Università di Catania, i nomi degli altri professori sospesi e indagati per associazione a delinquere

Il procuratore di Catania, Zuccaro

Oltre al rettore Francesco Basile, i professori dell’Università di Catania indagati nell’ambito dell’inchiesta “Università bandita” sono: l’ex rettore Giacomo Pignataro, l’attuale prorettore e docente nella facoltà di Filosofia, Giancarlo Magnano di San Lio; l’ex direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Giuseppe Barone; la direttrice del Dipartimento di Economia e Impresa, Michela Maria Bernadetta Cavallaro; il direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, Filippo Drago; il direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica, Giuseppe Gallo; il direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Carmelo Giovanni Monaco; il direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Roberto Pennisi e il presidente del coordinamento della Facoltà di Medicina, Giuseppe Sessa.

Tutti gli indagati – arrivati stamattina in questura per la notifica del provvedimento del Gip – sono ritenuti responsabili di associazione a delinquere nonché, a vario titolo, di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, abuso d’ufficio e truffa aggravata. L’inchiesta, che ha visto anche eseguite perquisizioni e sequestrati cellulari, è stata coordinata dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e affidata ai sostituti Bisogni, Vinciguerra e Di Stefano.

«L’attività investigativa – si legge in una nota degli investigatori – condotta con l’ausilio di presidi tecnici e con servizi di tipo tradizionale, ha svelato l’esistenza di un’associazione a delinquere, con a capo il Rettore dell’Università di Catania Francesco Basile e di cui è promotore il suo predecessore Giacomo Pignataro, finalizzata a commettere un numero indeterminato di reati fine volti ad alterare il naturale esito dei bandi di concorso: per il conferimento degli assegni, delle borse e dei dottorati di ricerca; per l’assunzione del personale tecnico-amministrativo; per la composizione degli organi statutari dell’Ateneo (Consiglio d’Amministrazione, Nucleo di Valutazione, Collegio di Disciplina); per l’assunzione e la progressione in carriera dei docenti universitari. Su tale ultimo aspetto – si sottolinea nella nota – giova in particolare porre in luce che il sistema delinquenziale non è ristretto all’Università etnea ma si estende ad altri Atenei italiani, i cui docenti, nel momento in cui sono stati selezionati per fare parte delle commissioni esaminatrici, si sono sempre preoccupati di “non interferire” sulla scelta del futuro vincitore compiuta preventivamente favorendo il candidato interno che risultava prevalere anche nei casi in cui non fosse meritevole. Allo stato, il gip ha riconosciuto l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di 40 indagati coinvolti nella richiesta cautelare avanzata da questo ufficio»

E ancora: «Le indagini – si aggiunge – hanno documentato l’esistenza di un vero e proprio codice di comportamento “sommerso” operante in ambito universitario secondo il quale gli esiti dei concorsi devono essere predeterminati dai docenti interessati, nessuno spazio deve essere lasciato a selezioni meritocratiche e nessun ricorso amministrativo può essere presentato contro le decisioni degli organi statutari. Le regole del codice hanno, altresì, un preciso apparato sanzionatorio e le violazioni sono punite con ritardi nella progressione in carriera o esclusioni da ogni valutazione oggettiva del proprio curriculum scientifico. L’estrema pericolosità e la piena consapevolezza delle gravi illiceità commesse dal gruppo spinto da finalità diverse dalla buona amministrazione e volto, al contrario, alla tutela degli interessi di pochi privilegiati che condividono le condotte criminali dell’associazione a delinquere in parola, emergono inoltre dalle raccomandazioni dei sodali di “non parlare” telefonicamente o dalla volontà palesata di effettuare delle preventive “bonifiche” degli Uffici pubblici per ridurre il rischio di indagini e accertamenti nei loro confronti».