25 Aprile. Reggio, le storie e le memorie dei partigiani: eroi di resistenza e libertà

di Giusi Mauro

Fonte: Reggio Today (https://www.reggiotoday.it/cronaca/festa-liberazione-storia-partigiani-reggio-calabria-2025.html)

…. Anche se si svolse al di sopra della cosiddetta Linea Gotica, i partigiani calabresi che parteciparono, direttamente o indirettamente, alla guerra di Liberazione furono tanti, più di quanti possiamo immaginare. L’archivio dell’Anpi ne censisce 1.849 di cui 49 donne. Oggi, per non dimenticare il sacrificio di tutti, facciamo nostro “il vizio” del ricordo e della memoria, rendendo omaggio ai tanti reggini che hanno fatto la resistenza.

Inizia la resistenza

Il 3 settembre 1943 il Regno d’Italia firma la resa incondizionata agli alleati con l’armistizio di Cassibile. L’annuncio della resa ebbe per conseguenza l’invasione dei territori italiani da parte delle forze armate tedesche e l’inizio della Resistenza e della guerra di liberazione italiana dal nazifascismo. Una Resistenza che nel Mezzogiorno, era già iniziata prima dell’arrivo degli Inglesi e dei Canadesi. Il re Vittorio Emanuele III era, fuggito subito dopo il proclama dell’Armistizio, lasciando il Paese in balia delle truppe di occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana guidata da Mussolini che fondò il 23 settembre, dopo essere stato  destituito dal ruolo di Duce, il 25 luglio di quello stesso anno.

Le donne e gli uomini reggini della Resistenza

Il coraggio di Anna Cinanni di Gerace, sorella del più noto Paolo, dirigente del Pci. Anna a un passo dalla morte non si è mai tirata indietro. Classe 1919, si era trasferita a Torino tra il 1928 e il 1929 insieme a tutta la famiglia dopo la morte del padre. È lo stesso fratello Paolo ad avviarla all’attività politica nel Partito comunista proponendole di impegnarsi nel “Soccorso rosso”, che offriva supporto materiale e morale alle vittime della lotta antifascista.

Il suo impegno di lotta si intensifica proprio nel 1943, diventando parte integrante della Brigata Garibaldi,  scegliendo il nome di battaglia di “Cecilia”. Entra nella lotta armata con in mente le parole del fratello Paolo: “Ricordati che non sei una donna: sei una comunista e stai combattendo nella Resistenza”. Il suo ruolo era quello di staffetta partigiana, incaricata dei collegamenti tra gli antifascisti torinesi e cuneesi, nonché dei rapporti di questi gruppi con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia a Milano.

Nel 1945, a Vercelli, la polizia scopre materiale clandestino nascosto nel doppio fondo della sua borsa e la arresta. Durante l’interrogatorio subisce ripetute violenze fisiche, tuttavia riesce a non tradirsi ripetendo sempre la stessa versione dei fatti. Dopo dieci giorni passati nella caserma delle Brigate nere, dove subisce altri interrogatori e sevizie, viene trasferita nel carcere della questura di Vercelli. Qui grazie all’aiuto di alcune compagne di Biella scampa ad un tentativo di violenza. Resiste, e pochi giorni dopo le porte della prigione si aprono. Torino era stata liberata.

Altro importante tassello della storia della Resistenza è rappresentato dal sacrificio e impegno dei fratelli Anna (nella foto) e Ruggero Condò. Nato a Reggio Calabria nel 1924, Ruggero fu partigiano nella I Brigata Autonoma Giancarlo Odino dal 25 febbraio 1944 col nome di battaglia “Bik”. Dopo il proclamo dei bandi fascisti di presentarsi alle armi, tra il febbraio ed il marzo del 1944, raggiunse altri che come lui si erano rifiutati. nella zona di Parodi Ligure, in provincia di Alessandria dove, si stava per formare un reparto partigiano.

