Massomafia a Cosenza e Catanzaro: Gratteri getta la spugna

Diciamolo chiaro: Gratteri ha fatto tutto quello che poteva per rendere un po’ di giustizia ai tanti calabresi onesti che contavano su di lui, di più in Calabria non si può fare. Certo, avrebbe potuto fare anche qualcosina in più se non fosse stato per le sue velleità politiche, ma questo è un altro discorso. Prima di lui a tentare di porre un freno alla dilagante corruzione nella pubblica amministrazione gestita per lo più da paranze massomafiose operanti in ogni provincia calabrese, ci avevano provato altri magistrati (Cordova e De Magistris su tutti), senza però, nonostante le tante verità da loro scoperte, riuscire a sfondare il muro di gomma che protegge il malaffare.

Per quanto un onesto magistrato possa fare, portando faticosamente a compimento operazioni contro il potere occulto di questa regione, c’è un “limite” che non è concesso a nessuno superare. Neanche a Gratteri, e questo il procuratore anti ‘ndrangheta più famoso d’Italia, lo sa bene: un Pittelli (abbandonato dalla paranza al proprio destino) basta e avanza, bisogna accontentarsi di quello che passa il convento. Oltre Pittelli Gratteri non può andare. E le assoluzioni di Tallini, Occhiuto e compari vari, ma anche le sue tante inchieste fatte a pezzi da Gip, Tdl e Cassazione, sono un chiaro messaggio: accontentati di “Rinascita” (e ringrazia che te l’abbiamo fatta fare), finisci questo processo, chiudi in “bellezza”  la tua carriera in Calabria, dopo di che fai i bagagli e vattene alla Dia (il posto è già prenotato per lui), e non tornare più in Calabria che qui comandiamo noi.

Una logica che somiglia molto a quella dei grandi narcos che per tenersi buona la polizia, i carabinieri e la finanza ogni tanto gli fanno trovare un carico di droga. Ecco, Pittelli (e tutta l’operazione Rinascita) è il regalo della paranza a Gratteri, il contentino per tenerselo buono e offrirgli una via d’uscita dignitosa dalla scena calabrese: che figura avrebbe fatto Gratteri, dopo quello che “racconta” tutti i giorni in Tv, se avesse lasciato la Calabria senza aver prodotto nulla, in questo modo ogni apparenza è salva. Un compromesso che anche uno come Gratteri è stato costretto ad accettare, e non perché non vuole fare il proprio dovere – l’onestà e l’incorruttibilità di Gratteri è fuori discussione – ma perché ogni tentativo di risalire all’apice della piramide del malaffare è bloccato da un sistema di corruzione guidato da diversi pezzi grossi della magistratura appartenenti a logge segrete, intranei alla paranza massomafiosa. E Gratteri contro di loro nulla può, di fronte alla gerarchia giudiziaria pure lui deve arrendersi, anche perché non è la procura a disporre le ordinanze di custodia cautelare, e tutto il suo lavoro deve sempre superare il vaglio di altri giudici, e non può certo criticare le decisioni (sentenze) dei suoi colleghi che bocciano le sue inchieste, anche se sa bene che diverse “sentenze” nulla hanno a che fare con la Giustizia. È così che funziona il “sistema giustizia”, o meglio è così che in tanti strumentalizzano “l’autogoverno dei giudici” che più che rifarsi alla Costituzione,  si rifanno alla “Corte dei Miracoli”. Se non fosse per la sua popolarità Gratteri a quest’ora avrebbe già fatto la fine di De Magistris, lavorativamente parlando.

