‘Ndrangheta in Emilia. Franco Gigliotti? Imprenditore colluso che negoziava con la cosca

Questa volta l’arresto è scattato in Emilia. Franco Gigliotti, imprenditore calabrese di successo, che ha fatto fortuna a Parma, è finito di nuovo nella rete della giustizia e non è certo una novità che fosse molto vicino alla ‘ndrangheta. Solo un mese e mezzo fa, il 3 aprile, del resto, le motivazioni della sentenza con la quale il giudice Santaniello lo condannava a 10 anni con rito abbreviato, lo spiegavano in maniera molto eloquente e l’eco era arrivato fino in Emilia. Appunto. 

di Georgia Azzali

Fonte: Gazzetta di Parma 

Un uomo generoso, Franco Gigliotti. Così almeno pensavano gli uomini della cosca: «… io parlo a nome di tutti noi che siamo tutti una famiglia… Noi vogliamo che tu lavori e che stai bene, perché se stai bene tu, fai stare bene anche gli altri…», diceva Vito Castellano, uno degli uomini di spicco del locale di Cirò, durante l’incontro intercettato del 4 ottobre 2016 in Calabria, a Torretta di Crucoli, con l’imprenditore parmigiano, Giuseppe Gigliotti, Pasquale Romeo e Giuseppe Sestito, altro uomo al vertice della famiglia cirotana. Uno degli appuntamenti più «illuminanti», secondo il gup Giacinta Santaniello che lo scorso settembre ha condannato Gigliotti a 10 anni (con rito abbreviato) per associazione mafiosa, per capire il ruolo dell’uomo che aveva dato il suo nome alla G.F. Nuove Tecnologie, l’azienda impiantistica di via Monte Sporno, oltre a una miriade di partecipazioni in altre società. Nulla a che vedere con l’industriale vessato dalle pretese degli uomini del clan – come ha sempre sostenuto la difesa – ma un imprenditore «colluso, in grado di negoziare con i membri della cosca, ai quali soggetti plenipotenziari si rivolge in posizione di sostanziale equivalenza», si legge nelle motivazioni della prima sentenza del maxi processo Stige di Catanzaro.

Una sentenza (1252 pagine) che è anche la storia della scalata vorace della cosca di ‘ndrangheta Farao-Marincola: dalla Calabria al Nord, per poi arrivare fino in Germania. Vari i settori su cui negli anni il clan aveva messo le mani: rifiuti, materiali plastici, carta, distribuzione di prodotti alimentari, accoglienza migranti, attività turistiche e commerciali. Qualche cambio di strategia, ma appetiti famelici e un unico obiettivo: fare soldi. Anche grazie a facce pulite, secondo il gup, come Gigliotti, che avrebbero finanziato la cosca. Denaro, posti di lavoro per uomini del clan e anche progetti imprenditoriali (in Calabria, perché nessuna delle attività parmigiane è stata coinvolta dall’indagine): questo era il patto che Gigliotti avrebbe stretto. L’imprenditore parmigiano – libero ma con il divieto di dimora in Calabria – aveva infatti assunto Vittorio Farao, figlio del capoclan Giuseppe, e Aldo Marincola in società da lui controllate – la R.P. Work, la P.R. Service, la C.L.C. Impianti e la G.G. Service – facendo affidamento su di loro anche per far fronte a pretese estorsive da parte di altre organizzazioni criminali. E la cosca era pronta a ricambiare, a dare protezione, in caso di necessità. «Emblematico», secondo il giudice, l’episodio di un furto che Gigliotti subisce nel maggio del 2016: dalla sua auto spariscono soldi, gioielli e orologi del valore di circa 13mila euro e una pistola, regolarmente denunciata. L’imprenditore fa denuncia alla polizia, ma allo stesso tempo avverte anche due pesi massimi della ‘ndrangheta cirotana: Vittorio Farao, figlio di Silvio, e Giuseppe Spagnolo. «Entrambi – scrive il giudice – si mettevano a disposizione per individuare l’autore del furto, tentare di recuperare la refurtiva, in particolare l’arma da fuoco, e soprattutto, secondo precise regole ‘ndranghetiste, per infliggere un’adeguata punizione all’autore del furto».

Nel 2015 Gigliotti aveva anche costituito a Torretta di Crucoli la G-Plast, una società per la produzione e la commercializzazione di materiale plastico, ma in questo caso non è stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che l’azienda appartenesse a uomini della cosca, da qui l’assoluzione dal reato di trasferimento fraudolento di valori sia per l’imprenditore che per la nipote Maria Francesca. Ma ciò che pesa per Gigliotti è l’associazione mafiosa, su cui il giudice non ha dubbi, nonostante il tribunale del Riesame avesse riqualificato il reato in concorso esterno: incontri in Calabria e a Parma con personaggi di spicco del clan, intercettazioni, oltre alle dichiarazioni del pentito Domenico Critelli. Ed è lo stesso Gigliotti che nell’incontro dell’ottobre 2016 a Torretta di Crucoli – fa notare il giudice – ricorda agli uomini del clan che lui «per questi signori qua» aveva versato in un anno 384mila euro.