Catanzaro. Processo Farmabusiness, la requisitoria della Dda: “Tutti erano a conoscenza del ruolo di Tallini”

A Catanzaro non si parla d’altro. La clamorosa assoluzione di Mimmo Tallini spariglia le carte e gli schieramenti per le prossime Comunali e paradossalmente ha mandato nel panico Giuseppe Mangialavori alias Peppe ‘ndrina, che aveva già studiato il suo piano per mettere le mani sulla città capoluogo dopo aver conquistato la Regione col suo parassita preferito: Robertino Occhiuto. Ma una riflessione su come è arrivata questa clamorosa sentenza bisogna farla e in attesa delle motivazioni del giudice Barbara Saccà, noi siamo qui a dire con estrema convinzione che l’inchiesta Farmabusiness è stata una delle migliori condotta dalla Dda di Catanzaro. Questa è la cronaca della requisitoria della Dda del 4 dicembre 2021 e ognuno leggendola può farsi un’opinione senza dover chiedere conto a Tallini e ai suoi fratelli. 

di Gaetano Mazzuca

Fonte: Gazzetta del Sud

«Possibile che tra sei soci cinque si conoscono e proprio solo uno non conosce gli altri?». È questo l’interrogativo attorno a cui ruota la requisitoria tenuta dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Domenico Guarascio nel processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta Farmabusiness. Nelle oltre due ore di intervento i magistrati della Dda hanno tentato di dimostrare il loro sillogismo giudiziario, ossia che l’allora assessore regionale Domenico Tallini sia stato a conoscenza che la società, in cui ha investito tra i 150 e 200mila euro, fosse riconducibile al clan Grande Aracri di Cutro. È possibile, si è chiesta la pubblica accusa, che solo l’esponente politico che si rapporta a questa vicenda «non ha contezza del coacervo criminale che assiste la nascita, la costituzione, la fioritura di questo affare?». Proprio dal contesto parte l’analisi dell’aggiunto Capomolla, un quadro «particolarmente pervasivo, particolarmente inquietante, particolarmente subdolo, capace di realizzare reti di relazioni».

CHI COMANDAVA

La ricostruzione di Capomolla e Guarascio inizia dall’organigramma della cosca cutrese retta in quel momento da una sorta di triumvirato “rosa”. Dopo gli arresti del boss Nicolino Grande Aracri e di Ernesto, la responsabilità della famiglia veniva assunta dalla moglie del capobastone Giuseppina Mauro, da sua figlia Elisabetta Grande Aracri e da Serafina Brugnano. La Dda lo apprende dai collaboratori di giustizia e poi trova riscontro “sia sul versante della gestione della cosiddetta cassa, che serve al sostentamento della famiglia mafiosa, sia sotto il versante del dialogo e della ricezione da parte di una serie di imprenditori in ordine a lavori svolti per conto e assicurati dalla cosca”. Proprio le donne avrebbero presenziato a veri e propri summit. Per il procuratore Capomolla “sia la moglie che la figlia (di Nicolino Grande Aracri, ndr) agivano nel corso delle conversazioni di quelle riunioni per interesse della cosca, per diciamo modulare quelle che erano le operatività della cosca, ed anche per evitare che si creassero problemi nei conflitti con altri contesti criminali di riferimento”.

