Si sta consumando nelle ultime ore di campagna elettorale, l’ultimo miglio per l’approdo a Palazzo Campanella una nuova edizione del “gioco dell’oca”, quello che con tutto il rispetto dei simpatici pennuti, è la riedizione del trasformismo e del “pendolo” della politica calabrese.
I voti, le promesse ed i pacchetti, inquinati o meno, si spostano con una velocità siderale e tutto ritorna in pista: il politico chiacchierato, il capo elettore inquinato e qualche vecchio archibugio disseppellito dalla collezione dei pannoloni. Cosa non si fa per un posto a sedere nell’Astronave calabrese? Ma, aggiungiamo noi: cosa non si promette o meglio si spaccia per un posto di retrovia, retribuito dai contribuenti calabresi?
Tutto quello che avviene per alcuni soggetti vetusti ed impecoriti, tirati a lucido per l’evenienza non è più un caso umano, ma patetico, anzi immorale. Siamo al triste crepuscolo di una storia che nei giorni scorsi avevamo definito come sprecata, ma che invece è stata sempre equivoca, oppure lucida come lo specchio imbrattato di lordume.
Nel circo dei pensionati insoddisfatti, rimessi a nuovo dal restyling di una presunta credibilità politica c’è Mario Tassone, quello che si lamentava del suo modesto appannaggio pensionistico, i miseri 6.800 euro mensili (!), quella “miseria” che gli italiani, calabresi inclusi, pagano per i suoi mandati parlamentari trasformisti ed oggi giurassici.
Nella sua danza delle ore, Mario Tassone nonostante sia poco coordinato sul palco ogni giorno che passa aggiunge tassello su tassello, o meglio si snoda incontro dopo incontro con nuovi accordi paccottiglia, quasi a cassare le intese del momento precedente per aprire un nuovo orizzonte: il miraggio di una poltrona, di un posto, di uno strapuntino, ma anche di uno sgabello di ultima istanza. Il “gioco dell’oca” che lo riporta sempre alla casella di partenza.
Siamo alla bulimia del politicante nel modo più becero non della politica alta e nobile, della quale in tanti, Tassone incluso, si riempiono la bocca e delirano tramite nota stampa, che sono un vuoto pneumatico, anzi per dirla tutta come si conviene, allucinogeni per tossicomani.
Le regole sono sempre uguali nel gioco dell’oca. Bisogna capire il valore autentico dei cavalli in pista, che sostituiscono i simpatici pennuti per connotazione lenti; definire, magari guardando la dentiera, se trattasi di cavalli di razza o di modesti ronzini; camuffare il potenziale di fuoco delle truppe corazzate che si portano in dote, che in verità rispondono al valore di un girello geriatrico; o come ultima scelta convergere con dotazione di presidi sanitari sull’ usato sicuro, il classico rinnovamento della politica calabrese. Così ha fatto Mario Tassone.
La scelta ritorna sempre come il primo amore, la casella di ripartenza del gioco, la zattera dei naufraghi che sventola la bandiera dell’UDC dove concorre per un seggio paradisiaco BraccoBaldo Esposito, l’usato garantito che trasforma Mario Tassone da geriatrico dinosauro in libellula zoologica, lesto a sedersi cantando “aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più…”.
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” intona il cantautore romano Antonello Venditti in un suo noto brano, come la storia che si porta dietro gli scheletri, qualche disastro economico, i dinosauri, supporter spesso alticci e la verità che non sempre è usato garantito. Così Mario Tassone e Bracco Baldo Esposito si ritrovano nel nido del primo amore, poco importa se qualcuno ha tradito il “club del pannolone” la schiera dei reduci, se l’altro non parla dei disastri di Fondazione Campanella perché l’importante è ritrovarsi nel contenitore dell’UDC che li vede entrambi come “scorie” pericolose, dalle quali come ultima ratio, c’è la difesa ad oltranza, dove la sconfitta con la perdita del seggio è ragione di vita e l’ultimo dei mali.
L’amore è sempre controverso e certi matrimoni si logorano sull’altare, quello del consenso elettorale che appare ancora più difficile se ad opporsi è la famiglia, quella dell’UDC che non accetta la soluzione dell’unione riparatrice. Diventa così difficile per Bracco Baldo confermare la sua dote nuziale, quella che traballa rispetto ad altri avvenimenti che si richiamano ai famosi “topini” della Fondazione Campanella ed al disastro economico, stimato in circa 100 milioni di euro che continua a pesare sulle tasche dei calabresi, come ha recentemente ribadito la relazione del Tavolo Adduce sul disavanzo della sanità calabrese.
C’è peraltro da dire che molte roccaforti del consenso di cui godeva da anni Bracco Baldo si sono volatilizzate a causa dei suoi lunghi “silenzi” come presidente della commissione sanità, la vicenda della clinica S.Anna di Catanzaro è l’esempio perfetto, lasciata al suo destino di morte programmata, dove nessuno doveva disturbare chi manovrava e quanti, nascosti e protetti dietro le quinte da certa politica, cercavano e cercano di comprarla in saldo. Le porte sono chiuse, anzi sbarrate per il consenso elettorale e questo Bracco Baldo lo conosce bene, per come conosce altre difficoltà, diciamo di ordine giudiziario, che toccano i suoi seguaci di Catanzaro da Vivere in vicende che si incrociano con altri avvoltoi della sanità calabrese. Basterà la benevolenza della famiglia Baffa di Cotronei e delle cliniche compiacenti per le “specializzazioni” del perimetro politico di Bracco Baldo?
Tutti pensano di no. Per come è condiviso il fatto che la scelta di Mario Tassone sia l’annuncio di un disastro imminente per BraccoBaldo, perché il consenso si conta sulla testa di chi entra nella cabina elettorale e non già sui granelli di polvere. Il fronte è diviso. Da una parte quelli che applaudono malignamente all’arrivo in salvataggio di Bracco Baldo da parte di Tassone, sono quelli dell’UDC da tempo seduti sulla sponda del fiume. Dall’altra ci sono i supporter della dinastia Aiello-Esposito che annusano la iattura ed invitano Bracco Baldo ad abbandonare la diplomazia sterile, tanto concreto è il timore che il disperato giurassico non faccia ulteriori danni e dispetti, e lo invitano a dirgli: «Mariu’ grazie, ma è megghiu ca non ti fa vidira, sinno’ perdimu voti», aggiungiamo noi, quelli che già sono pochi e pesano poco.