Viveva con gli altri nelle grotte di monte Tobio, uscendo nelle ore più adatte per le necessità della lotta. Qualcuno li tradì e mise sulle loro tracce i nazifascisti dislocati in quelle zone. Ci fu una strage, alla quale il giovane Condò riuscì a sottrarsi. Insieme ad altri compagni, discendendo la valle, trovarono rifugio nella casa di un contadino. Ma non furo salvi. Circondati improvvisamente dai nazisti e avviati al campo di concentramento Villa Rosa di Novi Ligure. Li  rimase con dal 10 al 13 aprile. Fu deportato su carri bestiame e internato nel campo di Gusen dal quale non fece più ritorno.

A testimoniare il coraggio e sacrifico di Ruggero è la sorella Anna. Memoria storica della resistenza. Nelle diverse interviste rilasciate in questi anni, ricorda sempre le parole di Ruggero quando le disse di “non volersi piegare”. Lei fu staffetta partigiana tra il Piemonte e la Liguria dove si  formò la terza brigata Garibaldi, alla quale aveva deciso di aderire il fratello Ruggero.

Costretta a emigrare al  nord con la famiglia dopo i bombardamenti degli alleati e la sospensione dal lavoro dei genitori, non allineatisi alla Repubblica sociale italiana. Giovanissima, aveva aderito alla resistenza, seguendo le orme di Ruggero. La Resistenza le costò la perdita di un fratello ma, questo sacrificio, Anna se pur doloroso sa che ha avuto un senso.

Da quel giorno il suo impegno nel non far cadere nell’oblio le storie di Ruggero e di tanti altri è constane: “Tutto sarà vano – ha dichiarato lo scorso anno Anna Condò – se ciò varrà solo per noi che lo abbiamo vissuto. La libertà va conquistata e difesa ogni giorno e mai data per scontata. La democrazia va protetta dal pericolo dell’ignoranza e dell’indifferenza, della smemoratezza e del disimpegno”.

 

Anna Condò (foto Adriana Sapone)
Anna Condò (foto Adriana Sapone)

 

La Resistenza, non fu solo lotta armata, in molti diedero il proprio contributo non imbracciando le armi, ma con eguale coraggio mettendo la loro vita in pericolo per salvare quanti più possibili dal rastrellamento imposto dalle leggi raziali. Come fece Bianca Ripepi Sotgiu.

Reggina di origine e sarda di adozione, maestra, scrittrice, insegnante, fondatrice dell’Unione Donne Italiane. Nata a Reggio Calabria nel 1922, si era diplomatasi all’istituto magistrale Gullì nel’40 e poi aveva vissuto in Sardegna. Lei è Giusta tra le Nazioni  per avere salvato con suo marito Girolamo una bimba ebrea registrandola come loro figlia.

Nel periodo buio della seconda Guerra Mondiale e della persecuzione degli ebrei che venne perpetrata anche in Italia, Bianca e suo marito Girolamo seppero vivere con grande coraggio e secondo coscienza, aiutando, anche a rischio della loro libertà e della loro vita, gli ebrei perseguitati. In quel periodo ebbero in affiliazione una bambina ebrea Lina Amato, facendola passare come propria e salvandola così dai nazifascisti.

Dopo l’8 settembre: i nazisti occuparono l’isola e Bianca mandò avanti la famiglia fra mille difficoltà senza mai perdersi d’animo, il marito ad agosto era stato prelevato dalla gestapo ma rilasciato a ottobre grazie al coraggio di Bianca. Nel luglio del 1944 i nazisti radunarono gli ebrei nell’ex caserma dell’aeronautica italiana, e lei, con una figlia piccola e incinta della seconda, pedalò 10 chilometri per avvertire il console turco Selahattin Ulkumen dell’imminente deportazione degli ebrei di Rodi e il console si attivò salvando 42 ebrei con cittadinanza turca.

