“Una rosa per Teresina”: ritratto della provincia di Catanzaro tra Ottocento e Novecento

L’inquietudine della storia in UNA ROSA PER TERESINA

“Una rosa per Teresina” di Emilio Grimaldi, edito da Officine editoriali da Cleto, è un romanzo storico circoscritto nella provincia di Catanzaro a cavallo tra l’800 e il ‘900. C’è il capoluogo, ci sono i paesi: Belcastro, Petilia Policastro, Gasperina e Girifalco. E ci sono le famiglie: c’è quella nobiliare De Salazar e quella contadina dei Lucà, e anche quella imprenditoriale dei Gimigliano. C’è l’attività di cancelliere delle Preture di Eugenio, le cause sottoposte alla sua attenzione e del responsabile dell’ex Mandamento, e c’è il manicomio, il primo nel Sud Sud d’Italia inaugurato nel 1881, l’altro si trovava ad Aversa. Gli ingredienti sono quelli di un romanzo sudamericano alla Gabriel Garcia Màrquez oppure di una “Gelusa” di Loredana Nigri. E poi c’è lei, Teresina, rinchiusa in manicomio senza motivo.

Cioè lei non fa altro che chiedersi perché dovrebbe essere malata, ma nessuno sa darle una risposta soddisfacente. Lo stesso direttore Benedetto Frisco sulle prime gli dà ragione, ma poi si fa coinvolgere da quel pregiudizio lombrosiano e istituzionale secondo il quale tutti potevano soffrire di qualcosa: era sufficiente che qualcuno denunciasse il malcapitato. E una volta lì dentro era difficile uscirne. Poi c’è anche il pregiudizio sui soldati venuti dal fronte: il governo di allora chiedeva venissero guariti in fretta per essere rispediti subito al fronte. E dunque c’è anche il preconcetto sui militari che non potevano arrogarsi il diritto di soffrire per la guerra in sé stessa, per gli effetti devastanti della guerra combattuta da contadini e da uomini che fino al giorno prima avevano conosciuto solo la luce del sole e la semplicità e i sacrifici della terra. C’è tutto questo nel romanzo su Teresina. Tuttavia, l’interrogativo principale non viene sciolto del tutto: Perché è stata internata Teresina Lucà fu Vincenzo di Petilia Policastro?

Il romanzo non dà una spiegazione documentata sugli eventi, ma concede ai lettori gli strumenti per giungere ad una conclusione, ognuno per conto suo. Forse il denaro, l’eredità? Non sappiamo. Ciò che sappiamo è che il romanzo è stato scritto per “non per il denaro”, ma per il “cielo e l’amore”, il titolo dell’epilogo che parafrasa Fabrizio de Andrè.

Per il nome, sicuramente: Iolanda, la figlia di Teresina, viene a sapere la verità sulla madre e sul padre che l’aveva riconosciuta prima di morire, alla veneranda età di 70 anni. Fino ad allora “qualcuno” le aveva sempre detto che orfana di padre era stata abbandonata dalla madre. Si è trascinata per tutta la vita un dolore profondo e ancestrale che lei ha amato sperando nel miracolo. Che arriva quando è già nonna. Per il cielo, per la memoria che il cielo pretende e per l’amore verso i suoi genitori.

Il riferimento a Il nome della rosa di Umberto Eco illumina la materia primordiale di tutto l’arredamento del romanzo: “Nomina nuda tenemus”. Come a dire: Possediamo solo i nudi nomi, ma per dargli dignità prima bisogna conoscerli bene.

Di seguito il link della casa editrice:

Una rosa per Teresina – di Emilio Grimaldi