La Dda di Catanzaro continua a lavorare nell’ambito del territorio vibonese, spinta dalle dichirazioni dei pentiti. Dopo aver scoperchiato il pentolone degli affari del clan dei Piscopisani, stamattina si è fatta luce sulla divisione in fazioni del clan Mancuso, diviso tra i seguaci di Ciccio Tabacco Mancuso e di Cosmo Michele Mancuso. Una contrapposizione sfociata nel tentato omicidio dello stesso Ciccio Tabacco e nell’omicidio del 2003 a Spilinga di Raffaele Fiamingo, detto “Il Vichingo”, ritenuto il boss di Rombiolo.
In manette sono finiti esponenti di spicco della ‘ndrangheta vibonese. Si tratta di Giuseppe Accorinti, detto “Peppone”, ritenuto dagli inquirenti il boss di Zungri, salito alla ribalta delle cronache tempo addietro perché stava portando a spalla la statua della Madonna del suo paese e il parroco decise di interromperla proprio per protestare contro il boss; Domenico Polito, detto Mimmo, originario di Paradisoni di Briatico ma residente a Tropea; Antonio Prenesti, detto “Yò Yò”, di Nicotera, già condannato nel processo “Dinasty” e Cosmo Mancuso, già in carcere nell’ambito di altri procedimenti penali.

Le attività di indagine sono stata supportate dalle dichiarazioni fornite da due collaboratori di giustizia, Emanuele Mancuso, nipote di “Ciccio Tabacco”, e Andrea Mantella, l’ex capo dei cosiddetti scissionisti che miravano a spezzare il monopolio della famiglia di Limbadi sul territorio. Le loro dichiarazioni hanno chiuso il cerchio su uno degli episodi più eclatanti della storia criminale vibonese e così gli inquirenti hanno potuto ricostruire tutti i retroscena che hanno portato al ferimento di Francesco Tabacco e all’omicidio di Raffaele Fiamingo, ritenuto all’epoca il boss di Rombiolo. Secondo l’ipotesi accusatoria il fatto di sangue sarebbe maturato per contrasti insorti nella gestione delle attività criminali tra i componenti della famiglia Mancuso: da una parte la fazione capeggiata da “Tabacco” e dall’altra quella guidata da Cosmo, alias Michele.
