Tirreno Cosentino, parla il maresciallo Galati: “Gli accordi non rispettati svelano le collusioni tra politici e imprenditori”

di Saverio Di Giorno

Le strade non sono che arterie e i luoghi organi, sono nervi e muscoli. Pulsano, si tendono e si rilassano. Le strade hanno occhi nei lampioni, nelle crepe dei muri. Da qualche tempo quegli occhi guardano sottecchi e si respira un umore diverso. Qualche settimana fa un’auto incendiata in località Pantano a Scalea e più di recente ben due a San Nicola Arcella. Sono solo gli ultimi di una lunga serie. La frequenza di questi atti pare essere aumentata. L’associazione Libera di Cetraro prima di questa estate ha provato a lanciare l’allarme con un presidio pubblico sul lungomare di Santa Maria, un allarme rimasto un tantino isolato e unico.

Nella terra degli antichi greci e delle morie nulla sembra essere casuale. Ci si abitua a caricare di senso ogni episodio e intravedere tessuti. In terra di ‘ndrangheta e quindi di controllo questi episodi sono errori, sgrammaticature che rompono la pace. Occorre a volte un aiuto, delle dritte, per non perdersi troppo nelle trame. Il maresciallo dei carabinieri in pensione Francesco Galati attualmente è un avvocato e consulente politico dell’amministrazione Licursi a Scalea, ma in passato è stato attivo in Calabria in ambito operativo ed investigativo e quelle strade le ha percorse tante volte. È lui stesso a confermarmi di essere la persona giusta.

Alcuni cronisti monitorano la situazione da qualche anno e provano a lanciare un allarme: sono aumentate le sospette intimidazioni. Spari contro mezzi di ditte, incendi di strutture turistiche, e per ultimo automobili. Possibile sia solo un’impressione?

I reati in genere, compresi quelli presumibilmente legati alla criminalità organizzata ed alla microcriminalità, sono diminuiti rispetto al decennio precedente. Il dato da considerare deve riguardare un periodo non inferiore a dieci anni e non riferito a pochi anni. In questo modo si ha una visione reale delle cose. L’aumento o la diminuzione dei reati o la paura di essere vittima non è rilevante per l’ordine e la sicurezza pubblica. Infatti, paradossalmente la diminuzione dei reati non è legata all’aumento delle denunce e quindi all’attività di Pubblica Sicurezza. Anzi, se pochi reati vengono denunciati significa che la criminalità controlla il territorio. Il timore, invece, è proprio che possa provarsi una connivenza tra pubblici amministratori ed il gruppo malavitoso di corrispondenza con le relative gare d’appalto truccate e turbate. Inoltre nei contenziosi extragiudiziari l’organizzazione ed il sistema dello Stato, così com’è, potrebbe incontrare difficoltà a gestire queste problematiche. L’autonomia amministrativa degli organi statali e parastatali che gravitano sul bilancio dello Stato non sono amministrativamente sufficientemente coordinate per rispondere adeguatamente. In controtendenza le uniche Istituzioni a cui fanno riferimento i cittadini sono la Magistratura e le Forze dell’Ordine. Relativamente agli attentati incendiari bisogna sottolineare che potrebbe trattarsi anche di un fatto culturale e di esercizio del potere. Esempio: mancanza di rispetto nei confronti di una persona o famiglia, mancato pagamento di un debito o di una fornitura ad hoc. Questo succede in Calabria, ma non solo.

Forse semplicemente si viene a sapere di più. Sono aumentate le denunce?

Assolutamente no. Perché, come ho spiegato, l’aumento delle stesse non risolve le problematiche.

Chi è nato nei nostri territori sa perfettamente che quando una cosca è forte non può permettersi che si verifichino questi episodi nel proprio territorio. Anzi vuole che si mantenga in pace. Perché questi episodi fanno calare prestigio e consenso. Il clan sta subendo attacchi? È in crisi?

Io non parlerei di clan che controlla il territorio perché sarebbe un’utopia ma di una collusione tra politici ed imprenditori. È evidente che in questo caso il cerchio si chiude con la sottomissione dei debitori. Pensiamo ad esempio ai proventi illeciti investiti da questi nelle campagne elettorali, cosi come agli imprenditori che hanno avuto bisogno, anche loro, del supporto di certi ambienti per gli stessi motivi. È evidente che il rischio è notevole qualora gli accordi di qualsivoglia natura, non vengono rispettati. Personalmente per il lavoro svolto in passato ho avuto contatti con persone legate ad ambienti della criminalità e conosco bene la loro mentalità. È da rilevare che la giustizia basata sui principi di lealtà consente di piegare alla volontà dello Stato anche elementi criminali quando si risponde in modo leale ed onesto anche se autorevole.

