Cosenza non è Piacenza. Ma neanche Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo, Crotone, Lamezia. Cosenza conferma il suo primato: l’unica città calabrese dove non è presente né la ‘ndrangheta come “locale”, né la corruzione come sistema. Quello che si registra a Cosenza, in materia di reati contro la pubblica amministrazione posti in essere da servitori dello stato infedeli, sono solo degli episodi sporadici non riconducibili a nessun “cartello massomafioso” o organizzazione criminale. Qualche mela marcia, sovente scoperta, non pregiudica i saldi principi etici e morali su cui poggiano le fondamenta delle istituzioni cosentine. A Cosenza quei pochi servitori infedeli dello stato agiscono per conto proprio mossi solo ed esclusivamente dalla bramosia di denaro. Vendono le proprie prerogative istituzionali a qualche criminale solitario non apparanzato con nessuno (perché le paranze a Cosenza non ci sono) per qualche borsetta, un cambio gomme, una vacanza esotica e qualche centinaio di euro. Robetta rispetto a quello che succede nelle altre città della Calabria dove ogni settimana la Dda mette a segno una operazione contro agguerrite cosche di ‘ndrangheta apparanzate con politici corrotti e servitori dello stato infedeli organizzati sotto forma di cupola massomafiosa.
Cosenza non è Piacenza. A Cosenza le forze di polizia sono al di sopra di ogni sospetto, salvo qualche eccezione. Al di là di qualche singolo spiacevole episodio, il senso del dovere, il rispetto della divisa e della Costituzione e l’etica professionale nelle nostre caserme, regnano sovrane. Mai una fuga di notizie, mai una spifferata agli amici degli amici, mai un uso distorto delle intercettazioni, mai una indagine farlocca, mai un abuso, mai una bustarella, mai un uso a convenienza dei pentiti. A Cosenza non è mai successo niente di tutto questo. E il perché è facile da capire. A Cosenza non esistono gli amici degli amici, non ci sono notizie da far “scappare”, non ci sono intercettazioni compromettenti perché nessuno dice niente di compromettente. Un’isola felice per chi lavora nelle forze dell’ordine: non c’è nessun criminale da prendere, salvo qualche piccola eccezione che al massimo impegna qualche volante.
Cosenza non è Piacenza. A Cosenza esiste il sistema giudiziario perfetto. In procura si lavora per un solo scopo: la Giustizia. La ricerca esasperata della verità, principio da tutti condiviso, ha reso il nostro tribunale unico nel suo genere: equo e trasparente, che in tempi di Palamara non è poco. Tutti i cosentini si fidano della procura che non perde occasione per dimostrare ai cittadini che da noi la “legge è uguale per tutti” ha un senso concreto.
Infatti non essendoci, a Cosenza, marpioni di un certo livello e pezzi da 90 da indagare e giudicare, sul banco degli imputati finiscono sempre gli stessi 4 piddrizzuni che la procura tratta tutti nello stesso modo. Un vero esempio di giudizio terzo ed imparziale, dettato solo dall’oggettività e dalla solidità delle prove a carico. Il Tribunale di Cosenza è talmente immacolato che persino il ministro della Giustizia Bonafede ha ritenuto superfluo mandare una ispezione chiesta dai soliti disfattisti che vedono complotti in ogni dove. Così come il Csm ha ritenuto inopportuno disturbare il lavoro dei pm cosentini, denunciati sempre dai soliti drogati visionari, impegnati nella difficile e pericolosa lotta contro i fumatori di spinelli, la vera piaga della nostra città. A differenza di quello che succede negli altri tribunali, dove alcuni pm, fortemente compromessi con la ‘ndrangheta e politici corrotti, sono stati allontanati, o addirittura indagati dalla procura di Salerno, a Cosenza i pm e i giudici possono dormire tranquilli, non hanno niente da temere: l’aria chiara non ha paura dei tuoni. Il loro è sempre stato un atteggiamento improntato al rispetto della Legge e delle regole. Del resto se non hanno altro da fare se non andare dietro a qualche spinello, indagini scottanti da insabbiare non ce ne sono. Basta questo per comprendere l’onestà della nostra procura.