Del resto lo stesso Gratteri ha parlato di un livello allarmante di corruzione all’interno della magistratura, quantificando in quasi 500 i giudici coinvolti nel “sistema”. Un esercito dislocato lungo tutto lo stivale, isole comprese, sistemato nei posti chiave del sistema giudiziario (CSM compreso) con lo scopo di formare una fitta rete di protezione per gli amici degli amici dalla quale nessuna sentenza o ordinanza passa, senza il loro consenso. Bastano due o tre magistrati di peso collusi a tribunale per garantire alle paranze massomafiose (di cui fanno parte tanti magistrati) la totale impunità. Ed è questo insormontabile ostacolo che ha costretto Gratteri a gettare la spugna. I suoi tentativi di portare “una nuova primavera in Calabria” sono miseramente falliti. Nonostante i suoi sforzi, non è riuscito a smuovere di un millimetro il granitico sistema “di fratellanza” che in Calabria lega magistrati, politici, imprenditori, professionisti e ’ndranghetisti.

Va detto che Gratteri c’ha provato: appena insediato ha iniziato a segnalare alla procura di Salerno diversi magistrati corrotti (almeno una quindicina nel solo distretto giudiziario di Catanzaro), ottenendo anche l’allontanamento dalla procura dell’ex pm antimafia Luberto, e del presidente del Tdl Valea – quest’ultimo finito nei verbali dell’ex giudice Petrini, insieme al procuratore capo di Cosenza Mario Spagnuolo alias il Gattopardo, dove lo stesso racconta l’episodio della sua iniziazione alla loggia segreta alla loro presenza, presso lo studio di Pittelli – senza però nulla ottenere.

Gratteri aveva sperato in un aiuto della procura di Salerno, un aiuto che non è mai arrivato, e con ancora in gioco l’ala dura dei magistrati apparanzati, ogni iniziativa di contrasto alla massomafia, è pressochè impossibile. Un esempio: se il procuratore capo di Cosenza Mario Spagnuolo è un boss della massomafia come dice il giudice Petrini (condannato a 4 anni per corruzione giudiziaria), va da se che nessuna operazione antimafia dove c’è la presenza di potenti politici e massoni di primo ordine, nella città di Cosenza è possibile. E il perché è presto detto: intervenire sulla corruzione a Cosenza, significa, inevitabilmente, chiamare in causa i corrotti che abitano il tribunale, e questo Gratteri non lo può fare. Non tocca a lui intervenire contro i magistrati corrotti, e promuovere una operazione contro i massomafiosi, senza sostenere l’impunità, garantita dalla procura e dai giudicanti, di cui hanno goduto i tanti Occhiuto, Manna, Paolini, Potestio, e compari vari, equivale a fare una inchiesta sui servizi segreti deviati in Calabria senza mai nominare Minniti. Insomma non si può descrivere e procedere contro il “Sistema Cosenza” senza nominare e indagare chi sta ai vertici, tra questi, a detta del giudice Petrini, Mario Spagnuolo procuratore capo di Cosenza. Ecco perché Gratteri sperava in un aiuto da Salerno, ma ora sa bene che nessuno può aiutarlo, e le archiviazioni dei procedimenti aperti contro i magistrati cosentini e catanzaresi sono la prova che l’azione di Gratteri finisce qui.

Quello che gli è concesso fare è una operazione anti ‘ndrangheta a Cosenza contro le nuove leve criminali e qualche “capro espiatorio”, anche per giustificare l’esercito di pentiti che ha assunto alle sue dipendenze. Ma nulla di più. È questo il triste quadro che si presenta nella nuda realtà. Ma non basta più un misero velo per coprire queste granitiche verità che sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Anche perché noi conosciamo bene le pressioni che hanno subito tutti gli uomini e le donne di “giustizia” che hanno indagato sul “Sistema Cosenza”, potremmo raccontarvi storie di ricatti e minacce a onesti servitori dello stato di cui siamo stati “involontari protagonisti”, e se non lo abbiamo fatto fino ad ora (ovvero quello di scoprire tutte le carte) è solo per il rispetto che abbiamo del lavoro di queste oneste persone, tra le poche a conoscere gli squallidi retroscena di questa drammatica storia, e la genuinità di questo nostro racconto. E Gratteri, da uomo onesto qual è, dovrebbe dire, se così è, questa amara verità a tutti i calabresi.