Tutti gli uomini del Ponte: solo gli annunci sono già costati oltre un miliardo di euro

(Daniele Tempera – today.it) – Quello di unire la Sicilia all’Italia è un sogno antico. Secondo Plinio il Vecchio gli unici a realizzarlo realmente furono i romani, anche se a modo loro:  parliamo di un ponte di barche e botti che serviva a far transitare elefanti cartaginesi dalla Sicilia a alla Calabria. Un’idea quasi fiabesca, ma ad ora l’unica effettivamente realizzata (ammesso che il racconto sia vero) per unire l’isola al resto della Penisola.

Il Ponte sullo Stretto di Messina è uno dei grandi miti della nostra Storia. Salvini ha recentemente dichiarato che il Ponte si farà e che costa meno del reddito di cittadinanza. Una promessa rinverdita anche all’immancabile studio di Bruno Vespa con tanto di plastico, mentre il Governo Giorgia Meloni ha riavviato il progetto del Ponte sullo Stretto definendolo “opera prioritaria”. L’obiettivo del Governo è fare approvare il progetto esecutivo entro metà del 2024 per poi partire speditamente con i lavori. Un annuncio che ci fa tornare alla memoria molti altri momenti della nostra Storia.

Perché il Ponte sullo Stretto fa parte della mitologia italiana

Molti collegano la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina a Silvio Berlusconi. In effetti l’opera faraonica era parte integrante del “nuovo miracolo italiano” promesso dal leader forzista. Annunciò la sua costruzione in pompa magna nel 2002: “Il ponte di Messina si farà, la prima pietra verrà messa nel 2004, entro sei anni sarà completato”. Doveva essere un ponte da Guiness dei primati, lungo 3.360 metri e dal peso di più di 97mila tonnellate. L’iter si bloccò con l’avvento del Governo Prodi, ma Berlusconi lo ripropose ancora una volta nel 2010. Questa volta furono avviati anche i primi lavori propedeutici alla costruzione dell’opera, ma siccome tre anni dopo c’erano ancora i traghetti a solcare il tratto di mare che separa lo Stretto, e il progetto era stato bloccato ancora una volta dal Governo Monti nel 2012, Berlusconi ribadì a un comizio elettorale a Palermo:  “Prima di morire spero di attraversare il ponte sullo stretto di Messina”. Correva l’anno 2013. Il resto è storia recente.

A riprendere la staffetta della costruzione del Ponte e integrarla nel suo storytelling di “nazione che si rimette in moto” fu Matteo Renzi. Secondo l’ex leader Pd il progetto poteva portare addirittura 100 mila posti di lavoro. Era il settembre 2016, da lì a poco avrebbe rassegnato le dimissioni dopo la sconfitta nel referendum costituzionale. L’ultimo “uomo del ponte” solo in ordine di tempo è stato Giuseppe Conte che si è detto nel 2020 aperto a valutare “senza pregiudizi” la sua costruzione. Ma al di là di questi ultimi anni, la costruzione dell’opera è uno dei topos ineludibili della politica italiana.

L’idea di costruire un ponte sullo Stretto di Messina nasce prima dell’Unità d’Italia con Ferdinando II di Borbone. Ma si sviluppa pienamente nell’ambito della nuova unità nazionale: tutti i politici del nuovo Regno vedevano nella realizzazione dell’opera una sorta di compimento anche infrastrutturale del processo di unificazione. Il tragico terremoto di Messina del 1908 che portò distruzione tra le due sponde riportò tutti al realismo: le condizioni sismiche dell’area consigliavano molta prudenza. Le idee e i progetti ripartirono pienamente solo dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1981, dieci anni dopo la legge attuativa, fu costituita una società per la realizzazione del ponte la “Stretto di Messina S.p.A.”. Il primo annuncio ufficiale della realizzazione di un politico fu quello di Bettino Craxi che nel 1985 dichiarò che “Il ponte sarà presto fatto”. L’anno prima del resto, l’allora presidente dell’Iri Romano Prodi parlava di “opera prioritaria” per il Paese”. Ma gli annunci sono rimasti solo sulla carta e hanno già pesato sulle tasche degli italiani.

