Vibo, le carte “dimenticate” da Gratteri. Il ciclone Barba su Maduli (e compagna): “Scavate su di loro, non sono come sembrano”

Narrazione, comunicazione e informazione si incontrano a Link, Tropea Communication Meeting: due serate di giornalismo e spettacolo per declinare “orgoglio e pregiudizio”, tema dell’evento. Raccontare una nuova Calabria, o meglio la Calabria di cui siamo orgogliosi: questo l’obiettivo del grande evento organizzato da ViaCondotti21, LaC Network e Diemmecom con la partnership del Comune di Tropea e della Fondazione Magna Grecia.

Alla “corazzata” dell’informazione di regime (un perfetto mix tra mafia e stato deviato) calabrese non era bastata l’abbuffata dello scorso anno a Tropea. Quest’anno hanno voluto addirittura strafare: tre appuntamenti sempre rigorosamente con Nicola Gratteri al seguito per lavarsi l’immagine e allontanare tutto il marcio che invece si portano dietro da decenni e per il quale vengono schifati dalla Calabria onesta. Nonostante vicinanze sospette e imbarazzanti, l’editore che non deve chiedere mai (ai clan) Domenioc Maduli è riuscito a coinvolgere anche quest’anno il procuratore Gratteri nella sua “tre giorni” di consacrazione tra Falerna, Vibo e Corigliano-Rossano. Una sorta di “benedizione” ripetuta della quale avremmo fatto volentieri a meno e che non deve far dimenticare la realtà delle cose. Che è quella che viene delineata nello sconcertante articolo nel quale si descrive il drammatico interrogatorio dell’ex socio di Maduli.

L’articolo che potete leggere di seguito non è firmato ma è probabile che lo abbia scritto uno dei due giornalisti (o magari… tutti e due) che si sono “venduti” a Maduli nel solco più becero della legge non scritta “pecunia non olet”. A futura memoria.

Fonte: Corriere della Calabria (https://www.corrieredellacalabria.it/2021/10/03/giudice-scavi-su-di-loro-non-sono-come-sembrano-le-accuse-di-barba-a-maduli-e-falduto/)

«Io questo ho da dire. Non so altro. Io ho detto la verità, ma scavi su di loro, non sono come sembrano. La ringrazio, signor giudice, buongiorno». Il sei settembre 2021 Nicola Barba, 69 anni, imputato davanti al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, nel processo “Rimpiazzo”, ha voluto rendere dichiarazioni spontanee circa i suoi rapporti con l’imprenditore Domenico Maduli e la compagna Maria Grazia Falduto. Barba è accusato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Un’estorsione perpetrata, si legge nel capo di imputazione, nei confronti dell’imprenditore vibonese Domenico Maduli in concorso con uno dei promotori della cosca dei Piscopisani: Rosario Battaglia.

Secondo la ricostruzione della Dda di Catanzaro i Piscopisani (nome derivante dalla frazione Piscopio di Vibo Valentia dove il gruppo è nato) avevano intenzione di “rimpiazzare” i Mancuso e le cosche alleate su Vibo a partire dal settore criminale delle estorsioni: pretendendo denaro da commercianti e imprenditori che prima pagavano i Mancuso. Secondo l’accusa, Nicola Barba avrebbe ricevuto 15mila euro da Domenico Maduli, dominus di Pubbliemme srl, dopo aver preteso il denaro quale “pensiero natalizio” o “fiore” da consegnare al boss Luni Mancuso. La somma sarebbe invece andata dritta nella bacinella dei Piscopisani, consegnata da Barba a Raffaele Moscato e Rosario Battaglia. Prima che intervenisse Nicola Barba, Raffaele Moscato, Rosario Battaglia e Luigi Maccarone avevano tentato invano, è l’accusa, di farsi cambiare in denaro contante assegni per un valore di 10mila euro.

La versione di Maduli: «Mai stato socio con Barba»
Prima delle spontanee dichiarazioni di Barba erano stati sentiti in aula lo stesso Domenico Maduli, il 20 luglio scorso e la sua compagna Maria Grazia Falduto, il 6 settembre scorso. Maduli ha raccontato degli atti intimidatori subiti: colpi di arma da fuoco contro la saracinesca del proprio esercizio commerciale. Ancora prima aveva ricevuto dallo stesso Rosario Battaglia la richiesta di entrare nel settore pubblicitario, che è il ramo di impresa nel quale opera Maduli, chiedendo di «installare dei cartelloni pubblicitari su suoli che erano in nostro possesso», ha detto Maduli. In seguito ci fu la richiesta di cambiare in contanti degli assegni che Maduli racconta di non avere assecondato. Per quanto riguarda Barba, Maduli racconta che da parte sua ci furono «due richieste, una richiesta di quindicimila euro, una assolta in due tranche, una di dieci mila mi pare e una di cinque mila» e che queste richieste erano giustificate per conto di altri «doveva essere fatto un regalo, un fiore per Luni Mancuso». Soldi che in questa occasione vennero elargiti in contanti «in due tranche, una di diecimila e una successivamente poi da cinque mila».

