Traditi, uccisi, dimenticati (di Saverio Lodato)

di Saverio Lodato

Fonte: Antimafia Duemila (https://www.antimafiaduemila.com/rubriche/saverio-lodato/89561-traditi-uccisi-dimenticati.html)

Sant’Agostino“La cura dei funerali, la scelta della sepoltura, la pompa delle esequie sono più di consolazione ai vivi che di aiuto ai morti”.
Parole che potrebbero aiutarci, a trent’anni dalla strage di Capaci. 
Giovanni Falcone morì con il volto rivolto al nemico.
Tutta qui la sua lezione.
Non anelava a cose future.
Né a onori, né a carriere da vivo.
Né alla retorica in pompa magna, una volta che si fosse radicalmente distaccato dalla vita.
E verrebbe da dire, a conti fatti, che gli è andata male in tutti i sensi, da vivo e da morto.

Sarebbe invece bastato così poco. Dipendeva solo da noi.
Dipendeva tutto da come gli altri avrebbero impiegato gli anni a venire.
Da quanto tutti avrebbero fatto propria la sua lezione.
Da quanto gli fossero rimasti fedelmente al fianco, quasi appiccicati al suo ricordo, con l’intransigenza di chi aveva davvero capito la lezione. La sua lezione.
Ecco perché sembra che in trent’anni non sia cambiato nulla.
Dell’eredità di Giovanni Falcone non è stato raccolto nulla.
Sono stati assicurati alla giustizia, questo sì, gli esecutori dell’eccidio.
Ma chi volle davvero la sua morte? Quali furono i nemici ai quali rivolse il volto senza arretrare di un millimetro?

Supposizioni infinite. Supposizioni che durano da trent’anni. Si continua a indagare, si continua a processare. Ma la verità, ormai, sembra essere volata via.
Quali furono i mandanti, a volto coperto, a non voler riposare nella certezza della sola perfezione militare di un branco di incolti, per quanto armati sino ai denti? Altra verità che ormai è volata via. E il discorso si farebbe infinito, a volerlo dilatare anche a Via D’Amelio, alla morte parallela a quella di Giovanni Falcone, quella di Paolo Borsellino. Una decina di processi.
Processi volenterosi, ma processi mutilati.
Processi nati storti, perché se la condizione iniziale doveva essere quella che lo Stato Italiano andava garantito per principio, restando fuori dalla regia dell’orrore, il raccolto giudiziario sarebbe stato – come è accaduto – assai scarno. Il tempo ha giocato a tutto vantaggio dei nemici di Giovanni Falcone e di tutti quelli come lui assassinati per avere combattuto a viso scoperto.
Giovanni Falcone voleva una politica che si facesse da parte rispetto alla voracità della mafia. Gli sembrava che la formuletta “in attesa della sentenza definitiva” fosse foglia di fico inaccettabile per una classe politica che non voleva mai assumersi le sue responsabilità.
E che direbbe proprio Falcone oggi, in questi giorni di vigilia elettorale siciliana, in cui i nonnetti di un tempo che fu, i Marcello Dell’Utri e i Totò Cuffaro, tornano alla ribalta in veste di consiglieri, suggeritori, ispiratori, riservisti, orgogliosi di aver scontato ormai la galera definitiva per le loro definitive condanne per mafia?

Giovanni Falcone voleva una magistratura che a stragrande maggioranza si convincesse, dimostrandolo nel suo lavoro, del suo ingenuo adagio che la mafia, come tutte le cose della vita, avendo avuto un inizio, avrebbe avuto una sua fine.
E che direbbe invece proprio Falcone di una magistratura pietrificata nell’ascolto di quelle sirene del potere per le quali – oggi come allora – la sconfitta della mafia è l’ultima delle preoccupazioni? La figura di Giovanni Falcone non è mai stata in Italia la figura del magistrato ideale. La smettessero con le chiacchiere. Tutti coloro i quali, chi più chi meno, hanno cercato di rifarsi al suo esempio professionale, hanno pagato in maniera assai salata in termini di immagine, di professione, di vita privata. L’Italia non è un paese per magistrati che pretendono di indagare sulla mafia e sul Potere.
Giovanni Falcone voleva una legislazione antimafia che doveva tradursi in carcere duro, ergastoli definitivi in assenza di collaborazione con la giustizia, e premiale per i cosiddetti pentiti.
E che direbbe proprio Giovanni Falcone dell’attuale riforma della giustizia, a firma Marta Cartabia, che proprio su questi punti ha sollevato un coro di voci negative da parte dei magistrati attualmente più in vista nella lotta alla mafia?
Voci inascoltate. Voci ignorate. Voci irrise.
Come nel caso di coloro che dicono che la bontà di questa riforma si misurerebbe proprio dal fatto che a una certa magistratura non è gradita.
Ci fu una grande stagione.
Una stagione di speranze e di rivolta sociale. Palermo si smosse. Si vide pure la Chiesa fare sino in fondo la sua parte. Purtroppo fu una stagione effimera. Una grande folata di vento, a metterla a confronto con i trent’anni che sarebbero venuti. Quella stagione oggi è finita.
Noi dobbiamo metterci tutti l’anima in pace.
Non conosceremo mai sino in fondo cosa nasconde il pozzo nero delle stragi del 1992.
I mandanti moriranno di vecchiaia.
Tribunali e Corti d’assise continueranno a produrre valanghe di carta.
E in quella carta, quando andrà bene, saranno nominati, oltre ai mafiosi, personaggi sui quali non è mai stato possibile “raccogliere le prove”.

Il diritto alla verità, però, non cade mai in prescrizione.
E se la verità ufficiale non arriva, nessuno può impedire ai cittadini di dirsi convinti che Stato e Mafia, da oltre un secolo e mezzo, sono state facce di una medesima medaglia. Prova ne sia che la giustizia ha dimostrato di avere le mani legate.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme a uomini e donne delle loro scorte, sono rimasti nel cuore degli italiani per bene. Ma non sono mai entrati nella testa dei politici, e di nessun colore. E questa affermazione non si può discutere.
Quanto a funerali, sepoltura e pompa delle esequie, ci atteniamo alle parole di Sant’Agostino.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino volevano tutt’altro. Per questo, a loro, è andata male in tutti i sensi. Eppure siamo sicuri che rifarebbero tutto daccapo.