Continuiamo a pubblicare gli stralci del libro-inchiesta sulla ‘ndrangheta “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta” di Francesco Forgione. Dall’omicidio di Salvatore Pellegrino, detto uomo mitra, gli inquirenti hanno scoperto attraverso le intercettazioni cose incredibili sulla famiglia Piromalli…
APPUNTAMENTO A MILANO
“Zio Aldo? Pronto, Gioacchino sono. Allora è tutto a posto. Sono già a Milano, dai cugini. Ci vediamo domani alla sua sua segreteria, a mezzogiorno, che prima ho la visita all’ospedale…”.
L’incontro è di quelli importanti e va preparato con cura. In certi momenti contano anche i minimi particolari. Si deve pesare ogni parola. Come i silenzi, le cose da dire e qielle che è meglio mettere da parte. C’è troppa differenza tra Gioacchino, il nipote del boss, un ragazzo di nemmento trent’anni e il senatore. Anche perché il senatore non è uno dei tanti, di quelli che a Roma fanno truppa quando arrivano dai collegi di provincia tra i banchi e le poltrone rosse di Palazzo Madama.
E poi, diciamolo chiaro e tondo, parrari cu iddu è cumu parrari cu chidd’autru…
Certo, mandare un ragazzo a fare da “ambasciatore” nel cuore del potere politico e finanziario che da quasi vent’anni controlla l’Italia, può sembrare uno sgarro. Una mancanza di rispetto pure per il senatore. Ma non è così. Tra quelli che sono “dentro” e quelli che fuori si devono guardare è l’unico che in quel momento lo può fare. Tanto, non conta l’età, ma a nome di chi si parla e, come si dice, da queste parti, a cu’ s’appartene. Per questo Gioacchino deve essere istruito a dovere. Non può sbagliare. Tramite lui, parla tutta la famiglia.
Siamo alla vigilia del 2008 e il governo Prodi sta tirando gli ultimi respiri. E’ falcidiato dalle liti tra i partiti che lo sostengono. E ci si è messo pure Berlusconi, che ha lanciato una compravendita di deputati e senatori che sta portando alla caduta del governo. Un mercato così non si era mai visto. Altro che Parlamento, pare la fiera della festa di Sant’Ippolito.
Le elezioni politiche anticipate sono ormai nell’aria. E come sempre è uno dei classici momenti nei quali i boss attivano il loro protagonismo. Sanno che possono trattare. Ci sono uomini politici che per un pacchetto di voti sono pronti a tutto. E loro gli argomenti giusti per farsi ascoltare e stringere alleanze ce li hanno sempre avuti. Come i voti da mettere sul piatto. In Calabria, Sicilia, Campania è sempre stato così.
L’appuntamento è per il giorno dopo, ma lontano dagli uffici del Senato, a Roma. A dire il vero, il Senato c’entra sempre. Ma in questo caso è solo il nome di una via del cuore pulsante di Milano, a due passi dal Duomo. E’ il regno di Marcello Dell’Utri. Lì c’è la sua segreteria politica e anche la sua biblioteca, fissato com’è con la raccolta di libri antichi e rari. E da via Senato n. 12 passano anche le decisioni che fanno incrociare gli interessi elettorali berlusconiani con quelli della famiglia. Come se a Milano, con l’incontro tra i Piromalli e Dell’Utri, si crei una specie di ponte ideale e materiale tra le due sponde dello Stretto.
Per i “signori” della Piana questi rapporti non sono una novità. Loro la politica la fanno dai tempi in cui Dell’Utri ancora era nuddu e loro padrini già forti e potenti. Oggi i partiti e i protagonisti sono nuovi, ma il copione è sempre lo stesso che si ripete.
ANDREOTTI A GIOIA TAURO
Trentatré anni prima era stato un altro uomo politico e di governo a riverirne l’autorità e a firmare un attestato di riconoscimento da parte dello Stato italiano nei loro confronti. Era successo la mattina del 25 aprile del 1975.
Tra tutti gli incarichi ricoperti nella sua lunga vita politica, a quel tempo Giulio Andreotti è il ministro del Bilancio. Da lui dipende anche la Cassa per il Mezzogiorno, il pozzo senza fondo di soldi pubblici che avrebbe dovuto riequilibrare le condizioni di sottosviluppo economico e sociale del Sud rispetto al boom industriale del Nord.
E’ il giorno della Liberazione. Invece che partecipare a una cerimonia in una delle tante città simbolo della Resistenza e della lotta partigiana, il ministro decide di scendere in Calabria, a Gioia Tauro. L’occasione è davvero storica e merita anche la solennità della data. Quel momento era atteso come un sogno irraggiungibile dalle migliaia e migliaia persone della Piana che ancora non si erano rassegnate ad abbandonare la famiglia, fare le valigie e andare al Nord. Per questo è anche oggetto di continui scontri e contese politiche che vanno avanti da quattro anni. Da quando, anche per effetto del suo annuncio, a Reggio Calabria si erano spenti i fuochi della rivolta e smontate le barricate dei “Boia chi molla”: è il giorno della posa della prima pietra per la costruzione del porto e del V Centro Siderurgico.
