Paola, Giorgio racconta il calvario di suo fratello. Morto per asfissia e senza assistenza

di Saverio Di Giorno

A volte, nel raccontare una storia, è un errore calcare la mano sul dolore, sulle immagini forti. Si arriva al pietismo, al piagnisteo e si perde il meccanismo, il contesto quello che poi interessa a tutti. Altre volte, come questa, no. Bisogna provare a descrivere ogni espressione, ogni spasmo perché nel volto segnato del fratello di Giorgio Delle Tasse, morto di asfissia, c’è il volto di una Calabria, anche questa senza più aria, senza più spazi. È l’ennesima storia di malasanità.

Giorgio Delle Tasse gestisce un’attività balneare a Scalea, ma soprattutto è un bagnino da quarant’anni.  Qualche giorno fa il fratello si è sentito male, nel cuore dell’estate torrida calabrese. E qui comincia la storia e ha tutti gli ingredienti di decine di storie di malasanità: i viaggi, il tempo, il silenzio.

I viaggi perché viene portato a Praia a Mare, nell’ospedale/non ospedale della cittadina. Chiusure, finte riaperture. Una struttura fiaccata e infatti viene spostato a Cetraro, ma è solo una tappa perché il viaggio finisce solo una volta arrivato a Paola. E come si viaggia tra le cittadine della provincia si viaggia tra i reparti: prima Cardiologia, poi finalmente Medicina.

“Il reparto era in condizioni fatiscenti. Ho dovuto richiedere io un po’ di pulizia e mi hanno segnalato un addetto, una OSS che ho dovuto pagare”. Tutto ciò è normale? La colpa è dell’estate e delle sue carenze o della Calabria e delle sue mille emergenze? Giorgio racconta di una situazione che sfida la dignità: poca assistenza, malati lasciati soli. La Costituzione e la dignità degli esseri umani, già provata dalla fragilità, in Calabria non è contemplata. Innanzitutto bisogna provare a salvarle le persone poi di come tenerle e all’assistenza ci si pensa se c’è modo, se le energie e le risorse bastano. Come fosse l’ospedale di Emergency a Kabul, come fossimo in guerra.

Il tempo. “Proviamo a suonare il campanello, ma non viene nessuno. Vado io a cercare qualcuno”. Istanti lasciati cadere. Passano i giorni. “Chiedo delle condizioni, ma ottengo spiegazioni vaghe e imprecise. Chiedo anche di spostare mio fratello in un luogo o in una struttura che fosse adeguata e mi viene detto che loro non erano competenti a questo”. In tutte le attese dei cittadini davanti agli uffici, nei reparti, nelle attese davanti ad una stazione in attesa di un figlio che torna, nel tempo speso nei corridoi a cercare qualcuno per qualche risposta, nei tempi persi da ambulanze ed elicotteri per arrivare … se tutti questi istanti potessero essere raccolti e separati dalla polvere dove si ammassano forse sommandoli recupereremo gli anni che la Calabria ha perso.

Il silenzio. Dopo qualche giorno arriva la chiamata. Il fratello è morto. Una crisi respiratoria. “Mi viene detto che è stato chiamato un rianimatore che ha fatto tutto il possibile, ma quello che vedo mi fa pensare altro”. Gli occhi sono spalancati e svoltati verso l’alto, le gambe divaricate ai lati del letto e le mani alla ricerca di qualcosa da afferrare. Asfissia. Senza aria. Giorgio, dicevamo, è un bagnino da quarant’anni e il pensiero che lo tormenta è che suo fratello sia morto solo e con ben poca assistenza. Forse aveva suonato ancora e ancora non era arrivato nessuno. Dubbi. Anzi l’unico dubbio che ci attanaglia di fronte alla morte. Nessuno di noi ha davvero paura della morte, ma tutti hanno paura di morire; si spera che il momento sia in pace e tranquillo. Non è un diritto, certo, è una cosa che ci si augura e una regione che non garantisce i diritti, figurarsi se può garantire il resto. Una regione che non garantisce una vita dignitosa, non lo fa nemmeno con la morte. Come se un pezzo di questa terra ti rimanesse appiccicato anche all’altro mondo, nemmeno Dante aveva immaginato tanto.

Nonostante questo Giorgio è lucido e alla domanda: si sarebbe potuto salvare? “Io questo non lo so, non posso dirlo, però poteva avere un’assistenza migliore, questo è certo”. A proposito di Emergency: da pochi giorni, si è anche spento Gino Strada, un medico, un combattente con la fissazione della pace. E la sua unica lezione non era altro quella di dare tutto l’aiuto possibile, anche in situazioni disperate. E la Calabria evidentemente lo è, ma dove sono i talebani? Chi ci ha invasi? Abbiamo le macerie, senza le bombe, i prigionieri senza i soldati. Non siamo in guerra. Non lo siamo perché siamo solo noi e solo a noi dobbiamo guardare. Tra noi dobbiamo cercare responsabili. Non ci servono eroi, ci serve che tutti facciano il giusto.

È anche cosciente che la sua storia è solo una delle tante “lo racconto sperando che qualcosa cambi, chiedo solo cure adeguate e una morte dignitosa. Non si può essere condannati prima ancora di entrare in ospedale per le nostre strutture”. C’è effettivamente un esercito: un esercito di storie del genere, di persone che  guardano chi resta. A noi non manca ancora l’aria che è mancata a loro per parlare. Ci guardano con gli occhi spalancati e le gambe divaricate. In attesa.