‘Ndrangheta in Calabria: “Pittelli aggiustava i processi per i clan”. I pentiti inchiodano l’avvocato

Da Catanzaro a Vibo Valentia, da Crotone a Cosenza, tutte le cosche avrebbero avuto a disposizione uno “strumento” per aggiustare i processi: l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli. È quanto sostiene il servizio centrale del Ros dei carabinieri nella sua ultima informativa, datata 7 gennaio, e depositata agli atti dell’inchiesta Scott Rinascita.

In oltre duecento pagine gli investigatori del Ros hanno raccolto le dichiarazioni, da quelle più datate a quelle più recenti, di diversi collaboratori di giustizia. Ne emerge la figura del penalista catanzarese che non solo avrebbe svolto una sorta di collegamento tra la criminalità organizzata e la cosiddetta società civile, ma avrebbe consentito al «mondo criminale di penetrare il potere giudiziario».

Giancarlo Pittelli, tuttora detenuto nel carcere di Melfi, «avrebbe funto, mediante condotte corruttive, da elemento di connessione con una parte debole della magistratura che di conseguenza avrebbe agevolato la risoluzione delle diverse vicende giudiziarie». Nella lunga informativa il Ros fa riferimento a una parallela attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile e a una nuova importante inchiesta.

Gli investigatori mettono in risalto il fatto che per tutti i pentiti ascoltati, rappresentanti dei clan di quattro province e con diverse posizioni nell’organigramma ‘ndranghetistico, Pittelli era «il legale in grado di avvicinare alcuni magistrati addivenendo alla risoluzione di problemi giudiziari». Il Ros non ha dubbi, le dichiarazioni dei collaboratori «sono convergenti» e i primi riscontri effettuati confermano la loro attendibilità.

Nell’informativa si parte dal vibonese Michele Iannello, che già nel 1995 aveva parlato di favori che i Mancuso avrebbero ottenuto da un magistrato di Catanzaro tramite Pittelli. Poi Luigi Guglielmo Umberto Farris, che racconta che dopo aver fatto il nome di Pittelli non venne più sentito e che anzi avrebbe subito “consigli” a interrompere il percorso collaborativo. Dichiarazioni risalenti nel tempo sono quelle del pentito di Belvedere Spinello Francesco Oliverio. “Pittelli veniva nominato perché aveva conoscenze tra i giudici e una grande influenza su di loro”, questa una delle dichiarazioni rilasciate da Emanuele Mancuso, rampollo del casato di ‘ndrangheta di Limbadi. E ancora il crotonese Vincenzo Marino e il cosentino Angelo Santolla. Quest’ultimo ha ribadito quanto aveva dichiarato nel 1997: “Era per noi cosa risaputa che l’avvocato Pittelli era in grado di fornirci informazioni sulle indagini in corso”.

Appena due mesi fa anche Antonio Genesio Mangone ha spiegato come Pitteli fosse visto come il personaggio in grado di disporre di un ventaglio infinito di conoscenze che egli era prodigo nel mettere a disposizione delle consorterie. “Apriva conti correnti, faceva ottenere agevolazioni nell’ambito sanitario, affidamenti dalle banche, faceva conoscere persone importanti, come direttori di banca e anche politici”.

Nell’informativa ci sono anche le dichiarazioni dell’ex boss Nicola Femia. Agli inquirenti racconta che anche lui si sarebbe rivolto a Pittelli per poter trovare una soluzione alla grave situazione processuale nella quale si trovava. Femia dice di avergli consegnato 50 mila euro “in quanto mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare la sentenza di primo grado”. Inoltre lo stesso pentito sostiene che Antonio Mancuso gli confidò che l’ex senatore di Forza Italia era stato “portato avanti” politicamente direttamente da lui, nel senso che Mancuso aveva favorito la raccolta di voti quando era candidato al Parlamento.

Anche Dante Mannolo di San Leonardo di Cutro racconta che Pittelli consegnò 100 milioni di lire al boss locale per consentire la compravendita di un villaggio turistico.

Infine torna l’ombra della massoneria. Marcello Fondacaro di Gioia Tauro ha raccontato che la famiglia Grande Aracri si sarebbe rivolta a Pittelli per la realizzazione di importanti investimenti nel settore turistico in ragione “dei suoi rapporti di fratellanza massonica con personaggi chiave degli apparati pubblici”. Fonte: Gazzetta del Sud