In seguito a questa elargizione di denaro Maduli dice di avere litigato con Barba «perché per quanto mi riguarda io l’ho considerata un’estorsione». Qui si rompono, secondo il teste, i rapporti con Nicola Barba che Maduli racconta di avere conosciuto tramite la famiglia della propria compagna, Maria Grazia Falduto la quale, afferma Maduli «non era consapevole perché assolutamente non avrebbe mai accettato una cosa di questo tipo». Il teste afferma di avere avuto l’intuizione che quei soldi fossero in realtà per i Piscopisani. «In presenza della sua compagna ha mai incontrato qualcuno di questi soggetti?», chiede il pm Andrea Mancuso. «Sì, in presenza della mia compagna ho incontrato più volte Barba perché era una conoscenza della sua famiglia, io l’ho conosciuto attraverso la famiglia della mia compagna, non direttamente».

Controesaminato dall’avvocato Diego Brancia, difensore di Barba, Maduli ha affermato che le dichiarazioni di Raffaele Moscato, secondo le quali l’imprenditore e Nicola Barba fossero soci è «una cosa che non esiste, inaudita». L’avvocato Brancia chiede poi perché non esistano determinazioni legali contro il collaboratore Raffaele Moscato che ha dichiarato che i due erano soci. «Stiamo seguendo la linea legale che ci ha diciamo tratteggiato l’avvocato. Noi al momento non so se ci siamo determinati…». L’avvocato, inoltre, chiede come mai, se i fatti delle intimidazioni e richieste dei Piscopisani risalgono al 2008/2009, abbia riferito gli stessi fatti solo nel 2017 quando viene espressamente chiamato a sit dai carabinieri del Ros. «Guardi il timore di…, eravamo nel periodo prima delle feste, quindi esclusivamente il timore di non avere ripercussioni sulla propria famiglia o sulle aziende».

Barba: «Ho sciolto io la società anche se è una società a parole»
Il 6 settembre Nicola Barba chiede di poter rendere dichiarazioni spontanee in aula e poter raccontare la propria versione dei fatti. Barba racconta che il giorno che Maduli ricevette l’atto intimidatorio dei proiettili contro la saracinesca mandò a chiamare Nicola Barba tramite un cugino. Dopo avere aiutato Maduli a rimetter tutto a posto prima che arrivasse la clientela gli dice: «Mimmo, andiamo a denunciare».

La risposta da parte di Maduli, secondo Barba: «No, no, zio, no, no, no, aspettiamo. Va bene. Puliamo, me ne vado a casa. L’indomani mattina mi chiama, vado nel suo ufficio e mi fa vedere una cosetta, così, di una o due fotografie sbiadite, non si vedeva bene, si vedeva solo la fiamma della pistola, la fiamma della pistola. Dico: andiamo. Andiamo a denunciare. Portale ai Carabinieri queste cose. No, no, aspettiamo. Lui, sempre come un coniglio, perché lui si nascondeva sempre. Lui non si faceva avvicinare da nessuno. Chiunque andava nella sua azienda, andate da zio, andate da zio Nicola. Lui sa tutto, fa tutto. E me li mandava tutti a me. Mi hanno sparato alla porta, mi hanno incendiato le macchine, mi hanno menato, mi hanno menato pure, per colpa sua, signor giudice. Mi hanno menato, mi hanno massacrato, io paralizzato, ero paralizzato allora».

Un giorno sono andati, racconta Barba a intimargli: «Devi dire al tuo socio che deve pagare cinquantamila euro». Barba ne parla con Maduli che prende tempo. Finisce, racconta Barba che «mi hanno menato». Barba torna da Maduli. «Gli ho detto: Mimmo, guarda, questi qua mi ammazzano, perché la macchina me la spararono, le finestre me la spararono, la Porsche me la incendiarono, la Jeep me la incendiarono, mi minacciano che mi sparano. Vediamo come dobbiamo fare. Dice: va bene, zio, zio, vedi di prendere tempo, tanto a questi qua tra poco o li ammazzano o vanno in galera».

Nicola Barba si rivolge in aula a Maduli che è presente e gli chiede: «È vero? Mi hai detto così». «Arrivato Natale – prosegue Barba – questi, naturalmente, volevano i soldi, volevano i soldi, che facciamo? Vado là, Mimmo, questi vanno e vengono da casa mia, questi mi menano, questi mi ammazzano. La vita mia è in pericolo, la vita tua no. Tu ti ammosci, tu non parli mai con loro, tu ti nascondi, tu non li fai neanche passare. Tu hai trecento telecamere là. Tu controlli tutto fino a distanze chilometriche. Lui controlla tutto, chi va, chi viene, preme un pulsante, sì, preme un pulsante no. La sua vita è così, come le talpe. Si nasconde». Alla fine i due si accordano: «Mezzi soldi l’ha messi lui e mezzi soldi l’ho messi io. Vado e glieli consegno. Gli ho detto: “Mimmo, io con te non voglio avere niente…” Non mi ha allontanato lui, me ne sono andato io, di mia volontà. Io con te non voglio avere niente a che fare più. Perché la vita mia vale più della società fatta con te, anche se è una società a parole».