Il ponte che non c’è, ma che già paghiamo

Anche se nessuno lo ha mai visto, da tempo tutti lo stiamo già pagando. Tra appalti, studi di fattibilità, penali lo Stato ha già sborsato 1,2 miliardi come ha rivelato un’inchiesta del Corriere della Sera. E dopo 54 anni di rinvii anche il suo costo è lievitato nel tempo: si è passati dai 5 miliardi del 2001 fino agli 8,5 del 2012. Oggi il piano del Governo dovrebbe attestarsi sul progetto del 2011, che prevede un ponte a una campata per circa 7 miliardi di euro di costi complessivi. Il decreto del Governo ha riesumato anche la Società Stretto di Messina S.P.A dalla liquidazione, società in house partecipata da Anas, Regione Calabria e Sicilia. Ma mentre il Governo è impegnato nel reperimento dei fondi il progetto potrebbe confliggere con le normative Ue, proprio perché la società era in liquidazione e si potrebbe avere difficoltà ad accedere ai fondi del PNRR.

La bocciatura del progetto da parte del governo Monti nel 2012 ha portato alla richiesta di indennizzi da parte delle società vincitrici dell’appalto e della stessa Società dello Stretto, una vicenda che è finita addirittura davanti alla Corte Costituzionale e sulla quale il Quirinale ha chiesto chiarimenti. Il nuovo decreto ripropone infatti i vecchi accordi stabilendo la rinuncia a ogni rivalsa, come se nulla fosse, dei vecchi rapporti contrattuali, ma rischia di confliggere con le normative UE in materia. Il progetto, come nel 2011 è quello del Ponte a una sola campata con due piloni alti 600 metri sulle terraferma: una necessità per evitare le criticità del fondo marino. Quello che è certo è che il progetto per la Sicilia potrebbe essere importante: uno studio stima in 6,5 miliardi annui il costo del mancato collegamento per l’isola, quasi 1500 euro per abitante. Ma i dubbi sono ancora molti e anche l’ultimo progetto del Governo presenta molte incognite.

Tutte le criticità di un’opera faraonica

L’evidenza principale è una: il ponte dovrebbe essere costruito in uno dei punti più sismici d’Europa. Abbiamo già citato il terribile terremoto del 1908 che provocò un numero di morti compresi tra 75mila e 80mila. Secondo i geologi le coste di Sicilia e Calabria si allontanano ogni anno di 4-10 millimetri: una caratteristica vista sempre come molto problematica per la costruzione dell’opera. Il punto vero, come sottolinea La Stampa, è poi la lunghezza della campata che misurerebbe ben 3.300 metri, contro i 1900 di quello record sullo stretto di Askashi, in Giappone. Dovrebbe essere realizzato dove i due punti dello Stretto sono più vicini, ovvero abbastanza lontano dalle città di Messina e Reggio Calabria, una caratteristica che renderebbe di fatto problematico il traffico e il suo utilizzo e costringerebbe molti a continuare utilizzare i traghetti. Un’altra soluzione sarebbe quella di un ponte a tre campate che unisca le due città, ma in questo caso i problemi sismici aumenterebbero sensibilmente proprio per le caratteristiche geologiche dell’area.

C’è poi il problema dei trasporti: il Ponte sullo Stretto avrebbe sicuramente più senso se tra Sicilia e Calabria fosse sviluppata una rete ferroviaria basata sull’alta velocità che non esiste e se nelle due Regioni ci fossero infrastrutture di mobilità, stradale e ferroviaria adeguate. La realtà è che siamo molto lontani da queste premesse e che, malgrado i finanziamenti del Pnrr difficilmente si potrà arrivare a questi obiettivi. Insomma, il Ponte rischia di essere la classica Cattedrale nel deserto.

Esiste poi un impatto ambientale non trascurabile: il Ponte passerebbe su una delle aree più ricche di biodiversità di tutto il Mediterraneo. Il WWF in particolare lo ha bollato come un “progetto fallimentare” dagli insostenibili costi finanziari e ambientali. Nel 2021 uno studio promosso, tra gli altri da Legambiente, ha bocciato il progetto definendolo “dannoso per l’ambiente”, schierandosi sull’efficientamento dei trasporti marittimi della zona.Nell’area sono presenti infatti diverse aree naturalistiche dedicate alla salvaguardia della fauna: un’evidenza che era costata all’Italia l’avvio di una procedura di infrazione europea nel 2005 per quanto riguarda i soli studi preliminari. Per gli ambientalisti tra l’altro, la costruzione del Ponte non scoraggerebbe l’uso dei traghetti, specialmente nelle giornate di forte vento. Ma al di là degli appunti delle associazioni ambientaliste rimane un’evidenza. Con il Green New Deal si tende sempre di più a scoraggiare il traffico su ruota e sempre più quello navale e ferroviario a basse emissioni.

Insomma, il cammino verso la sua costruzione appare, ancora una volta in salita, ma il richiamo di uno dei miti sempreverdi della politica italiana è spesso più forte delle criticità.