Ne è passato di tempo da quando un altro presidente del Consiglio democristiano, Alcide De Gasperi, era arrivato in Calabria sul finire degli anni Cinquanta per invitare una folla di contadini e braccianti morti di fame, che difendevano pane e lavoro, a “imparare una lingua e andare a emigrare”.
Questa volta no. Andreotti arrivava come un messia, per annunciare un’altra novella: basta valigie di cartone e nottate ammassati in seconda classe sulla Freccia del Sud o il Treno del Sole per andare a cercare lavoro a Torino, Milano, Bolzano fino in Germania, Belgio, Francia. Molti altri erano andati pure oltreoceano, in Canada e Australia. Ora, finalmente, il lavoro arriva in Calabria e il sogno della fabbrica diventa realtà.
E’ quello che tutti si aspettano. Lo racconta il sindaco di Gioia Tauro, Vincenzo Gentile, in un’intervista rilasciata alla Gazzetta del Sud per salutare la presenza del ministro. “… La posa della prima pietra esprime l’esigenza profonda, viva, sentita delle nostre genti di vedere finalmente posta la parola fine al malessere da cui è colpita endemicamente la nostra Calabria: malessere che porta i nomi di miseria, emigrazione, disoccupazione, sottoccupazione…“.
La mafia non è mai menzionata. Non compare tra i “nomi” dei malesseri calabresi. La mafia non esiste. Eppure, fino a quel momento, gli unici a beneficiare del sogno produttivo della Calabria erano stati soltanto loro, i boss della ‘ndrangheta e le loro cosche. Si erano trasformati da un giorno all’altro da contadini, vaccari e mezzadri in autotrasportatori e imprese di movimento terra e avevano sbancato centinaia e centinaia di ettari di terreno per creare l’agognata area industriale.
Come sempre avviene in queste occasioni, ad attendere Andreotti a Gioia Tauro, già di primo mattino si è formato un comitato d’accoglienza: notabili locali, deputati, consiglieri regionali, faccendieri. Gentile, che è anche presidente del Comitato dei sindaci della Piana, è uscito di casa con la fascia tricolore.
Devono accompagnare il ministro a contrada Vota. E’ qui che hanno costruito un palco immenso, tutto imbandierato. E’ al centro di una campagna arsa e desolata. Solo due anni prima era un giardino, con migliaia di alberi di clementine, limoni, arance e ulivi secolari che si stendevano, come uno svolazzante manto verde, dalle colline di Gioia e Rosarno fino all’azzurro del Tirreno.
Appena il ministro scende dall’Alfa Romeo blu di rappresentanza, il Comitato, diventato un vero e proprio codazzo, preferisce accompagnarlo al bar. La folla arrivata da tutta la provincia con i pullman del sindacato può aspettare. E pure i rappresentanti delle istituzioni presenti in pompa magna, i sindacalisti e i sindaci con i gonfaloni dei comuni. Così intanto si sfogano pure i giovani del Partito comunista che già dalla mattina urlavano slogan e contestavano la manifestazione.
E’ un fuori programma. Ma qui niente avviene per caso. Serve a far sapere dove e con chi avviene il primo incontro del ministro nella Piana. Bar, grazie a Dio, a Gioia non ne mancano. Ce ne sono davvero tanti. Chissà perché, però, il migliore caffé della zona è quello dell’Euromotel, lo storico hotel della famiglia Piromalli. Proprio quello che – chi poteva immaginarlo? – dopo vent’anni verrà confiscato e consegnato al Comune.
Naturalmente, per un ospite di riguardo, il barista non può che essere d’eccezione. A fare gli onori di casa, porgere la tazzina e offrire le pastarelle, ci pensa Gioacchino Piromalli in persona. E’ il nipote prediletto di don Mommo, il patriarca, e di don Peppino, suo fratello, il capo del clan che proprio a Gioacchino hanno assegnato il compito di organizzare la spartizione dei lavori e degli appalti per gli sbancamenti dell’area industriale. Anzi, hanno fatto di più. L’hanno messo a capo di una sorta di “federazione” delle cosche della Piana. E’ lui che tratta parallelamente con le ‘ndrine e le famiglie della provincia e con le istituzioni e con l’Asi, il consorzio industriale che deve realizzare il Centro Siderurgico e il più grande porto del Mediterraneo.
La famiglia è ormai un’istituzione tra le altre. Da oggi ha pure il riconoscimento ufficiale. Infatti, finito il comizio e scesi tutti nell’area attrezzata dietro il palco, nessuno si meraviglia del fatto che, tra gli ospiti di riguardo e i rappresentanti delle istirtuzioni locali, a fare gli onori di casa durante il rinfresco offerto al ministro e alle autorità venute da fuori ci sia ancora lui, Gioacchino Piromalli.