Non possiamo non citare un’altra coppia della resistenza reggina: Giuseppina Russo e Marco Perpiglia nome di battaglia “Pietro” di Roccaforte del Greco. Marco maturò fin da ragazzo il sentimento antifascista e si iscrisse giovanissimo al Partito comunista italiano, di cui divenne un appassionato ed attivo militante.

Una militanza che lo avrebbe reso scomodo anche in Liguria, a La Spezia, dove nel 1936 era emigrato per lavorare come ebanista presso l’Arsenale. Qui lavorava anche la moglie Giuseppina operaia nello iutificio Montecatini, anche lei attivista antifascista e partigiana nella brigata “Gramsci”, che lo affiancò nel suo impegno politico-sindacale.

La loro fu una militanza clandestina, di resistenza nelle fabbriche di persecuzioni politiche e non solo. Nel ‘41, Marco di rientro dalla Spagna dove aveva combattuto contro il regime di Franco era stato accusato di propaganda, arrestato, perquisito e incriminato ad opera del Tribunale speciale della Spezia e condannato al confino nella colonia di Ventotene.

Nell’agosto del 1943 il ritorno dall’amata Giuseppina a La Spezia e la scoperta della morte prematura del figlioletto a causa di un incidente. Ma, nonostante questo inconsolabile dolore, l’impegno nella Resistenza contro l’occupazione nazifascista non si fermava. Marco acquisì un ruolo di primo piano nella formazione dei giovani combattenti, divenendo uno dei promotori del Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, prima, e della brigata garibaldina unitaria Cento Croci. Seguirono altre tensioni, scioperi, un nuovo arresto. Quindi, finalmente, la Liberazione, il rifiuto di trattamenti di favore e il ritorno a Roccaforte del Greco, nel profondo Sud Italia, con l’amata Giuseppina.

Non è possibile citare tutti ma non dobbiamo dimenticare il loro contributo come quello di Tina Pontoriero di San Ferdinando (nome di battaglia Maia), o Teresa Talotta Gullace di Cittanova che venne uccisa dai soldati tedeschi nel 1944. Sacrificò la propria vita per amore del più alto dei valori: la libertà. La città di Roma le ha intitolato un’importante scuola, a lei  il regista Rosselli si ispirò nel film “Roma città aperta”, affidando il ruolo della caduta per mano delle SS ad Anna Magnani.

Altra memoria storica della Resistenza come il centenario Aldo Chiantella conosciuto con il nome di battaglia Fieramosca. Classe 1925,  lasciò la città dello Stretto dopo i bombardamenti del maggio del 1943 per raggiungere il Friuli, dove vi erano già alcuni parenti. Li Aldo maturò la scelta di unirsi ai Partigiani e così prendere parte alla Resistenza italiana per combattere contro gli oppressori e conquistare la Libertà dell’Italia.

Determinazione e abnegazione lo guidarono fino alla cattura da parte dei tedeschi, avvenuta il 10 febbraio 1945. Compì 20 anni nel carcere di Spilimbergo. Fu condannato a morte, ma riuscì ad evadere e vivere da uomo libero in un paese finalmente liberato. Ricorda sempre che “la paura era loro compagna”. Aldo Chiantella continua a testimoniare e a ricordare anche se quella memoria fa male: “Le guerre non sono finite e non finiranno mai.

Subiamo la condanna di dovere vigilare sempre affinché la libertà delle persone non venga violata. E in guerra purtroppo si uccide. Anche io ho ucciso e quello che ho fatto non mi conforta né mi rende orgoglioso. Mi insegna, invece, la pazienza per dover sopportare. La violenza mai ripaga e non ti lascia più”.

 

L’eroe contadino Pasquale Brancatisano da Samo nome di battaglia “Malerba”. Classe’ 21, faceva parte della 99° Brigata Garibaldi. “Una festa importante, è un giorno storico per l’Italia, ha reso l’Italia libera e democratica e le ha donato pace, libertà, cultura, benessere e diritti dell’uomo”.

