SECONDA PUNTATA (https://www.iacchite.blog/cosenza-morra-il-meetup-e-gli-esposti-alla-manzini/)
TERZA PUNTATA
Ci siamo. Finalmente Morra presenta l’esposto in procura sui facili e illeciti affidamenti diretti a ditte amiche e in odor di mafia concessi con disinvoltura e arroganza agli amici degli amici dall’amministrazione Occhiuto, direttamente nelle mani della Manzini e, l’aggiunto procuratore, senza discuterne con il da poco insediato procuratore capo Mario Spagnuolo, apre un “fascicolo” sugli appalti spezzatino.
Mario Spagnuolo e Marisa Manzini si conoscono da tempo, hanno entrambi lavorato presso le procure di Catanzaro (Dda) e Vibo. Ed entrambi quasi contemporaneamente vengono trasferiti a Cosenza (2015/16). Appena arrivata la Manzini, come abbiamo detto, si lega subito al senatore Morra, in quel momento fortemente impegnato a denunciare il malaffare dell’amministrazione Occhiuto, con scambi di “battute” tra il sindaco e il professore, al vetriolo. Morra accusa Occhiuto di favorire, illegalmente e attraverso l’uso improprio delle risorse pubbliche, mafiosi e massoni, e Occhiuto risponde al senatore dicendogli che se c’è qualcuno abituato a frequentare mafiosi e ‘ndranghetisti questi è suo figlio.
Siamo in pieno delirio di onnipotenza di Morra, l’appartenenza al cerchio magico di Grillo, e la tanta visibilità mediatica a cui è “sottoposto” lo esaltano e, nella foga di dimostrare al mondo intero, soprattutto a Grillo e Di Maio (anche se fa finta di stare dalla parte di Di Battista), che è lui l’uomo che porterà l’onestà anche in Calabria, azzarda una serie di mosse contro la potente massomafia cosentina, senza premurarsi di chiudere bene le porte dell’armadio dove “riposano” i suoi scheletri. Un azzardo che lo costringerà, alla fine, ad una vergognosa ritirata.
Pensava, forse, che nessuno avrebbe avuto mai il coraggio di tirare fuori tutte le vicende che hanno coinvolto il figlio, animatore della movida cosentina (ha gestito tanti locali in città e sulla costa tirrenica), in vicende di fallimenti societari e cattive frequentazioni, e usarle contro di lui per “tacitarlo”. Ed è in questo contesto che Morra, capito che ha bisogno di qualcuno all’interno della procura che gli copra le spalle, che propone un’alleanza alla Manzini.
Eppure, Morra, avrebbe dovuto saperlo che il ricatto è l’arma preferita dai corrotti e dai massomafiosi, visto che anche lui non si era fatto tanti scrupoli ad usare “l’amicizia” con la Manzini, per vendicarsi contro di noi che da tempo scrivevamo della sua “genesi politica cinghialesca” e della Manzini che passava le sue giornate a pettinare bambole. Tutto ciò che abbiamo subito, in quel periodo, perquisizioni (illegittime, come ha stabilito il Tdl), accuse di narcotraffico, chiusura del sito, porta la firma della Manzini (e anche di Tridico). L’odio contro di noi da parte di Morra è chiaro, ed è per questo che nella presentazione dell’esposto, impone ai ragazzi del Meetup di non dire che tale lavoro è frutto di una collaborazione con Iacchite’. Non vuole che il suo nome venga accostato al nostro nella battaglia contro il malaffare cittadino che lui ha inteso intestarsi. È lui l’unico eroe della storia. Di più: insieme alla Manzini si adopera sottobanco offrendo ai nostri “nemici” (che erano anche suoi nemici), il loro aiuto per formulare contro di noi l’ennesima accusa di “complotto sovversivo”, contro gli organi dello stato. Morra resta stupito quando Occhiuto gli fa capire di avere carte imbarazzanti sull’attività del figlio pronto a diffonderle ai quattro venti, ma non si pone il minimo problema morale o etico quando decide di “aizzare” la Manzini contro di noi. Cosa ovviamente gradita a tutta la procura.
Il perché Morra abbia scelto la Manzini come compagna di viaggio nella sua strampalata lotta alla corruzione, possiamo solo ipotizzarlo. Marisa Manzini è un magistrato di lungo corso che non ha fatto una formidabile carriera, e questo perché la sua vita professionale è oscurata da qualche ombra. Sono due le interrogazioni parlamentari che hanno fortemente incrinato l’immagine pubblica del magistrato. La prima a firma dell’allora senatore cuneese del Pdl, Giuseppe Menardi che accusava la Manzini di aver omesso di investigare su personaggi collusi con latitanti, trattenendo per anni fascicoli importanti sulla scrivania. Sempre secondo il senatore la Manzini avrebbe anche omesso di richiedere misure alternative per altri personaggi legati ai clan del Vibonese. E la seconda, più recente, a firma Mulè, Santelli e Occhiuto, in merito al famoso caso Cirò. Una situazione che non favorisce certo la carriera, ed è forse questo desiderio della Manzini di arrivare lontano (professionalmente parlando) che la induce a legare con Morra, vedendo in lui l’aggancio politico giusto per rifarsi una carriera, fino a quel giorno compromessa. Già, perché Morra aveva fatto credere alla Manzini di poterla aiutare a fare carriera. E vista la crescita esponenziale del Movimento, tutto lasciava presagire che con molta probabilità alle elezioni del 2018, sarebbero andati al governo. Con l’uomo giusto al potere, magari, pensava la Manzini, ministro della Giustizia o dell’Istruzione, la carriera è assicurata. Ma c’è un prezzo da pagare. Mettersi contro la paranza in procura guidata da Mario Spagnuolo garante dell’impunità, per conto della fratellanza, degli amici degli amici.
La Manzini accetta la “santa alleanza” e si concede totalmente (professionalmente parlando) a Morra, che diventa ogni giorno sempre più battagliero, supportato allora dai titoloni del Fatto Quotidiano. Morra lavora alla sua immagine pubblica e ci tiene a passare come “il nuovo che avanza”. Mentre la Manzini lo sostiene inviando avvisi di garanzia e interdizioni a dirigenti comunali e imprenditori, una iniziativa che non piace al Gattopardo, che è costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Il 2018 è quasi arrivato, e la possibilità di un governo a 5 Stelle si fa sempre più concreta. Morra al governo potrebbe essere un vero problema, meglio fare il loro gioco almeno fino a che le cose non saranno più chiare, avrà pensato il Gattopardo. È questa la forza di Morra, la stessa “forza” che ha convinto la Manzini a partecipare alla sua battaglia, ponendosi come l’unica non allineata alla “linea” del Gattopardo, ma ancora non sa che il suo misero piano è destinato a fallire, la pavidità e le cattive compagnie giocheranno un ruolo importante nel fallimento del duo che, alla fine, costretti dagli eventi, deciderà di scappare a Roma.
Morra si sente il padrone del mondo, la sua influenza nell’allora Movimento 5 Stelle, mette tutti in riga. E, sempre nel delirio di onnipotenza che l’accompagna oramai da 10 anni, va oltre e decide di interrogare Giuseppe Cirò, indagato dal pm Cozzolino, dopo la denuncia dell’ex sindaco Occhiuto che lo accusava di aver truffato l’economato comunale incassando ingiusti rimborsi per viaggio istituzionali mai avvenuti, a casa sua, davanti a testimoni, e registrando di nascosto la conversazione…
3- continua