7 aprile 1979. L’Italia di Giulio Andreotti, la resistenza di Toni Negri

L’Italia di Giulio Andreotti, la resistenza di Toni Negri

di Giancarlo Costabile, Docente di Pedagogia dell’Antimafia Unical

Il 7 aprile 1979 centinaia di militanti di Autonomia Operaia furono inquisiti e molti arrestati, così come alcune decine di migliaia di loro in anni seguenti. Erano gli anni in cui il potere democristiano, incarnato da Giulio Andreotti che danzava abilmente sul cadavere di Aldo Moro, si saldava organicamente nei territori alle mafie, con cui condivideva la gestione politico-amministrativa dei medesimi. In quegli anni caddero a centinaia sotto il piombo di Cosa nostra e delle altre organizzazioni criminali: giudici, politici perbene, giornalisti, donne e uomini delle forze dell’ordine. Combattevano l’anti-Stato senza sapere che si stavano battendo in realtà contro uno dei volti di quello Stato che avevano scelto di difendere finanche a costo della loro vita. Sono gli anni in cui le mafie fanno il decisivo salto di qualità nei salotti della finanza e della politica: diventano cioè classe dirigente nelle professioni borghesi e nella rappresentanza istituzionale.

Lo Stato nato dall’Antifascismo e dalla Resistenza era diventato un organismo burocratico che impastava violenza e corruzione, tradendo in tal modo i diritti costituzionali e violentando senza ritegno alcuno intere realtà del Paese. Ma a pagare non furono soltanto i servitori della Repubblica. La storiografia ufficiale, quella di regime, non racconterà mai la verità sulla stagione dei grandi movimenti di massa del 1968 e del 1977. Così come non aveva, e non ha, alcun interesse a leggere biografie di intellettuali scomodi come il professore Antonio Negri. Per una ragione, che è la genesi stessa degli Stati a capitale mafioso: la violenza e la delinquenza quando sono organizzate dallo Stato costituiscono il prezzo della cosiddetta democrazia, e quindi sono moralmente accettate e addirittura promosse socialmente. Quando invece rappresentano il grido di dolore dei poveri, degli Ultimi, dei senza storia, assumono la veste di reato contro lo Stato.

No, Negri e i suoi compagni non tramarono contro lo Stato della Costituzione. Semmai contro le sue inique degenerazioni, contro la violenza di classe, contro il capitalismo mafioso che aveva già espunto dall’orizzonte del lavoro ogni possibilità di costruzione di una società giusta. I cattivi maestri non furono Negri e altri accademici perché c’è un diritto inalienabile che è predeterminato all’esistenza di qualsiasi Stato: il diritto degli Ultimi alla ribellione e il loro dovere a un’esistenza degna di essere vissuta. I criminali da processare, ovviamente sul piano storiografico e culturale, sono i democristiani di quegli anni, a partire da Giulio Andreotti.