Commentava così, qualche anno fa da Samo, la festa della Liberazione il 98enne. È il partigiano che il primo aprile 2021 ricevette la telefonata dal presidente Sergio Mattarella, il quale lo ha voluto ringraziare per le parole di stima espresse dall’anziano, ex combattente, in un video arrivato, inaspettatamente, fino al Quirinale. “Malerba”, è stato un eroe della Resistenza, un contadino, che con umiltà e grande senso di giustizia, lottò da partigiano contro il nazifascismo.

Ma c’è anche chi da soldato scelse di non proseguire la guerra e prendere un’altra strada. Quella che gli imponeva la coscienza e che non gli faceva accettare di continuare l’orrore della guerra. Come Sebastiano Giampaolo, nome di battaglia “Fiore”.

Era nato a San Luca nel 1921. Ha 20 anni quando viene chiamato alle armi. Il governo di Benito Mussolini, oltre a essere alleato con i tedeschi di Hitler, aveva dichiarato guerra a due nazioni pacifiche: la Francia e l’Inghilterra. Giampaolo, parte su un piroscafo da Bari, sbarca nella zona del Montenegro dove le truppe tedesche e italiane erano impegnate ad occupare il territorio balcanico.

Resta nelle zone di guerra per un anno. Il 25 luglio 1943 Mussolini viene arrestato e sostituito con il generale Pietro Badoglio. Con l’Armistizio del 8 settembre, le truppe tedesche occupano le città italiane. I disertori  e i renitenti che non ubbidivano al nuovo Stato venivano condannati alla pena di morte. Giampaolo non aderì alla Repubblica di Salò, non accettò la cieca violenza esercitata dai tedeschi e dai fascisti; decide di dare una svolta alla sua vita: scopre i valori della libertà e della democrazia e sceglie di far parte delle formazioni partigiane Giustizia e Libertà .

I compagni della Brigata partigiana della “Valle Maira” descrivono Sebastiano come un giovane solerte e coraggioso, che partecipa ad azioni di guerriglia contro i nazifascisti con determinazione, conquistando la fiducia degli uomini e delle donne che prendevano parte alla lotta armata, riconoscendogli sul campo di battaglia il grado di Capo-Squadra.

La notte del 13 ottobre del 1944,  a Ciarlara della “Valle Maira”, Giampaolo era intento a rastrellare armi e munizioni ricevute dagli aeri alleati. Mentre tentava di liberare una mina impigliata nell’involucro nel quale era stata paracadutata, saltò in aria e perse la vita.

Come dimenticare Franco Sergio, nome di battaglia “Alioscia”. Il presidente Pertini lo dichiarò “combattente per la libertà”. A 13 anni Sergio ha lasciato la sua Cinquefrondi per trasferirsi a Maropati da dove all’età di 19 anni è partito volontario per il fronte. Dopo l’armistizio non aderì alla Repubblica sociale e scelse di far parte delle formazioni partigiane che operavano nella provincia di Cuneo.

Dopo oltre un anno di attività a Serravalle Langhe, il 13 febbraio del 1945 è stato catturato dai nazifascisti e il giorno successivo fucilato perché si è rifiutato di rivelare i nomi dei suoi compagni partigiani e indicare i luoghi dove si trovavano. A distanza di anni, i suoi familiari che vivono a Maropati hanno deciso di costituire una associazione con lo scopo di «promuovere iniziative culturali e di ricerca storica e sociale rifacendosi ai principi dell’antifascismo.

Questa rappresenta una pagina di storia indimenticabile, a cui si giunse dopo le  scelte compiute giorno dopo giorno da una buna parte della popolazione italiana,  costantemente segnate da conflitti – interiori e non -, atti di coraggio e gravi perdite; sacrifici che portarono poi la nazione alla fine della guerra e, soprattutto, della dittatura. La Resistenza, non è solo una storia militare, ma è stata una lunga catena di solidarietà tra uomini e donne che in modi diversi hanno dato il loro fondamentale contributo. E un grazie va soprattuto agli gli uomini e le donne della nostra città.