Tropea, il sindaco e gli orrori al cimitero. “Non servono più altri incantatori di serpenti e venditori di fumo”

Di buone intenzioni sono lastricate le vie del Signore

“Nemmeno Diogene con il suo lanternino avrebbe potuto disvelare le mistificazioni e le fuorvianti verità del sindaco di Tropea in ordine ai raccapriccianti episodi verificatisi nel locale cimitero”

Fonte: Tropea e dintorni (https://www.tropeaedintorni.it/di-affrescatori-di-nuvole-tropea-ne-ha-gia-avuti-tanti.html)

“Mi sento deluso e tradito”, ha chiosato, per gli accadimenti obbrobriosi avvenuti nella “mia” città, significando con questo suo risentimento che l’offesa più grave è stata fatta a lui e non, viceversa, alla città. Parole di una ipocrisia sconcertante che simulano all’apparenza buoni sentimenti e buone intenzioni, ma che in realtà prefigurano doppiezza, ambiguità, cinismo. Di buone intenzioni sono lastricate le vie del Signore, solo che per renderle realistiche e credibili non bastano voli pindarici, insulsa retorica ed una dose abnorme di populismo e di simulazione della verità. Di incantatori di serpenti, di venditori di fumo, di affrescatori di nuvole Tropea ne ha già avuti tanti, non ne servono più.
Il sindaco Macrì può dilazionare fino all’infinito, magari edulcolarla con frasi ad effetto, la terribile vicenda della esumazione delle salme o sminuirla con il facile ragionamento gesuitico o addirittura con elucubrazioni manichee e sofiste, ma i tropeani sperimentano giornalmente quali sono i suoi limiti e l’atteggiamento di disprezzo verso ogni sentimento e valore umano che permeano la comunità tropeana. Nessun pazzo può essere tanto pazzo da pensare sul serio che con le dichiarazioni d’intenti l’affronto è possibile lavarlo né che un paese in lenta agonia che si mantiene in vita per una sorta di accanimento terapeutico può es-sere risollevato.

E non v’è dubbio che l’essere andato in pellegrinaggio dal prefetto, dr. Zito, sia valso a ricevere una piena assoluzione, né che le sviolinate accattivanti nei confronti del Procuratore della Repubblica, dr. Falvo, siano sufficienti a considerarlo non corresponsabile in merito ai raccapriccianti fatti verificatisi presso il cimitero di Tropea. Sarebbe stato più dignitoso cospargersi il capo di cenere, andare a Canossa, anziché escogitare strumentali iniziative tese a buttare fumo negli occhi. Sarebbe stato più dignitoso inoltre assumere un contegno meno sprezzante e più rispettoso verso la città anziché giocare di rimessa secondo una tipica mentalità calcistica inglese: “la maggior difesa è l’offesa”. E’ offensivo e fuorviante poi l’alibi inteso come strumento di difesa sollevato ad arte per giustificare la sua volontà di non dimettersi. “Non consegnerò mai la “mia” città agli sciacalli e agli speculatori”, chiosa da bullo del quartierino, dimenticando che in caso di dimissioni la città sarebbe consegnata ai tropeani. E poi, chi è più sciacallo, coloro che esercitano il dovere sacrosanto di criticare, chi, mentendo sapendo di mentire, mistifica la verità coprendo, di fatto, gli autori del raccapricciante crimine, o chi, come l’asino di Buridano, si trincera dietro l’incapacità di scegliere tra onestà intellettuale, mancanza di coraggio e tendenziosità al raggiro e alla simulazione?

E non v’è dubbio, altresì, che egli nel suo farneticante incipit scambia l’immensità egocentrica con la limitatezza della sua persona e delle sue percezioni. In questo Giano bifronte della politica tropeana, in sostanza, cinismo, malafede, presunzione si intridono reciprocamente in un crescendo di balorda retorica all’in-terno della quale non è dato trovare il bandolo di una qualsivoglia trama concettuale credibile.

Scenda, quindi, dall’iperuranio, poggi i piedi per terra e pensi a tutelare maggiormente i cittadini contro “influenze” esterne, si preoccupi di salvaguardare l’interesse collettivo, cominci finalmente a considerare la politica come spirito di servizio e non come presupposto a servirsi di essa.

L’evento doloroso e vile già da solo sarebbe sufficiente a rassegnare le dimissioni dell’intera compagine, ma è il modo di gestire la cosa pubblica che lo impone, non solo per opportunità ma anche per dignità politica. Si tratta, in sostanza, di un modo a dir poco discutibile, al punto di inficiare il ruolo e la stessa funzione relativa all’agibilità democratica dell’amministrazione e mette a nudo le varie problematiche che attanagliano la città. L’analisi non potrà non vertere soprattutto sulla pianificazione attuata in questi anni, cercando di capire se essa ubbidisce alla solita ottica clientelare, se soddisfa i bisogni di ognuno, se dimentica che l’interesse collettivo non è la somma degli interessi individuali, ma li sovrasta, li compone, ne prescinde e talvolta contrasta con essi.

Contestualmente non potrà non essere tenuto nella giusta considerazione l’assenza di un vero indirizzo politico, la gestione monocratica del potere, la non sempre attenta incentivazione delle risorse primarie della città -(cultura, turismo, etc…)-, l’assenza di democrazia intesa come partecipazione attiva e fattiva dei cittadini alla “res pubblica” e, soprattutto, l’accentuarsi di un fenomeno inquietante che annulla la dignità del cittadino rendendolo succube di minoranze privilegiate: la mafiosità.

La mafiosità è un atteggiamento che ci è stato inculcato a piccole dosi da un potere prepotente, conservatore e senza scrupoli che pur di non perdere i propri privilegi cerca di acquistare consensi con facili promesse, raccomandazioni, favori e gentili concessioni, e quando tutto ciò non è possibile, con ricatti, atteggiamenti vessatori, minacce più o meno velate tanto che spesso i cittadini non riuscendo a trovare nella società civile alcuna possibilità di riscatto sono costretti a sottostare alla legge del più forte per ottenere quello che poi alla fine è un loro preciso e sacrosanto diritto. Questo fenomeno è insito in tutti i settori della politica asservita al potere affaristico-clientelare e appartiene a quegli schieramenti che non riuscendo a promuovere iniziative nel rispetto della legalità e della dignità della persona sono costretti a utilizzare tale fenomeno per raggiungere i loro obiettivi.

Ed è purtroppo verosimile che anche l’amministrazione comunale di Tropea non sia immune da questa “malattia”, da questa alterazione mentale e morale. Il che starebbe a significare che all’interno dell’ente alberga un sistema di potere non improntato alla trasparenza. Molte altre ancora sono le disfunzioni che gravano su Tropea deturpandone il volto e penalizzandola sotto l’aspetto ambientale, culturale e politico -(altro che capitale della cultura!)- per cui una forte presa di coscienza -(le dimissioni)- basterebbe a ridare dignità ad una città gravemente offesa, incominciando così a fare sul serio quella rivoluzione culturale contro ogni tipo di sistema criminoso che porterà noi e le future generazioni ad essere un po’ più virtuosi e temperanti, con buona pace delle “allegre comari di Windsor  facebookiane”, ignare che il Campidoglio è stato già occupato, e dei “poteri forti” che, nonostante tutto, continuano a reggere il moccolo a questo sindaco.

(Ex Direttore Sanitario P.O. Tropea)
Dr. Tino Mazzitelli