di Laura Margottini | il Fatto Quotidiano 6 Maggio 2020
“Il trattamento dà esiti incoraggianti, ma è necessario terminare l’analisi di tutti i parametri biologici e clinici relativi ai 50 pazienti trattati, analisi tuttora in corso, e superare il vaglio della comunità scientifica, prima di poter affermare se e quanto funziona”. A sedare le polemiche sulla terapia anti Covid cosiddetta del plasma iperimmune è proprio Cesare Perotti (dirigente di Immunoematologia del Policlinico San Matteo di Pavia), responsabile dello studio che ha coinvolto anche l’ospedale Carlo Poma di Mantova, con il collega del centro trasfusionale Massimo Franchini, l’infettivologo Salvatore Casari e il pneumologo Giuseppe De Donno. Sul cosiddetto plasma iperimmune – quello donato dai pazienti convalescenti, e per questo ricco di anticorpi neutralizzanti per il virus – De Donno ha già rivelato i risultati a giornali e tv: nessun decesso e 48 guariti. Sui giornali ha accusato l’Istituto Superiore di Sanità e il ministero della Salute di non essersi interessati a una terapia che dà esiti preziosi. Secondo fonti del Fatto, il gruppo avrebbe scritto fin da marzo al ministero della Salute per chiedere un coordinamento della raccolta del sangue dei guariti. Senza ricevere alcuna risposta. Anche il Comitato tecnico scientifico del governo per il Covid (Cts) non avrebbe manifestato grande interesse.
Perotti ribadisce soltanto che per parlare di terapia efficace serve prima una pubblicazione scientifica di tutti i risultati, che arriverà prestissimo. Se i sintomi sembrano scomparire – come dice De Donno – non si sa ancora che esito abbia dato, ad esempio, il parametro della viremia, cioè la quantità di virus presente nell’organismo dei pazienti prima e dopo l’infusione di anticorpi. Ma sul carro della terapia del plasma iperimmune è già saltato anche Matteo Salvini, reiterando le accuse di De Donno al governo: “Nessuno ne parla”. Il virologo Roberto Burioni ha invece definito la terapia “la nuova pozione miracolosa”, schernendone l’efficacia. Sebbene anche lui riconosca che usare il plasma di chi ormai è immune a un patogeno per curare chi ne sta morendo, è un approccio che la scienza medica applica da 120 anni, anche per Spagnola, Ebola, Mers, Sars. E che è un approccio che oggi costa poco (90 euro a paziente, a carico del Servizio sanitario nazionale) e che tutto avviene nell’ambito del pubblico, visto che “il plasma non è commerciabile in Italia,” spiega Casari, coautore dello studio, al Fatto. “Al massimo si può cederlo a un’altra struttura sanitaria, con rimborso del costo vivo”.
Sono tre gli studi su pazienti Covid gravi di Wuhan pubblicati finora, uno già il 27 marzo. Tutti e tre dicono che la terapia sembra salvare vite umane. Tutti e tre sono apparsi su riviste scientifiche, non sui giornali generalisti. Come gli autori dei tre studi già pubblicati, anche Perotti e i co-autori chiedono che la terapia al plasma iperimmune venga testata nell’ambito di studi più ampi e randomizzati, cioè dove sia previsto anche un gruppo di pazienti cosiddetti di controllo, che abbiano cioè sintomi molto più lievi dei primi, o che siano trattati con un altro farmaco, per poter confrontare la reale superiorità, in termini di efficacia, della terapia al plasma. Cosa che finora nessuno ha ancora fatto, data l’emergenza. “Senza studi randomizzati, non si può essere sapere se i pazienti sono guariti a causa di una terapia sperimentale o nonostante essa”, si legge il 7 aprile sulla rivista medica Jama in merito alla terapia del plasma iperimmune.