La Camera ha approvato la riforma del voto di scambio. A favore hanno votato 280 deputati, 135 i contrari mentre in dieci si sono astenuti. La legge adesso tornerà al Senato, dove era stata approvata una prima volta il 24 ottobre, dato che nel frattempo è stata modificata dalla commissione giustizia di Montecitorio. In aula a votare a favore della legge sono state le forze di governo: i deputati del Movimento 5 stelle, che hanno proposto la norma, e quelli della Lega. A favore anche gli esponenti di Fratelli d’Italia. Giurisprudenza a parte, l’effetto principale della riforma è l’inasprimento delle pene che potranno arrivare a quindici anni di carcere. Con le aggravanti speciali si arriva fino a 22 anni e mezzo di condanna: un passaggio che però – per le opposizioni – è a rischio di ricorsi alla Consulta. “Questa è una legge di cui andiamo orgogliosi, che tutela il rispetto della democrazia e del diritto di voto dei cittadini. Con noi la mafia rimane fuori dallo Stato”, dice il ministro grillino Riccardo Fraccaro.
Cosa prevede la nuova legge: pene più alte – Il testo approvato da Montecitorio modifica l’articolo 416 ter del codice penale ed è formato da un solo articolo. Prevede che chiunque accetti, direttamente o con intermediari, la promessa di voti da persone di cui sa che appartengono ad associazioni mafiose, in cambio di denaro o della promessa di denaro oppure di un altro favore, o in cambio della disponibilità a soddisfare interessidell’associazione mafiosa, è punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416 bis. In pratica la formulazione del reato lega il voto di scambio con l’associazione a delinquere di stampo mafioso. In questo modo si stabilisce un collegamento ontologico tra le due fattispecie criminali: non è un caso, infatti, che nel 416 bis tra i reati fine delle associazioni mafiose s’indica anche “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. In soldoni vuol dire che le pene sono più dure: da sei/dodici anni si passa a dieci/quindici anni. Per tutti i condannati scatta poi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
L’aggravante per gli eletti: condanne più alte dei boss- C’è poi “un’aggravante speciale“: se il politico si è messo d’accordo con il mafioso per ottenere voti e viene effettivamente eletto le pene sono aumentate. In questo caso la pena dei 10-15 anni previsti dal 416 bis, viene aumentata della metà, perché “parliamo di una persona riconoscente alla mafia e per noi è un pericolo pubblico”, ha detto Francesco D’Uva. L’aggravante speciale, però, è stata contestata dai deputati di Pd e Leu. “Questo è un pasticcio che non passerà il vaglio costituzionale, perché equipara pene a reati diversi (416 bis, delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso e 416 ter, voto di scambio politico-mafioso)”, dice il dem Walter Verini. Da parte di Leu, invece, fanno notare che “in caso di voto di scambio conclamato, il mafioso può essere condannato al massimo a 15 anni di carcere, il politico invece a 22 e mezzo. Quest’aggravante rischia di violare il principio costituzionale di proporzionalità della pena”.
Norma modificata: torna al Senato – Adesso la norma dovrà tornare a Palazzo Madama. La legge approvata, infatti, è stata modificata dalla commissione Giustizia della Camera. Nella prima approvazione al Senato l’originaria riforma depositata dal grillino Mario Giarrusso era stata alleggerita da un emendamento di Fratelli d’Italia. Una modifica minima che aveva inserito tre semplici parole. In origine il testo del senatore del M5s recitava: “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416 bis, in cambio dell’erogazione o della promessa…”. Con al modifica, l’ultima parte era diventata “da parte di soggetti la cui appartanenza alle associazioni di cui all’articolo 416 bis sia a lui nota“. Un cambiamento che era stato in qualche modo condiviso da parte dei senatori del M5s che infatti l’avevano votato. Ma che rischiava di neutralizzare l’intera legge, originariamente ideata per irrigidire il reato vigente. Per questo motivo, dopo l’approvazione di Palazzo Madama, l’associazione Libera aveva criticato la riforma definendola come “‘un’occasione sprecata“.
Le modifiche alla Camera – Alla Camera, però, la maggioranza ha approvato un emendamento per cancellare quel “sia a lui nota“. In questo modo vengono puniti tutti quei politici che prendono voti da mafiosi o intermediari di mafiosi. Non è necessario che l’appartenenza ai clan di questi “grandi elettori” sia nota oltre ogni ragionevole dubbio, come invece prevedeva la legge uscita dal Senato. Del resto – è il ragionamento dei 5 stelle – gli accordi tra politici e boss si giocano sul filo dell’ambiguità. Nessuno va ad offrire voti presentandosi come esponente di Cosa nostra, ‘ndrangheta o camorra. In questo senso la riforma rende più dura la versione della legge vigente. Restano i dubbi per le obiezioni sollevate da Leu sulla dicitura di “appartenente mafioso” e sulle pene previste dagli aggravanti speciali. Adesso bisognerà vedere cosa succede al Senato.
Fonte: Il Fatto Quotidiano