Presto arriverà la Giustizia a sanare una situazione che dire paradossale è dire poco. Almeno così speriamo. E il riferimento è ad uno dei casi giudiziari più eclatanti degli ultimi anni avvenuto in Calabria, e pur tuttavia non solo poco trattato dai media, ma addirittura mai “discusso” dalla politica locale che non ha mai inteso pronunciare mezza parola su un episodio così grave: il caso Marcello “Mazzetta” Manna sindaco della cittadina di Rende dove ha sede l’Università più grande e importante della Calabria.
L’avvocato Manna fu beccato e immortalato dalla microcamera installata nell’ufficio del presidente della Corte di Appello di Catanzaro, dalla GdF, nell’atto di corrompere, attraverso l’elargizione di una mazzetta o se preferite di una bustarella farcita, l’ex giudice, ora condannato, Marco Petrini. Le immagini non lasciano spazi a dubbi. In quella busta c’era parte del denaro destinato al giudice per taroccare una sentenza, circostanza acclarata durante il processo a carico dell’ex presidente della Corte di Assise di Catanzaro, infatti il Gup di Salerno nelle motivazioni di condanna così scrive:
Ora, provate ad immaginare il signor La Qualunque ripreso dalla GdF nell’atto di corrompere un giudice di quel livello: le manette sarebbero scattate al volo e senza indugi. Tanto è chiaro ed evidente il reato. Ma non per Manna che non ha mai spiegato la sua presenza nell’ufficio dell’ex presidente della Corte di Assise di Catanzaro, ma soprattutto non ha mai esplicitato pubblicamente il contenuto di quella bustarella. E nonostante tanta evidenza è ancora il sindaco di una delle città più importanti della Calabria. Il garantismo è un atto di civiltà giuridica che va sempre osservato, ma qui siamo di fronte alla più classica flagranza. Non c’è nessun dubbio sull’avvenuto atto di corruzione. Non diciamo le manette, ma almeno una sospensione dalle sue funzioni pubbliche, questo ce l’aspettavamo. Ma si sa che da noi c’è sempre qualcuno che è più uguale, di fronte alla Legge, degli altri.
Se da un lato aspettiamo il lento corso della Giustizia che come sempre in Calabria tarda ad arrivare, dall’altro ci chiediamo: com’è possibile che l’opposizione politica a Manna non abbia mai avvertito la necessità di chiedere, quantomeno, la sospensione dell’avvocato Manna dalle funzioni di sindaco, vista la gravità dei fatti, in attesa di saperne di più da parte della magistratura? In testa agli omertosi consiglieri comunali di Rende Mimmo Talarico, che siede sui banchi dell’opposizione e che, oltre alle frasi di rito che sanno più di elogio al sindaco piuttosto che di critica politica sull’accaduto, pronunciate dalla stesso in occasione della discussione promossa da Manna in consiglio sulla vicenda giudiziaria di cui è protagonista, non è mai andato. Le solite chiacchiere di circostanza che generalmente i politici sgamati recitano quando sono costretti ad esprimersi su vicende giudiziarie che coinvolgono altri politici: lasciamo che la giustizia faccia il suo corso, e cose così.
Più che organizzare una battaglia politica in nome della legalità e della trasparenza, Mimmo Talarico – meglio conosciuto come il camaleonte rendese, ha cambiato 8 partiti in poco più di otto anni – preferisce far finta di niente, come se quello che è rappresentato, senza possibilità di equivoci, nella foto, non fosse mai successo. Tanto, avrà pensato Talarico, basta andare in giro a blaterare di legalità e trasparenza, magari con qualche specchiata personalità politica, per far dimenticare alla gente di essere tra i principali politici disposti a reggere il moccolo ad un sindaco che risulta palesemente un corruttore. Si sa: in Calabria è meglio farsi i fatti propri, ed è quello che ha pensato Talarico.
È chiaro che non chiediamo a Talarico e a tutta l’opposizione a Manna in consiglio di sostituirsi alla magistratura, ma solo di esercitare il ruolo per il quale sono stati votati: pretendere da chi governa Rende la piena e totale trasparenza. Ma evidentemente questo a Talarico non interessa e sappiamo il perché: disturbare il “conduttore” potrebbe risvegliare la voglia di “qualcuno” di tirare fuori scheletri nell’armadio che è meglio, per Talarico, che restino dove sono.