Massomafia, chi è Francesco Antonio Stillitani. Ora tremano anche gli imprenditori “insospettabili”

Francescantonio Stillitani

L’ex assessore regionale Francesco Antonio Stillitani, per il quale oggi la Dda di Catanzaro ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio (http://www.iacchite.blog/ndrangheta-nel-vibonese-altro-maxi-processo-147-rinvii-a-giudizio-in-imponimento/), dopo essere stato arrestato a luglio 2020, qualche mese dopo aveva subito un maxisequestro beni per oltre 17 milioni di euro. Stillitani era stato l’arresto “eccellente” del blitz “Imponimento” della Dda di Catanzaro del 21 luglio 2020, che aveva colpito i clan di ‘ndrangheta operanti tra Lamezia e Vibo Valentia. Stillitani era stato arrestato insieme al fratello Emanuele con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione e anche di voto di scambio e, dopo l’esperienza politica, era tornato al business del turismo, che curava già in precedenza insieme ai suoi familiari.

Stillitani era stato assessore al Lavoro e alle Politiche sociali nella Giunta Scopelliti, dopo essere stato eletto con l’Udc alle Regionali del 2010 e si era dimesso nel 2013 anche dalla carica di consigliere regionale. “Ho deciso per coerenza ed onestà di dimettermi anche da consigliere regionale – aveva affermato all’epoca -, rinunziando a tutti i vantaggi che la carica comporta; questo senza che nessuno mi obblighi a farlo o me lo richieda e pur potendo legittimatamene continuare a mantenere la carica di consigliere sino alla fine della legislatura nel 2015”. Un addio che era rimasto avvolto nel mistero. Stillitano, da allora, era tornato a curare le attività imprenditoriali della sua famiglia, che gestisce alcuni dei più importanti villaggi turistici del litorale vibonese. Le cronache erano tornate ad interessarsi di lui quando, qualche anno fa, aveva presentato alla Regione un progetto per un mega resort a Pizzo, la sua città di origine.

In precedenza, Stillitani era stato a lungo sindaco di Pizzo Calabro, dal 1993 al 2003. Nel 2001, come unico rappresentante dell’Udc, era stato nominato assessore regionale esterno dal presidente Chiaravalloti. E’ stato eletto per due volte consigliere regionale (2005 e 2010) e nel 2010 nominato assessore regionale al Lavoro ed alle Politiche sociali, sempre in quota Udcm dal presidente Scopelliti. Dopo tre anni, come detto, si era dimesso: “Non sono più motivato a fare attività politica – aveva dichiarato -, mi trovo a disagio in un mondo dove ormai spesso si opera e si fanno scelte dettate da interesse di parte e personale e si privilegia l’appartenenza e la clientela rispetto alle capacità, un ambiente in cui prevalentemente si vota e si appoggia un uomo politico non perché se ne condividono le idee e le attività, ma perché si spera di ottenere qualche vantaggio e questo a discapito della Calabria e dell’Italia in generale. Non ho mai visto la politica come fonte di reddito e di potere, non mi va più di essere confuso ed accomunato dall’opinione pubblica, a quei miei colleghi, anche nazionali ,che vedono le Regioni e le Istituzioni come mucche da mungere illegalmente, come si rileva, purtroppo, dalla stampa e dalla cronaca giudiziaria”

Stillitani, come si legge nell’ordinanza, ha “concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Vibo Valentia e su altre zone del territorio calabrese, nazionale ed estero (Svizzera), ed in particolare della locale di Filadelfia e della cosca Anello-Fruci ivi operante, associazione”.

Francescantonio Stillitani e suo fratello Emanuele “come concorrenti “esterni”, nella qualità di imprenditori del settore turistico-alberghiero, Francescantonio Stillitani anche quale uomo politico di riferimento del sodalizio… fornivano stabile contributo alla vita dell’associazione mafiosa”. Secondo gli inquirenti, Stillitani sarebbe stato “in contatto diretto con i vertici dell’organizzazione criminale operante a Filadelfia, Acconia di Curinga e zone limitrofe, famiglia Anello e Fruci e loro faccendieri e sodali del sodalizio – dopo una prima fase in cui avevano subito richieste estorsive ed a seguito di una tipica evoluzione del rapporto in termini collusivi -” e avrebbe messo in essere “uno stabile rapporto “sinallagmatico” caratterizzato dalla perdurante e reciproca disponibilità a prestarsi ausilio ed in forza del quale gli Stillitani consentivano a tale organizzazione di infiltrarsi e di avere voce in capitolo negli affari relativi allo specifico settore della gestione di strutture turistiche, anche mediando con altri imprenditori in relazione alle pretese estorsive della cosca e dei suoi appartenenti, concorrendo nelle condotte estorsive, favorendo l’affidamento di opere, forniture e servizi ad imprese contigue alla coscaovvero direttamente avvalendosene, garantendo l’assunzione di sodali o di soggetti comunque indicati dall’organizzazione”.

Ottenevano così, oltre alla “protezione” mafiosa, una serie di ulteriori vantaggi, tra i quali  l’appoggio in favore di Francescantonio Stillitani in occasione delle competizioni elettorali che lo vedevano candidato (in particolare, le elezioni regionali calabresi del 2005), “attraverso plurimi accordi politico-mafiosi maturati e conclusi nel contesto delle cointeressenze economiche legate alla gestione delle strutture turistiche di proprietà degli Stillitani e dei reciproci vantaggi dalle stesse derivanti”.

Tra gli indagati anche un altro imprenditore del settore turistico ovvero Vincenzo Renda di Vibo Valentia, già coinvolto nella maxi inchiesta “Rinascita Scott”, e l’ex dirigente del Comune di Pizzo Maria Alfonsina Stuppia. Sempre tra gli imprenditori risultano coinvolti nell’inchiesta anche Francesco Mallamace, Nicolantonio Monteleone, Antonio Facciolo, Romeo Ielapi e Daniele Prestanicola, che secondo l’accusa avrebbero “stretti rapporti” con la cosca Anello di Filadelfia che garantiva loro l’accesso a importanti appalti e commesse.

Sono in tanti, adesso, alla luce degli ultimi sequestri, gli imprenditori cosiddetti “insospettabili” o che magari si credono “intoccabili”, che temono che il procuratore Gratteri abbia – finalmente – individuato anche i loro traffici. 

Fra gli altri indagati, appunto, i fratelli Rocco e Tommaso Anello, ritenuti al vertice dell’omonimo clan di Filadelfia (arrestati), Domenico Bonavota (latitante), ritenuto fra i capi dell’omonimo clan di Sant’Onofrio, i fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci di Acconia di Curinga. Arrestati anche Domenico Ciconte di Sorianello (imprenditore boschivo) e il costruttore Francesco Caridà di Pizzo Calabro. Indagato anche Francesco Crigna di Parghelia per intestazione fittizia di beni. Nel lungo elenco si trovano anche due esponenti della famiglia Iannazzo di Lamezia Terme.