Viva Sanremo: elogio nazionalpopolare del festival dei fiori (di Giulio Bruno)

di Giulio Bruno

In barba a tutti i puristi, agli intenditori di musica, agli intellettuali da salotto… io il Festival di Sanremo lo sto guardando, come faccio dall’età di 10 anni. Quello che mi attira non è il genere musicale tipico della kermesse sanremese (prediligo altro, senza alcun intento discriminatorio, beninteso), bensì il carattere popolare della manifestazione, il dibattito che stimola, gli aneddoti che genera. E dunque, senza entrare troppo nel merito della qualità del cantato (non ne ho le competenze), mi limito a sviluppare alcune considerazioni del tutto personali, quindi opinabilissime:

Capitolo 1: la trasgressione
L’anno scorso era “Lo stato sociale”; quest’anno sono i “Pinguini tattici nucleari”. Prima ancora, quando la voglia di stupire andava a braccetto con il talento, si chiamavano “Elio e le storie tese”. E quando la trasgressione era autentica, non si limitava alla tutina aderente di Achille Lauro; la provocazione dissacrante aveva il volto e la voce di Vasco Rossi, ubriaco all’esordio all’Ariston, di Loredana Bertè col finto pancione, di Anna Oxa seminuda o del “Clarinetto” pieno di doppi sensi di Renzo Arbore. Anni ’80, quando la censura ti stroncava la carriera… altro che restare scalzi e in mini-tuta sul palco. Erano forti e trasgressivi i contenuti, i messaggi lanciati, la ribellione vera finalizzata a stimolare riflessioni e smuovere coscienze in tempi in cui ci si indignava e scandalizzava su temi quali la libertà sessuale, l’aborto, l’autodeterminazione femminile, l’uso “consapevole” di alcol e droghe quando tutto era proibito o stigmatizzato per dogma religioso e perbenismo borghese. Oggi, al confronto, è tutto più semplice, basta una tutina osè e qualche tatuaggio in bella vista.

Capitolo 2: le canzoni
Questione di gusti, ovvio. Ma questa moda del rap italianizzato, con rime forzate nei tempi e nei contenuti, col tono di voce standard e l’aria incazzata, ha stancato. Con il risultato che quello che venti o trent’anni fa era trash, oggi è diventato cult, da Albano e Romina ai Ricchi e Poveri; quello che era da sfigati oggi risulta da intenditori (Marco Masini); quello che era dimenticato e sepolto (Rita Pavone) oggi produce standing ovation.

Capitolo 3: gli argomenti trattati
Bisogna fare attenzione a ciò che si dice, a come si dice, a quando si dice, al contesto, ai doppi sensi rivelati o nascosti, all’interlocutore, al pubblico presente, alla privacy, alla stagione, alle condizioni meteorologiche, alle smorfie che involontariamente si disegnano sul viso, alle allusioni vere o presunte, a come si gesticola, a quello che si pensa mentre si parla, a come ci si muove, a come si guarda, a ciò che si guarda. Molto meglio suicidarsi.

Capitolo 4: conduttori e assistentiGiusto per essere chiari, i presentatori sono due: Amadeus e Fiorello. Ero scettico sul primo, e mi sono ricreduto. Bravo, professionale, spigliato. Ero ultra convinto del secondo, che invece mi ha un po’ deluso. Intendiamoci, non si mette in discussione la bravura di Fiorello o le sue capacità artistiche, ma una certa ripetitività nelle performances offerte, come se avesse esaurito la verve innovativa che lo caratterizzava. Insomma, una sorta di usato sicuro, bravo ma già sperimentato. Tutte belle le donne, brave e belle. La stupenda Diletta, la bravissima Rula, le simpatiche e autoironiche giornaliste del tg, l’immortale sex simbol Sabrina Salerno. Pronto a scommettere su quelle che si avvicenderanno sul palco, dalla meravigliosa lady Ronaldo alla simpatica Clerici, fino all’istituzionale Mara Venier.

Capitolo 5: i soldi spesi
Ogni anno la stessa storia: “E’ uno scandalo pagare il tal presentatore mentre i bambini in Africa muoiono di fame”, “E’ vergognoso garantire cachet giganteschi per poche ore di lavoro, mentre disoccupati/cassintegrati/precari ecc. non sanno come sbarcare il lunario”, “E’ indecente che senza fare nulla di speciale, l’ospite di serata guadagni in meno di mezz’ora quanto un normale impiegato/operaio non riuscirebbe a guadagnare in due vite”. Tutto moralmente ed eticamente vero. Tuttavia: 1) Non è colpa di Sanremo se esistono i poveri; 2) i cachet vengono pagati con i soldi degli sponsor e della pubblicità, quindi non denaro pubblico ma moneta riveniente da investitori privati; 3) Se da bilancio, il festival garantisce un fatturato che giustifica e sostiene certi costi, in un sistema capitalistico (purtroppo…) l’unico elemento finanziario da rispettare (purtroppo…) e che i ricavi siano maggiori dei costi; 4) chi critica, spesso e volentieri condivide il sistema e lo sostiene con il voto, segue ogni tipo di sport milionario (NBA, calcio, Formula 1, golf), non indossa abitualmente sandali francescani; 5) piuttosto che cimentarsi in falsi moralismi e contorti ragionamenti filo Amazzonia, provate a canalizzare rabbia e sdegno verso la cattiva politica, i truffatori e gli imbroglioni. E, se proprio non ci riuscite, guardatevi il Festival di Sanremo…