Nella Repubblica delle banane “non c’è un ca**o da festeggiare” (parafrasando Salvini)

Ancora una volta in occasione del settantaquattresimo anniversario della nascita della Repubblica italiana a Roma, come nel resto d’Italia va di scena la solita retorica istituzionale. Una commemorazione che è solo formale. Senza sostanza, senza emozioni, senza partecipazione di popolo. Una celebrazione pomposa che riflette solo ed esclusivamente una ritualità “statale” che oggi non ha più ragione di esistere, almeno non in questi termini. Non c’è l’afflato (poeticamente parlando) tra lo stato e il popolo. Se mai è esistito. Manca il senso d’appartenenza, se mai c’è stato. Nessun italiano oggi sarebbe disposto a morire per la madre patria. Una Patria che non c’è, e quando c’è si dimostra fredda, oppressiva, totalizzante: “una libertà imposta è peggio di una schiavitù”. Ma poi Liberi di fare cosa: di comprare ciò che ci piace al supermercato? Oppure la Libertà di cui godono in pochi di accumulare ricchezze mentre il resto del mondo è attaccato ad una catena? O la Santa Libertà di prevaricare gli altri in nome del Dio denaro, è questa la Libertà di cui dovremmo vantarci? La libertà della grandi multinazionali che in nome del libero mercato affamano miliardi di esseri umani? La Libertà di bombardare chi ci pare in nome di una supremazia culturale che sa di oppressione più che di liberazione. Verrebbe da dire come disse Matteo Salvini nel lontano 2013: “oggi non c’è un ca**o da festeggiare”. Salvo poi cambiare idea, non per nuova convinzione, ma per il suo solito becero opportunismo.

E già, cosa c’è da festeggiare oggi, proprio non si capisce. Cosa dovremmo festeggiare? La politica corrotta che in poco più di 40 anni ha bruciato tutte le risorse pubbliche svendendole alle superpotenze occidentali? O la Repubblica delle tangenti e delle stragi di stato? Oppure la Repubblica delle Logge segrete, delle caste, dei depistaggi, della trattativa mafia/stato? E ancora, la Repubblica dello sfruttamento legalizzato, dello strozzinaggio legittimato delle banche, dei palazzinari di stato, dell’iniquità sociale?

Ma quello che brucia più di ogni altra cosa oggi e constatare che a 74 anni dalla nascita della Repubblica, ancora in Italia non esiste una Giustizia uguale per tutti. E come si sa senza Giustizia nessuna pace (sociale). Senza una Giustizia equa e giusta non c’è Libertà, e senza Libertà non c’è Democrazia. L’allarmante livello di corruzione raggiunto oggi in Italia all’interno della magistratura è la prova provata di una rassegnazione dello stato a certe pratiche, come la corruzione, oramai “intrinseche al sistema pubblico”. La corruzione della politica così come quella della magistratura è tollerata a tutti i livelli. E una Repubblica che ammette tali “privilegi, e garantisce impunità di casta, non può dirsi certo una società libera e uguale, così come vorrebbe la Costituzione che è la “Bibbia” della nostra Repubblica. Non si è mai vista una Repubblica civile e democratica che trasforma la Giustizia in un grande mercato della vacche.

Dice Gratteri della sua categoria: «In magistratura c’è un problema di corruzione… Possiamo parlare del 6-7%, non di più… Grave, terribile, inimmaginabile, impensabile, anche perché guadagniamo bene. Io guadagno 7.200 euro al mese, si vive bene, quindi non c’è giustificazione, non è uno stato di necessità, non è il tizio che va a rubare al supermercato per fame. Si tratta di ingordigia…». Che tradotto in numeri significa che ci sono quasi 450 magistrati corrotti.

E scusate se è poco. Ma niente succede. Solo chiacchiere per far passare la tempesta. E quando la tempesta si sarà placata tutto ritornerà come prima, perché in Italia cane non mangia cane. Una regola fondamentale per la masso/mafia che di fatto governa questa nazione.

In questo quadro ci chiediamo: che valore può avere oggi una sentenza emessa da un tribunale italiano?

Chi garantisce all’imputato l’imparzialità del giudizio? E poi: chi è stato condanno e oggi scopre che il giudice che ha emesso la sentenza è un corrotto, che fine farà quella sentenza? Può l’imputato chieder un nuovo giusto processo? Oppure deve tenersi la condanna e basta?

In Italia in materia di Giustizia siamo alle barbarie. E il caso Palamara lo prova: una casta di corrotti e impuniti disposti a tutto, anche ad assolvere assassini, corrotti, mafiosi, bancarottieri, e ladri di stato, per denaro.

Non siamo la patria del Diritto, lo siamo stati, oggi non lo siamo più. Quello che siamo è presto detto: la più classica Repubblica della banane, e a veder la composizione del governo e dei rappresentanti del popolo, si può tranquillamente dire che agli italiani sta bene così! Viva La repubblica, viva l’Italia!