(Andrea Muratore – true-news.it) – I giochi di spie di Matteo Renzi dal suo governo ad oggi hanno mostrato una passione particolare del politico fiorentino per il mondo dell’intelligence. Da uomo di governo, da segretario del Partito Democratico e da “senatore semplice” Renzi ha più volte fatto parlare di sé per essersi occupato, in maniera spesso controversa, delle questioni legate ai servizi segreti.
Renzi e la querelle sulla Belloni
La recente querelle sulla (non) candidatura di Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis) di Palazzo Chigi che coordina le agenzie di intelligence è solo l’ultimo episodio di una lunga trama.
Renzi ha criticato chi (Giuseppe Conte e Matteo Salvini in testa) ha pensato all’ambasciatrice ed ex Segretario Generale della Farnesina per il Colle non per le pur legittime criticità che questo passaggio avrebbe reso manifeste, prima fra tutte la totale estraneità del nome della Belloni e delle sue idee all’opinione pubblica, ma per una grana politica che ha rimesso i servizi nel centro del mirino in una maniera assai critica.
Renzi ha accusato Salvini e Conte di avere una cultura politica “da Gormiti” per la sola ipotesi di proporre per il Colle la Belloni, da lui definita però “capo dei servizi segreti”. Affermazione decisamente distante dalla realtà, dato che il Dis è un organismo di coordinamento che riferisce al Presidente del Consiglio come la Legge 124/2007 che norma i servizi segreti ben chiarifica.
007: gli scontri tra Renzi e Conte sulle nomine
Renzi ha fatto trasmettere una visione decisamente sulfurea e problematica dei servizi, non giovando alla loro buona reputazione e soprattutto riportando, nuovamente in concorso di colpa, l’intelligence sotto i riflettori dopo un anno dalla polemica dura promossa dall’ex premier contro il suo successore, e rivale dichiarato, Giuseppe Conte nella fase finale del governo giallorosso. Conte, nel suo consolidamento di potere, ha a sua volta promosso dei giochi di spie e un articolato processo di gestione delle nomine che hanno causato malumori; ai tempi, tra fine 2020 e inizio 2021 Renzi tuonò più volte contro Conte, soprattutto chiedendogli di nominare prima della fine del suo esecutivo un’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica cui dare in gestione le prerogative della gestione dell’intelligence.
Conte la scelse nella figura dell’ambasciatore Piero Benassi poco prima della caduta del suo governo, ma è bene sottolineare che solo l’allora presidente del Consiglio avrebbe potuto avvalersi di quella che è una sua esclusiva facoltà, diversamente da quanto gli attacchi di Renzi facevano intendere.
Renzi e i rapporti con la “super-spia” Mancini
In mezzo, il discusso caso dell’incontro con la “super-spia” Marco Mancini svelato da Report ha ulteriormente intorbidato le acque.
Renzi non ha violato formalmente leggi, ma ha creato un nuovo precedente per la presenza di relazioni complicate e di difficile vaglio. Ebbene, ai tempi (si era a giugno) il primo atto formale della nuova direttrice del Dis, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni nominata da Mario Draghi poche settimane prima, fu proprio quello di mandare anticipatamente in pensione Marco Mancini. Questi, di cui all’epoca del governo Conte II si parlava come possibile vicedirettore del Dis, è stato prepensionato nel quadro di un preciso assunto che ha ispirato la scelta da parte di Mario Draghi di Belloni e del prefetto Franco Gabrielli, scelto come autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, al vertice dei servizi: l’obiettivo era rimettere ordine, sottrarre i servizi dal tourbillon mediatico, restituire allo Stato la sua centralità e alla fedeltà repubblicana il suo ruolo a scapito di quella di cordata e partito che ha caratterizzato la governance dell’intelligence negli ultimi anni, trovando il suo apice nel governo Conte II.
La decisione di Belloni di giugno ha ispirato l’azione di disturbo di Renzi delle scorse settimane? Difficile trovare conferma, ma l’ipotesi può essere tra quelle vagliabili.
Intelligence, il biennio Minniti durante il governo Renzi
E dire che il Renzi uomo di governo, tra il 2014 e il 2016, si era mostrato, almeno in una prima fase, decisamente più accorto. Va sicuramente annoverata tra le scelte felici del suo esecutivo la concessione della nomina ad Autorità delegata all’esponente del PD Marco Minniti, già titolare nel precedente governo Letta e attento conoscitore dell’intelligence.
Minniti, in sinergia con l’allora direttore del Dis Giampiero Massolo, fornì all’intelligence una leadership in acque tranquille per circa un biennio, garantendo basso profilo e focalizzazione operative alle agenzie (AISI e AISE) focalizzate sul contrasto al terrorismo, sulla vigilanza sulla Libia, sul sostegno alla politica estera nel Mediterraneo e sulla lotta alla criminalità organizzata. Ad aprile 2014 la cordata Renzi-Minniti-Massolo, in particolare, nominò alla guida dell’agenzia esterna, l’Aise, Alberto Manenti, alto funzionario che ha svolto un ruolo decisivo nel presidio del sistema-Paese nell’infuocato teatro libico.
Renzi, troppo rumore attorno ai servizi
Nel 2016 le prime crepe, col tentativo di Renzi di nominare l’amico e compagno di scalata alla politica nazionale Marco Carrai, imprenditore nel campo della cybersecurity, a capo di una nuova agenzia ad hoc che causò una rivolta generalizzata: Forza Italia, Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento Cinque Stelle fecero le barricate in Parlamento, Sergio Mattarella utilizzò il suo potere di persuasione per sconsigliare la mossa, i membri dei servizi si spaccarono, l’intelligence fu riportata alla ribalta come luogo di convergenza tra poteri e interessi e non come deciso presidio dell’interesse nazionale nella ribalta mediatica. Da allora in avanti i giochi di spie di Renzi nell’intelligence hanno teso a mostrare l’idea di apparati contrastanti, divisi e contesi piuttosto che un’immagine unitaria. Il rischio, in quest’ottica, è di lederne l’immagine e di ridurne le prospettive operative. Ai servizi serve discrezione per poter operare in serenità nel rispetto delle chiare indicazioni democratiche della normativa, non subire demonizzazioni di sorta. Non capirlo significa avere una cultura politica che non raggiunge neanche quella “dei Gormiti” stigmatizzata dall’ex premier fiorentino.