Anche nel caso sia lo stesso clan che voglia farsi sentire significa che ne ha bisogno?

Forse. Probabilmente si.

Agli episodi si aggiungono alcuni furti di portavalori, rapine ecc. ad opera soprattutto di persone di fuori, campane. Sono incursioni di gang esterne che approfittano della crisi del clan? Qualcuno che cerca liquidità?

Ripeto e che passi questo messaggio. Non parlerei di clan ma di logiche di criminalità diffusa.

Pare inoltre che alcuni lamentino che sulle nostre piazze siano cambiate le sostanze e che alcuni lamentino degli scarsi guadagni. È forse un segnale della concorrenza che è aumentata e non si riesce più ad avere il monopolio?

Non è un problema di concorrenza perché il più piccolo spacciatore sa bene che l’unica diffusa sostanza stupefacente è quella della cocaina. Appare sulle strade come “crack” e come base libera ed accresce la performance cognitiva e motoria. Le altre hanno poca importanza per il notevole giro d’affari.

Un altro aspetto di questa possibile crisi è il racket. Per un periodo sul nostro territorio se ne sentiva parlare di meno (segno che il clan aveva altre entrate evidentemente) ora invece è di ritorno.

Ritorno nel dire per l’ennesima volta che non parlerei affatto di clan. Evidentemente mutate le situazioni si ritorna a pratiche sperimentate a lungo. Su questo la microcriminalità soprattutto ha prosperato a lungo in passato ed ora c’è un ritorno probabilmente per esigenze contingenti.

Ci sono voci che dicono che i referenti politici del clan siano rimasti più soli e che il clan riesca a muovere meno voti o magari si sia spostato verso altri referenti più promettenti. È possibile? Queste dinamiche tra l’altro pare si stiano verificando in tutta la Calabria e in particolare nella provincia di Cosenza quindi non sarebbe strano.

Ritengo che tali voci non siano attendibili perché, se esiste, la criminalità organizzata  dovrebbe essere in grado di creare un voluminoso spostamenti di voti. È pur vero che quando vengono meno i sostegni politici e di altra natura, dovuti anche ai cambiamenti di compagine rappresentativa, e quindi anche a nuovi innamoramenti, questi spostamenti comportano meno coerenza e quindi disfunzionalità nelle strutture delle organizzazioni criminali.

Le grosse inchieste che hanno interessato i nostri territori (ultima Nuova Frontiera) hanno disarticolato il segmento militare della cosca. Non l’hanno sconfitta ma forse l’hanno indebolita? O che effetti hanno avuto?

Indubbiamente le grosse inchieste portate a buon fine nei nostri territori hanno nuociuto strutturalmente all’organizzazione della criminalità. Se è vero che non l’hanno sconfitta, certamente ne hanno minato l’efficienza, il che lascia sperare che il prosieguo di queste iniziative possa far conseguire in futuro risultati importanti.

Lei ripete sempre che gli uomini ci sono e sono anche molto preparati quindi perché si verificano con questa frequenza questi episodi? Dove sono i problemi?

Da tutore dell’ordine ho avuto ed ho piena consapevolezza che le risorse professionalmente molto preparate ci sono e portano a termine le loro missioni con pieno soddisfacimento delle istituzioni che ogni giorno di più devono, però, sostenerli per il controllo del territorio.  I problemi probabilmente risiedono nella disfunzione e mancato coordinamento delle istituzioni nazionali e locali.

Infine. Da noi si mormora sempre di una grande inchiesta che dovrebbe coinvolgere non solo la parte militare delle cosche, ma anche i professionisti e la parte politica. Perché non si riesce mai ad averla però? Possibile non ci siano questo tipo di infiltrazioni?

Di grandi inchieste si parla da sempre ed indubbiamente una grande inchiesta coinvolge tutte le strutture operative delle organizzazioni criminali, siano esse gruppi di fuoco, professionisti o politici. Perché spesso non si riesce a promuoverle? Perché come già detto, i problemi che risiedono nella disfunzione e nella difficoltà di coordinamento delle istituzioni nazionali e locali rendono difficile realizzare delle inchieste che richiedono una consapevolezza diversa per riuscire ad affrontarle.

È tempo di aprire un dibattito sullo stato del nostro territorio. Quelle del maresciallo come questi episodi sono comunque risposte a problematiche e ne aprono altre: il governo del territorio, gli accordi sotterranei e il ruolo dei cittadini, delle associazioni e dello Stato chi troppo silente, chi scoordinato, chi silenziosamente complice.
È tempo di riempire quelle strade, mettere insieme nervi, organi. Essere corpi di corpi e ragionare anche perché in attesa delle risposte serie e non fantasiose, quelle delle istituzioni, non si può fare altro. Forse arriveranno.