Lo Stato è prima di tutto rispetto delle regole. È difficile trovare una frase migliore che sintetizzi il contenuto della discussione che ha visto protagonista il procuratore Otello Lupacchini sulla pagina facebook Teorema Cosenza. Era da un anno che il procuratore Lupacchini mancava in Calabria, un anno dal suo trasferimento e l’occasione per tornarci seppur virtualmente è stata una discussione che ha preso le mosse da due testi: “Paura e Potere” del dott. Lupacchini e “Teorema Cosenza” di Saverio Di Giorno. https://fb.watch/2FZutPcs3L/
Hanno preso parte oltre che dal procuratore, il professor Giancarlo Costabile (Unical) e Saverio Di Giorno. I due testi sono certamente diversi: l’uno (quello del dott. Lupacchini) è un saggio, l’altro un racconto a metà tra l’inchiesta giornalistica e la denuncia personale. Ad unirli “le regole”. Il rispetto delle regole. Nella prima parte il procuratore Lupacchini ha tenuto quasi una lezione su alcuni concetti, che – a riascoltarli a mente fredda- sembrano (e non a caso), trovare la perfetta esemplificazione e dimostrazione in alcuni fatti calabresi. Il procuratore traccia i meccanismi di acquisizione e conservazione del Potere. Parla di “istituzionalizzazione del potere” (Santi Romano) e ne descrive le due facce, quella offensiva, volto a eliminare chi si oppone ad esso, e quella difensiva, volto a proteggere i consociati. Il Potere esige come contropartita l’obbedienza e tra i suoi strumenti c’è la Paura. Mette in guardia rispetto alle situazioni nelle quali c’è una sospensione del diritto: durante i tumulti nell’antica Roma lo si sospendeva dando potere ai consoli, e lo stesso durante la peste manzoniana. Il paragone è fin troppo facile con la peste di oggi: il Covid. Per motivi sanitari si fa un uso spropositato dei decreti che spogliano il Parlamento del suo ruolo. Il procuratore mette in guardia rispetto al “fine che giustifica i mezzi”. Tali metodi, portano a derive autoritarie.
La peste può essere di diversi tipi: la mafia è un bubbone onnipresente. Viene da pensare che il richiamo valga anche in questo caso. Quanti casi emergenziali la Calabria conosce che hanno portato ad agire per decreti, affidamenti, nomine scavalcando garanzie e controlli democratici? Quanto spesso si sono richiesti poteri speciali per combattere il fenomeno o si sono saltate ritualità democratiche. Il prof. Costabile, che definisce il procuratore un “intellettuale eretico” parla di poteri paralleli, massonici, rispetti a quelli dello stato centrale e legittimati da questo. Un problema che riguarda la classe borghese e la classe dirigente. Poi pone un dubbio al procuratore: quanto lo Stato oggi può dirsi capace di difendersi da poteri esterni, dai mercati o da altro? Il procuratore non ha dubbi: tanto più si sfugge al rispetto delle regole tanto più uno Stato è debole e attaccabile. “Oggi c’è una tendenza a sfuggire a questo rispetto delle regole e a definire chi le rispetta un fesso”. Si richiama alla sua esperienza, ai tentativi eversivi che hanno scosso l’Italia durante la guerra fredda e che hanno visto protagonista il magistrato.
A questo punto viene richiamata l’attenzione del magistrato agli eventi calabresi. A partire da quanto si documenta in Teorema Cosenza che vede al centro l’ispezione del 2005 dello stesso Lupacchini, nella procura cosentina. Rivela che la procura di Salerno aveva aperto dei fascicoli verso avvocati e magistrati poi finiti nel nulla. Ma anche episodi più recenti: non si può definire una violenza istituzionale il trasferimento per direttissima del procuratore Facciolla? Non è forse un grave vulnus aver dimenticato di rispondere alle richieste di Lupacchini e Facciolla che chiedevano di allontanare un funzionario infedele dalla procura? E ancora non è stato un sopruso la sottrazione delle inchieste di De Magistris? I concetti spiegati prima sembrano perfetti. Il procuratore non si tira indietro: “Il vero nemico della magistratura è dentro la magistratura” perché, lanciare accuse generiche e non documentate crea solo discredito. Racconta un aneddoto in proposito: “A margine di un convegno molto importante, con figure di rilievo, viene detto che 15 magistrati calabresi sono corrotti senza fare nomi e cognomi. Ho chiesto di essere audito per esprimere disagio verso un’accusa tanto grave quanto generica. (…) Nessuno si è rizelato, nessuno, quasi fosse normale”. Poi ancora riporta alla mente altre accuse generiche: il 4% dei magistrati italiani è corrotto. “Non mi si venga quindi a dire che sono io che getto delegittimo”.
Conferma il caso del funzionario non allontanato, ma reintegrato e si chiede “che fine abbiano fatto le indagini sui reati di accesso ai sistemi informatici”. Ci tiene molto a questo punto perché non approfondire non fa altro che far aleggiare il sospetto che “si voglia favorire o viceversa coprire qualcuno, o che si avvantaggi chi si comporta contro le regole”. Un sospetto inaccettabile. Su De Magistris non commenta, ma riporta alla mente un “battibecco” nel quale “si faceva notare ad un magistrato che non era il caso che si desse troppo da fare contro un avvocato, perché l’avvocato si era dato da fare per devitalizzare l’inchiesta di Lupacchini”. Ecco che ritorna il tema della paura e Lupacchini – dopo aver lanciato una stoccata alla stampa (“tutto finisce sulla stampa in Calabria”) che crea casi inesistenti – fa un accorato appello ai calabresi onesti: “Si sveglino e non si facciano intimorire”. Sulle sue questioni personali invece chiude dicendo che le affronterà nelle sedi opportune con tutte le documentazioni del caso.