valea in un procedimento che aveva avuto a Salerno…”. Procedimento poi concluso con un’assoluzione, confermano fonti giudiziarie a “Domani”. L’avvocato Saraco, nell’interrogatorio di giugno scorso, ha precisato: “Nell’anno 2018 Schiavone mi riferì che, grazie a Staiano, aveva ricevuto incarichi da Valea. Si trattava di un’azienda in odore di ‘ndrangheta. Quest’azienda se non ricordo male si trovava a Lamezia Terme e si occupava di onoranze funebri.. Non so riferire se, in cambio delle nomine di Schiavone, Valea percepisse soldi o altra utilità”.

Saraco aggiunge anche nuovi dettagli su una sentenza del Riesame che ha stabilito il dissequestro dei beni del gruppo imprenditoriale Perri, noti imprenditori locali proprietari di centri commerciali, sospettati in passato di legami con i clan. Tra gli avvocati che hanno gestito il caso c’è Staiano, “in ottimi rapporti” con il presidente del  Tribunale del Riesame. Saraco ricostruisce nei dettagli la vicenda Perri anche sulla base delle confidenze ricevute dal commercialista Schiavone “nominato consulente” e di cui “i clienti conoscevano le sue importanti relazioni anche con magistrati”. Insomma, il solito giro, sostiene Saraco, che spiega: “Tornando alla vicenda Perri, Schiavone mi disse che l’avvocato era riuscito a corrompere il giudice… mi disse a chiare lettere che l’esito era stato favorevole in ragione dell’accordo corruttivo e che il Perri aveva pagato il giudice”. Qui non è chiaro se il riferimento è ancora a Valea o a qualche altra toga, forse di grado superiore, per esempio della Cassazione. Al momento su quei nomi c’è un omissis.

Una delle ultime sentenze firmate da Valea risale al 4 dicembre scorso. Il presidente del Riesame ha concesso i domiciliari per incompatibilità causa Covid 19 a Nicolino Gioffrè, fino ad allora detenuto a Napoli, condannato in primo grado a 13 anni per essere il referente di una potente cosca. Il difensore di Gioffrè è Staiano.

Pochi giorni prima aveva fatto discutere un’altra decisione di Valea che ha permesso di lasciare il carcere ad Antonio Pontoriero una settimana dopo la condanna in primo grado a 22 anni per l’omicidio di Soumalia Sacko, il bracciante ucciso a colpi di fucile il 2 giugno del 2018 nelle campagne della piana di Gioia Tauro. Pure Pontoriero si è affidato alla difesa di Staiano.

Dice il boss pentito Mantella, che ha confessato di aver pagato Staiano per una scarcerazione: “L’avvocato mi diceva che aveva bisogno di ungere… di ungere qualcosa”. Contattato da “Domani”, Staiano dice: “Non commento e laddove dovessi avere un danno da quello che sta accadendo, eserciterò ogni azione legale consentita”. Staiano però conferma di conoscere Schiavone da molti anni: “ha lavorato per me per tantissimi anni”…

Nella seconda parte dell’articolo si parla invece del noto boss della sanità privata Pierino Citrigno, al quale il presidente del Riesame Giuseppe Valea ha dissequestrato il suo impero da 100 milioni di euro.

IL CASO CITRIGNO

Citrigno

Nei verbali letti da Domani, risulta che i magistrati di Salerno siano interessati anche ad un secondo dissequestro di cui ha beneficiato un altro gruppo imprenditoriale, i Citrigno editori e ras delle cliniche private; il capostipite Pietro è stato condannato in via definitiva per usura. “Sempre da Schiavone ho appreso che erano state date somme da detto indagato (Citrigno, ndr) affinché corrompesse”. Corruzione, aggiunge, che sarebbe andata a buon fine. L’accusa dopo la sentenza aveva chiesto il sequestro del patrimonio societario. I Citrigno si sono affidati ad un pool di legali, tra questi troviamo Staiano e tra i consulenti il solito Schiavone. Scelta azzeccata perché alla fine la suprema corte gli ha dato ragione. Prima ancora era stata la Corte d’appello di Catanzaro a condividere le tesi difensive. Il presidente che ha firmato la sentenza è Giancarlo Bianchi, prosciolto in passato dal Csm, che lo doveva giudicare per alcuni rapporti emersi in un’indagine antimafia della procura di Catanzaro. In quell’inchiesta si trovano le tracce dei buoni rapporti tra Bianchi e un avvocato sotto processo per complicità con le cosche, difeso sempre da Staiano: Giancarlo Pittelli. “Non siamo a Milano, a Catanzaro ci conosciamo tutti” risponde Staiano.

A Catanzaro esisteva “un sistema generale di corruzione di magistrati che vedeva come cardini due avvocati… in tale sistema il ruolo essenziale veniva svolto dai consulenti, periti, amministratori, i quali venivano nominati su indicazione degli indicati avvocati”.

L’EX PARLAMENTARE MASSONE

Tra i legali citati da Saraco c’è anche Pittelli, il potente berlusconiano, ex parlamentare di Forza Italia, massone del Grande Oriente d’Italia. “La massoneria ti apre autostrade mondiali”, spiegava Pittelli intercettato che, secondo il collaboratore di giustizia Andrea Mantella “aveva entrature nel Tribunale di Catanzaro, era una potenza perché era un massone”. Pittelli è imputato di concorso esterno alla mafia, il processo con rito abbreviato inizierà il 13 gennaio. Era stato arrestato nella maxi inchiesta sul clan Mancuso con centinaia di arresti del 19 dicembre 2019 firmata dalla procura antimafia di Catanzaro. Le comici del Ros avevano registrato una cena nella sua abitazione con magistrati e altri professionisti. Una serata conviviale finita in informative senza ipotesi di reato inviate alla procura di Salerno competente sui magistrati catanzaresi.

Funziona così il “sistema Catanzaro”, amicizie, favori, mazzette e sentenze comprate, dicono i pentiti e i testimoni. Una “congrega” appunto per usare le parole di Mantella, ex della ‘ndrangheta.