“Due Mari”, il decreto di sequestro della Dda: “La ‘ndrangheta garantisce il monopolio ai fratelli Perri”

Antonio Perri, padre di Francesco, Pasqualino e Marcello, i tre imprenditori ai quali stamattina la Guardia di finanza ha sequestrato beni per oltre 800 milioni di euro, tra cui il centro commerciale “Due Mari”, il più grande della Calabria, fu ucciso in un agguato di stampo mafioso il 10 marzo del 2003.

Perri, che aveva 71 anni, venne assassinato a Lamezia Terme da due persone armate di pistole mentre si trovava in una struttura commerciale di sua proprietà. Gli assassini entrarono a viso scoperto nella struttura e, dopo avere riferito ad un dipendente di avere necessità di incontrare Perri, che in quel momento si trovava nel suo ufficio, spararono contro l’imprenditore quando se lo trovarono di fronte.

Perri morì all’istante ed i suoi assassini non sono mai stati identificati. Quando fu ucciso, Antonio Perri si accingeva ad aprire il centro commerciale “Due Mari”, per la realizzazione del quale, secondo quanto è emerso dalle indagini, ci sarebbe stato l’interesse da parte di alcune cosche di ‘ndrangheta di Lamezia Terme.

Inoltre. i fratelli Franco, Pasqualino e Marcello Perri “costituiscono gli imprenditori di riferimento delle cosche operanti nel comprensorio lametino, in quanto asservendo le aziende di cui sono titolari agli interessi e alle esigenze dell’associazione ‘ndranghetista, sono legati a quest’ultima da un illecito accordo a prestazioni corrispettive, di reciproco e mutuo vantaggio”. Questo è quanto si legge nel decreto di sequestro dei lor beni disposto dal tribunale del capoluogo su richiesta della Dda di Catanzaro.

I Perri, sempre secondo l’accusa, avrebbero “ottenuto ingenti profitti grazie all’intermediazione mafiosa e in violazione delle regole del libero mercato”. Grazie all’intervento della ‘ndrangheta, le loro aziende avrebbero ottenuto il monopolio nelle attività di interesse.

“La proposta avanzata dalla Procura della Repubblica– scrivono i giudici del Tribunale di Catanzaro – è volta a dimostrare come il complesso dei beni facenti parte il patrimonio posseduto dai proposti tragga origine e risalga al patrimonio illecitamente costituito da Antonio Perri, padre dei fratelli Perri, assassinato nel 2003 in un agguato mafioso, commissionato dai vertici della famiglia Torcasio”.

I pm non hanno dubbi: ieri il padre (che ha iniziato come dipendente di una bottega alimentare) e oggi i fratelli Perri “costituiscono gli imprenditori di riferimento delle cosche operanti nel comprensorio lametino, in quanto asservendo le aziende di cui sono titolari agli interessi e alle esigenze dell’associazione ‘ndranghetista, sono legati a quest’ultima da un illecito accordo a prestazioni corrispettive, di reciproco e mutuo vantaggio, per effetto del quale hanno ottenuto e ottengono ingenti profitti grazie all’intermediazione mafiosa e in violazione delle regole del libero mercato. La gestione delle attività commerciali operata dai fratelli Perri, essendo coadiuvata dall’intervento delle cosche di ‘ndrangheta, garantisce agli imprenditori un monopolio di fatto su importanti e strategiche industrie commerciali, inquinando l’imprenditoria non asservita a dinamiche criminali presente sul territorio”. Prima alla cosca De Sensi, poi ai Cannizzaro e da ultimo al clan Iannazzo, secondo gli inquirenti, i Perri avrebbero fornito un “consapevole e concreto contributo alla vita e alle finalità delle famiglie mafiose che imperversano il territorio lametino”.