di Emiliano Morrone
Le elezioni regionali sono vicine, di là dalla data ufficiale che tarda ad arrivare. Tra di noi giornalisti, che per mestiere conosciamo fatti e retroscena, sale il sentore che il risultato delle urne riproponga schemi e metodi risaputi. Intendo dire che i programmi di cambiamento potrebbero restare teorici, virtuali, di carta. Fosse così, non capiremmo le differenze di contenuti tra i vari contendenti. Questo voto, lo pensiamo in tanti, sarà condizionato in larga misura dai sentimenti più popolari che i social registrano da tempo: sfiducia, disincanto, ribrezzo, rassegnazione.
È assai probabile che cresca il “partito” degli astensionisti, sia perché a Roma – secondo canone – non si muove foglia, sia perché il dibattito politico, non soltanto regionale, è fermo alla ricandidatura o al ritiro del governatore Mario Oliverio, al suo scontro muscolare con il Pd; all’accordo tra “gialli” e “rossi” che a cicli lunari appare «così vicino così lontano», per citare un capolavoro del cinema; all’incerta riunificazione del centrodestra calabrese, Lega compresa, nel nome di qualche “Varenne” su cui scommettere per occupare le poltrone di comando.
A poche settimane dai comizi elettorali, da parte dei consiglieri regionali uscenti, e in generale degli eletti, non c’è un ragionamento articolato sulle urgenze e sulle priorità, in sintesi sulle misure concrete per colmare il divario tra la Calabria e il resto dell’Italia, dell’Europa. Né si sente un solo discorso sull’emigrazione attuale, fenomeno e prospettiva che coinvolge molti giovani laureati e perfino i loro genitori, con tutte le conseguenze economiche e culturali che ne derivano. In Calabria manca il lavoro, sia perché gli apparati pubblici sono stracolmi di dipendenti e ancora bellamente disorganizzati; sia – aspetto che diversi sindaci faticano a realizzare – per il grande caos sulle assunzioni in ambito sanitario, eterodiretto da un manipolo di burocrati dei ministeri vigilanti; sia perché l’iniziativa privata da noi risente, a sud del Sud, della carenza di interventi infrastrutturali e di agevolazioni fiscali vantaggiose.
E inoltre: il Servizio sanitario regionale vive il suo momento peggiore. Nel merito: i conti non tornano, il che è un vecchio problema alquanto ignorato, e l’indirizzo gestionale non ha timone, bussola, rotta; intanto poiché la normativa sul commissariamento del governo si è rivelata inattuale, inadeguata, inadatta a garantire il rientro dal disavanzo sanitario e soprattutto il diritto alla salute. Tuttavia essa è per molti versi divenuta un dogma: un po’ perché il parlamento non esamina e non discute più le questioni di sistema; un po’ perché i parlamentari, ridotti in virtù dell’eco interminabile della «Casta» (di Stella e Rizzo), sono comunque espressione di un meccanismo elettorale che ne sminuisce e comprime prerogative e funzioni.
Nel contesto calabrese noi giornalisti dovremmo essere più presenti ed incisivi sul piano della critica e dell’opinione, malgrado le nostre differenti sensibilità cercando di mantenere, ce lo impone la deontologia, un ruolo esterno al “gioco” delle parti politiche. Il guaio, passatemi il termine, è che siamo come monadi isolate: ognuno di noi cammina per conto proprio e non riusciamo a fare squadra. Eppure abbiamo risorse, conoscenze, esperienze che ci consentirebbero di, fatemelo dire, dare una scossa, se vogliamo una raddrizzata a larga parte della politica nostrana, che talvolta ci considera e tratta come puri microfoni della propria irrinunciabile vanità.