La collaborazione con Mantella mediata da Barba
Secondo la compagna di Maduli, Maria Grazia Falduto, sentita il 6 settembre scorso: «L’unico episodio in cui Barba Nicola si può, diciamo, interfacciare, si interfacciò con me, con la Publiemme, è legato alla Publi Service». «Il Maduli mi raccontò che in sede si presentarono Morelli e Mantella con questa richiesta di inizio collaborazione professionale, definiamola in questo modo, e che loro dissero che non si erano presentati direttamente con il signor Barba perché lui in quel momento, in quel periodo aveva avuto dei seri problemi di salute, e quindi si recarono direttamente da Maduli, in realtà io venni informata dal signor Barba, il signor Barba mi chiese se queste persone si erano presentate in azienda, se avevano avuto dei rapporti, un dialogo con Maduli o con me direttamente, io poi telefonicamente lo contattai e gli riportai quello che era stato l’incontro tra la Publi Service, e quindi Mantella e Morelli, e Maduli all’epoca». Secondo la Falduto Barba le chiede di tenerlo informato sugli sviluppi di questa richiesta di collaborazione «perché in realtà questi soggetti andavano mediati da lui».

La richiesta che avanzano Mantella e Morelli è quella di «poter gestire degli impianti pubblicitari nella città di Vibo Valentia». Secondo la Falduto Barba suggerisce di regolarizzare con un normale contratto la richiesta e applicare un eventuale sconto. Il contratto viene firmato, il noleggio degli impianti concesso. Ma Falduto informa Barba che Mantella e Morelli «non ottemperano a quello che era il pagamento del corrispettivo economico e poi noi, come società, procediamo a dare mandato al nostro avvocato per recuperare gli importi e viene emesso un decreto ingiuntivo, che poi non ha avuto nessun esito perché la società risultava inesistente anche come sede legale». Secondo la Falduto i rapporti con Barba «che per me erano di conoscenza solo familiare, personale, quindi fuori dagli ambienti di lavoro, si interruppero, mi perdoni, in maniera molto brusca perché sia persone, diciamo, che operavano nella parte logistica della nostra società e sia il Morelli stesso fece riferimento al Barba dicendo che lui doveva essere considerato il referente commerciale per gli impianti pubblicitari nostri, e questo fu, diciamo, un’affermazione per la quale io mi irrigidii tantissimo, perché sono affermazioni assurde».

Barba: «Signor giudice, scavi su di loro. Non sono come sembrano»
Ma anche su queste affermazioni Nicola Barba ribatte con la propria versione. Barba afferma di non avere chiamato lui per primo la Falduto ma di essere stato contattato da lei. «Io sono stato paralizzato per due anni su una sedia a rotelle. Mi ha telefonato lei. Mi ha detto: “zio, sono venuti Mantella e Morelli”. Io non ho mai parlato né con Mantella né con Morelli, perché non siamo in rapporti né di ciao e né di buongiorno con loro, mai, mai, e neanche con Battaglia, mai. È venuto Morelli e l’altro, non mi ricordo come si chiama adesso, ora mi sono innervosito, e io dissi: dimmi, Mariagrazia. “Zio, come devo fare?” Come devi fare, le ho detto io, Mariagrazia? Fagli un contratto, fagli la fattura, questo gli devi fare. Che devi fare? Questo qua devi fare. “Ah, tu dici così, zio?” Sì. Fammi sapere che cosa concludi». «A distanza di un giorno, un giorno e mezzo, mi richiama. “Zio, sai, abbiamo fatto un contratto”, qua e là. Mi raccomando, Mariagrazia, fagli le fatture, fatti pagare, fatti pagare. Dopo più di un mese, “sai, zio? Questi non mi pagano”. Mariagrazia, mettigli l’avvocato, mettigli l’avvocato».

Barba si rivolge a Maria Grazia Falduto che è in aula: «È vero o no, Mariagrazia? Digliele queste cose. Perché non gliele hai dette? Dici la verità, almeno, non dire bugie».

Poi Barba si rivolge al giudice Tiziana Macrì: «Venivano a mangiare a casa mia. “Zio, che cosa ci prepari?” Sabato. “Zio che cosa ci prepari questa sera?” Alla signora le piacevano i tagliolini al limone, che io facevo a casa. Lei veniva a casa mia a mangiare. Tagliolini a limone. Sono venuti a Roma a trovarmi. Io ero paralizzato, alla Fondazione Santa Lucia a Roma, al sesto piano. Mi hanno portato in regalo, non lo dimentico mai, non l’ho mai messa, non lo so perché, non l’ho mai messa io, una felpa nera con il cappuccio, di cachemire, non l’ho mai messa, non lo so perché. Capisce, signor giudice? Tutto questo. Io questo ho da dire. Non so altro. Io ho detto la verità, ma scavi su di loro, non sono come sembrano. La ringrazio, signor giudice, buongiorno».