NÈ CAPORETTO NÈ MARATONA. UN’ANALISI CONCRETA DELLA SITUAZIONE CONCRETA
dalla pagina FB di Francesco Scanni
Premessa necessaria, vista l’arietta: non sono un economista. Ma anche uno studioso dei fenomeni politici può ragionare su un evento economico, non solo perché ogni studioso degno di questo nome sa che economia e politica si intrecciano inestricabilmente, per cui è necessaria una base di conoscenza minima, ma soprattutto perché l’economia non è una scienza neutra, e deve sempre essere analizzata in relazione al potere, ai rapporti di forza, agli interessi ed alle classi sociali. Per cui, per dirla con il barbuto: non esiste altra economia che l’economia politica, e da ciò discende che non esiste analisi economica che non sia un’analisi economica-politica.
Analisi concreta della situazione concreta.
Si fronteggiano due tipi di narrazione: quella sensazionalistica – avviata da Gualtieri e Gentiloni – che descrive l’accordo di ieri come una straordinaria vittoria, una Maratona dal lato ateniese per l’appunto, e quella catastrofistica, foraggiata in primis dalle opposizioni Lega e Fratelli d’Italia (gli stessi che nel 2011 approvarono il Mes con Forza Italia, ed i cui colleghi di gruppo europeo – nazionalisti anch’essi – non mancano di pronunciarsi a sfavore dell’Italia anche in questa situazione).
Entrambe sono mendaci e sbagliate, ma una lo è di meno – perché contiene almeno un minimo di realismo – l’altra, quella filo-europeista, lo è di più.
Partiamo da un dato: il Mes senza condizionalità non esiste. Gualtieri mente sapendo di mentire. Lo strumento infatti è normato dall’art. 136 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), il quale recita:
“Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare, ove indispensabile, per salvaguardare la stabilità dell’eurozona nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.
Il MES è un fondo finanziario avviato nel 2010-2011 su forte spinta del Governo Berlusconi. Ha un capitale di 700 mld e la Germania è il suo primo contributore (per il 27% del capitale). Esso prevede la condizionalità del prestito alla ratifica di un Memorandum d’intesa in cui, lo Stato che gode del prestito, si impegna a perseguire il rigore, i tagli al deficit e le riforme strutturali (leggasi: altra austerità, altri tagli alla spesa pubblica e svendita del patrimonio nazionale. Verosimilmente Eni, sogno proibito della bramosia tedesca e Fincantieri, desiderio ossessivo del governo francese).
Prevedere un Mes senza condizionalità, dunque, significherebbe violare uno dei Trattati principali dell’UE. Sottoscriverlo comporterebbe che in futuro chiunque, unilateralmente come previsto dall’art. 7 (5) del regolamento 472/2013, potrebbe contravvenire al “patto fra gentleman”, appellandosi al trattato. Anche un singolo parlamentare di uno Stato membro (o ancor di più una nuova maggioranza, con interessi differenti, che dovesse affermarsi in uno di essi). Tra l’altro, per stessa ammissione del Ministro, solo la linea di credito dedicata all’assistenza sanitaria prevede non nessuna condizionalità, ma una condizionalità lieve. Il MES è dunque un prestito fornito da un’istituzione che agisce da banca privata (da prestatore a tasso d’interesse), che grava sui bilanci dei singoli Stati e non su quello dell’Unione. Quindi un debito nazionale, non europeo, che perciò non riduce, anzi amplia, lo spread e la distanza fra Paesi ricchi e Paesi poveri, ancor di più alla luce della possibilità, riconosciuta ai creditori, di mutare le condizioni dei prestiti concessi in forza del trattato europeo. Prevedibilmente, passata la tempesta il MES pretenderà dai creditori condizioni più stringenti, anche in virtù del fatto che il credito è emesso a rate.
Sul refrain “non si è deciso ancora nulla, non è stato firmato niente”: questo è chiaro. La riunione dei capigruppo serve ad imprimere una direzione, è il Consiglio (con ratifica del Parlamento UE) che approva. Il punto però resta intatto: la giustificazione che non è stato deciso nulla e che l’Italia potrà farne richiesta, se ritiene, in futuro, usata per avvalorare la posizione, ce la dice lunga sulla bontà della stessa. La descrive, implicitamente, come un rischio che però viene attivato solo se richiesto.
Passiamo agli altri punti previsti nel documento finale (che ho impiegato tutta la mattinata per leggere): La BEI, che aprirà le linee di credito per le imprese, è finanziata con fondi nazionali, e non si rivolge agli Stati. Anche questo un prestito condizionato;
Il SURE (fondo antidisoccupazione)dipende anch’esso dalle garanzie che gli Stati assicurano “su base volontaria” (sic!).
In sintesi, l’Unione Europea non mette un centesimo (solo 2,7 mld del budget europeo) se non a prestito e con condizionalità predatorie. Questo è il punto, tutto il resto è speciosa retorica.
L’unica cosa positiva è ciò che nel testo finale non c’è: la promessa di corona-bond che gravino sul debito europeo ed il recovery fund rimandato al prossimo Consiglio. Un compromesso al ribasso per l’Italia, dunque. Che rispecchia i reali rapporti di forza in europa sbilanciati a favore dei Paesi centrali e nordici.
Ma di promesse si vive e si muore. L’unica speranza è ora riposta nel Presidente del Consiglio Conte e nel Parlamento che dovrà eventualmente approvare l’accesso al MES. Spero lo rifiuti e che lo scontro tra Conte e Gualtieri si risolva con le dimissioni del secondo. Presidente, tenga duro!
Testo integrale:
https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/