di Cristina Rufini
Fonte: Il Resto del Carlino
FERRARA – “L’ho guardata a lungo e ho pensato: lei si è rifatta una vita subito, con figli. E mi sono chiesto se abbia mai sentito il peso del senso di colpa in tutti questi anni”. E’ lucido Denis Dalle Vacche, determinato mentre pronuncia queste parole, nonostante l’emozione e anche il ’peso’ in un certo senso di dover essere lui ora a portare avanti la battaglia della famiglia perché suo zio, Donato Denis Bergamini abbia finalmente giustizia. Trentadue anni dopo la morte. Chi Denis ha guardato a lungo è Isabella Internò, le ex fidanzata del calciatore argentano ucciso il 18 novembre del 1989, oggi accusata di concorso in omicidio premeditato e aggravato dai futili motivi. Internò che ieri non ha mancato di essere in aula, al fianco del suo legale, l’avvocato Angelo Pugliese. Occhiali scuri, mascherina nera sul volto a coprirlo quasi totalmente, al termine della prima udienza è scappata via da una porta secondaria per non imbattersi in giornalisti, fotografi e cineoperatori. Nessuna dichiarazione. Poche, scarne parole dal suo legale: “Guardi, mi spiace – si è limitato a dichiarare l’avvocato Pugliese – non possiamo rilasciare alcun commento”. Parlerà in aula, così come la sua assistita, quando sarà il momento. Intanto a raccontare la propria verità, dalla prossima udienza, saranno i primi degli oltre 250 testimoni ammessi dalla Corte di Assise del Tribunale di Cosenza, presieduta dal giudice Paola Lucente.
“Sono molto soddisfatto – ha dichiarato l’avvocato Fabio Anselmo, che insieme alla collega Alessandra Pisa assiste la famiglia Bergamini – direi che siamo partiti con il piede giusto”. Un po’ di surriscaldamento in aula c’è stato quando Anselmo ha fatto riferimento al caso Cucchi, suscitando la contestazione della difesa della Internò. Situazione poi ricomposta dal presidente della Corte. “Capisco che il caso Cucchi – ha aggiunto il legale – possa far paura al processo Bergamini, perché le tematiche medico-legali sono simili”. Poi un pensiero a Donata, la sorella di Denis, che non è potuta essere in aula. “Le dico di avere pazienza, di riprendersi, che poi arriverà il suo momento. Adesso, in quanto teste non può partecipare alle udienze”. E’ sostituita con sicurezza dal figlio Denis, che prima di entrare in aula non ha nascosto rabbia e amarezza per un processo che poteva essere celebrato già 32 anni.
L’appello. Il nipote del calciatore morto si è rivolto ai giornalisti presenti fuori dal palazzo di giustizia chiedendo di non parlare più di suicidio. “E’ un omicidio, per favore non chiamatelo suicidio, era un caso semplicissimo fin dall’inizio – ha aggiunto – ma per fortuna il cadavere ha parlato anche dopo trent’anni”. Poi è entrato in aula e si è trovato di fronte l’imputata, colei che è accusata di avere ucciso suo zio, un anno e quattro mesi prima che lui e il gemello Andrea nascessero. “Non so che cosa aspettarmi – ha poi concluso Denis – vivremo udienza dopo udienza. Sicuramente c’è rabbia”.
Il maxiprocesso. Più di 260 testimoni ammessi per raccontare e ricostruire che cosa è accaduto quel maledetto 18 novembre lungo la Statale 106 Jonica. Moltissimi. “Beh sì – ha sottolineato Anselmo – diciamo che oltre a individuare e provare le responsabilità, c’è anche un processo nel processo, individuare i motivi che hanno permesso di arrivare con così colpevole ritardo”. Un dibattimento sicuramente non facile, articolato, che entrerà nel vivo il 25 novembre quando si inizierà a ricostruire quella sera di 32 anni fa, quando il corpo di Bergamini fu trovato prono sull’asfalto, davanti a un camion. Schiacciato soltanto in una parte della zona inguinale, con i vestiti e il resto del corpo intatto, così come l’orologio. L’imputata, allora diciannovenne ed ex fidanzata della vittima, dichiarò che lui si era tuffato sotto il camion, per uccidersi. Non fu così. Il calciatore secondo l’ultima perizia medico-legale fu prima soffocato e poi adagiato in strada per inscenare il suicidio.