NOI ABBIAMO TALLINI

Secondo l’accusa l’ex presidente del Consiglio regionale avrebbe avuto un ruolo attivo nella creazione del consorzio farmaceutico fin dall’inizio. “Il contributo che offre Tallini all’apertura del consorzio passa attraverso una ricezione delle carte che avviene ancor prima del dicembre del 2013 a Tallini, che assicura che si sarebbe studiata la questione, e avrebbe parlato con i funzionari per come meglio impostare la cosa”. Sarebbe stato sempre lui a consigliare di seguire il modello già fatto nel Lazio. Il suo nome sarebbe stato speso fin dall’inizio con i farmacisti da consorziare. Sempre l’allora assessore si sarebbe interessato per trovare un capannone dove realizzare la società e sarebbe stato ancora lui a indicare la ditta a cui affidare le pulizie. “Qualcuno che fa l’assessore al Personale – ha detto il pm in aula – si interessa e va a parlare con i funzionari, e quando devono presentare la vicenda gli dicono, “Ma quando la presentate?”, “Mimmo, noi stiamo aspettando a te, per dirci quando dobbiamo presentare questa benedetta domanda”, ma non è certo l’abuso d’ufficio che stiamo contestando, ma questa contribuzione attiva che troverà poi un elemento pure visibile, finanche poi alla fine la vestizioni di cariche sociali da parte del figlio, e successivamente di ulteriori professionisti che lui stesso in interrogatorio indica come espressione del suo lato economico”. Tutti sarebbero stati a conoscenza del ruolo di Tallini. Lo dimostrerebbe anche l’intercettazione in cui la moglie di uno degli indagati chiede: “Mamma mia, ma come avete fatto con tutta questa burocratica”, la risposta fu: “Noi abbiamo a Mimmo Tallini”. Insomma Tallini si sarebbe occupato dell’intera vicenda e quindi è logico ritenere che fosse informato sull’identità degli altri soci. Per il pm è come essere invitato a giocare a calcetto e non chiedere chi siano gli altri componenti della squadra.

LO STRANO ANTENNISTA

La posizione di Tallini è strettamente connessa a quella di Domenico Scozzafava. Sarebbe stato l’antennista catanzarese a fare da tramite tra il politico e gli esponenti della cosca cutrese, Nell’interrogatorio di garanzia subito dopo la notifica della misura cautelare ai domiciliari, l’ex consigliere regionale – sottolinea il pm -, aveva sminuito la figura di Scozzafava, “è un chiacchierone, una persona che… ma sì, io non gli davo peso, parlavamo sì, ma… ma non c’era quell’intento”. Una ricostruzione che però non ha convinto la Dda: “Se fosse vero che Scozzafava è semplicemente il quisque de populo che, come in un romanzo pirandelliano, si traveste di maschere non sue, ma è un genio, cioè sarebbe stato geniale da parte sua attivare una rete di collaborazioni che frutta un prodotto commerciale importante, aprono quasi trenta punti vendita nel giro di sei mesi, si mangiano diverse somme di denaro, truffano, e se fosse così il semplice antennista, apparirebbe davvero paradossale questa sua capacità di raggirare e di condurre il mondo di là e il mondo di qua in una azione perfetta”.

L’ULTIMA INFORMATIVA

Eppure il “disprezzato e sminuito” rapporto con Scozzafava a fini elettorali sarebbe proseguito anche negli anni successivi. “In realtà l’assistenza alle elezioni – ha spiegato il pm Guarascio – continua nel tempo e continua sempre con una terminologia abbastanza chiara, da far comprendere im rapporto altamente stretto tra i due”. Il magistrato ricorda l’ultima informativa depositata agli atti dell’inchiesta e redatta dai Ros. Nell’annotazione trasmessa gli investigatori sottolineano il “sostegno profuso” dall’antennista per i candidati indicati da Tallini per le elezioni comunali del 2017. Un rapporto che sarebbe proseguito, secondo gli inquirenti, anche per la campagna elettorale per le Politiche del 2018 quando Tallini sfiorò l’elezione in Parlamento.

Fin qui la ricostruzione della requisitoria della Dda, che aveva chiesto per Tallini una condanna molto pesante: 7 anni e 8 mesi. Poi l’avvocato di Tallini, tale Enzo Joppoli, aveva spiegato le ragioni dell’ex presidente del Consiglio regionale e in tutta sincerità davvero nessuno pensava che la sentenza – arrivata in anticipo rispetto alle previsioni che la davano per il mese di marzo – sarebbe stata di assoluzione. Ma i gradi di giudizio sono tre e la partita è ancora aperta, anche se Tallini – forte della sentenza di ieri – sta già brigando per condizionare la campagna elettorale per le Comunali a Catanzaro.