Cosenza non è Piacenza. L’aspetto che più di ogni altro dona lustro alla nostra città, è senz’altro la Politica. Quella con la P maiuscola. Infatti da noi tutti i politici si contraddistinguono dal resto dei loro colleghi, quasi tutti impegnati a spartirsi il malloppo delle ruberie pubbliche, per “passione” e “amore per il bene comune”. Prima di ogni altra cosa e al centro della loro azione politica c’è sempre il bisogno del cittadino. E questo lo sanno tutti. Basta guardare lo splendore sociale, economico e culturale della nostra città per capire che siamo almeno avanti di 50 anni rispetto alle altre città calabresi. Che vivono ancora nell’arretratezza culturale della corruzione e dell’imponimento. Mentalità che Cosenza ha dismesso oltre mezzo secolo fa. E la prova di tutto questo sta nell’assenza totale, a Cosenza, di inchieste giudiziarie, come quella di Piacenza – o come quella di Salerno che coinvolge i giudici di mezza Calabria tranne quelli di Cosenza – dove gli indagati sono appartenenti alle istituzioni, e dove è chiaro che parlare di mele marce è oramai un eufemismo.
Quello che viene alla luce da queste inchieste è la corruzione fatta sistema in ogni dove: tribunali, caserme, questure, uffici pubblici (senza generalizzare ovviamente). Ma soprattutto quello che viene fuori è che da sempre le istituzioni, nei confronti degli appartenenti allo stato che si macchiano di gravi reati, utilizzano il vecchio adagio di “lavare i panni sporchi in famiglia”. I vertici delle istituzioni hanno sempre agito così: insabbiare, nascondere, occultare, questi i verbi praticati, quando la faccenda riguarda uno di loro. E se i vertici fanno così, immaginate tutto il resto. Un vero e proprio invito a delinquere, tanto non paga nessuno: tutto viene abilmente nascosto. Ma qualcosa con l’arresto di una intera caserma di carabinieri a Piacenza si è rotto, così come si è rotto qualcosa con le inchieste avviate da Salerno e Perugia che hanno reso pubblico un sistema di corruzione nei vari tribunali calabresi e non solo, tranne che in quello di Cosenza.
Ovviamente tutto questo succede altrove, non certo nella nostra città. A Cosenza non c’è bisogno di indagare, perché non c’è niente da indagare. Anche se qualcuno ci ha provato a macchiare questo nostro giusto e consolidato “primato” di isola felice. A parte i soliti drogati visionari che vedono complotti dappertutto, più di tutti ci ha provato il dottor Gratteri ad infangare il buon nome della nostra città, con qualche piccola operazione di facciata, giusto per tastare il terreno delle reazioni, che, giustamente, il Tribunale della Libertà prima, e la Cassazione poi, hanno rispedito al mittente. Come a dire: caro Gratteri, a Cosenza non c’è niente da scoprire, tutto è limpido e trasparente. Occupati di altro, e lascia stare questo esempio di legalità che è la città di Cosenza.
La giusta risposta che merita chi come Gratteri continua a dire che la massondrangheta cosentina è di serie A. Del resto Gratteri non è nuovo a visionari teoremi, basti guardare l’operazione “Rinascita” per capire che è abituato a spararla grossa per poi ridimensionare il tutto a poche cose. Ed è quello che è successo con l’operazione Rinascita dove la Cassazione ha praticamente scagionato tutti. Più che un’aula bunker, a Gratteri, per svolgere questo processo basterà lo sgabuzzino del Tribunale, visto che sono rimasti quattro gatti.
P.S. giusto per: O Gratteri è incapace di svolgere una indagine come si deve, visto che quasi tutte le sue inchieste vengono sistematicamente smontate dal TDL prima e dalla Cassazione poi, oppure siamo di nuovo di fronte ad un ennesimo caso “Corrado Carnevale”.