‘Ndrangheta. Maurizio Scorza aspirava a diventare il boss di Castrovillari? La lunga scia degli omicidi tra Sibaritide e Pollino

Le indagini sul duplice omicidio di Castrovillari sono ufficialmente passate alla Dda di Catanzaro. Fin da subito è stato facile intuire che dietro la cruenta eliminazione di Maurizio Scorza e della sua compagna ci fossero logiche di ‘ndrangheta, evidentemente legate all’attività del 57enne, che fin da quando era giovane, alla fine degli anni Ottanta, ha fatto parte dei clan della ‘ndrangheta della Piana di Sibari.

Alla base del duplice omicidio forse c’è un appuntamento – quello con la morte – fissato con persone che certamente conosceva e di cui Scorza si fidava. Forse addirittura in un luogo diverso da quello dove sarebbe stata compiuta l’esecuzione prima di trasportare l’auto con i due cadaveri nel luogo in cui sono stati ritrovati a tarda sera lunedì scorso.

La direzione delle indagini era stata assunta dal procuratore di Castrovillari Alessandro D’Alessio, ma già nella nottata di lunedì il fascicolo è passato ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri. Anzi, c’è chi dice di aver visto già lunedì notte un magistrato del pool di Gratteri in contrada Gammellone di Castrovillari.

Maurizio Scorza, classe 1965, non era certo un nome e un volto sconosciuto per i carabinieri di Castrovillari. Ancora giovanissimo, negli anni Ottanta, faceva parte del gruppo di Alfredo Elia, ma è dopo la prima guerra di mafia tra il clan Forastefano e quello degli zingari, che comincia l’ascesa di Scorza, indicato molto attivo nel settore che rende di più; la droga. Ma anche in quello delle estorsioni e persino in qualche attività economica, come un’impresa di movimento terra, ma che probabilmente gli serviva solo come “copertura” per le forze dell’ordine.

Nel luglio del 2003 Scorza era stato arrestato assieme ad altre sette persone di Cassano Jonio per spaccio di droga, nell’ambito dell’inchiesta “Rescue” della Procura di Castrovillari.

Anche di Scorza si dice che cercasse un’“autonomia di movimento”. Pare rivendicasse “spazio” proprio su Castrovillari, dove aveva sempre gravitato e dove forse oggi insisteva con smanie da “boss” assieme a qualche suo sodale. E per questo i boss, quelli veri, avrebbero deciso d’estirpare il problema alla radice, facendone ritrovare il cadavere proprio nel territorio di Castrovillari, ma a un tiro di schioppo dal Cassanese.

Il 23 luglio del 2019 pure un altro aspirante boss di Castrovillari, Pietro Greco di 49 anni, castrovillarese ma da tempo domiciliato in contrada Lattughelle di Cassano, era stato eliminato in un duplice omicidio consumato stavolta nel Coriglianese, lungo la strada provinciale che attraversa contrada Apollinara e conduce proprio verso Castrovillari.

A sinistra l’imprenditore coriglianese Francesco Romano, ucciso assieme a Pietro Greco, a destra

Con lui trovò la morte l’imprenditore agricolo coriglianese Francesco Romano, di 44 anni. Possiamo poi ancora aggiungere gli omicidi di Leonardo Portoraro e del suo autista Giuseppe Gaetani, del cassanese Francesco Elia, figlio di Alfredo, di Pietro Longobucco e Domenico Russo. E l’area della Sibaritide-Pollino dall’estate del 2018 in poi è stata interessata anche da altri due casi di lupara bianca: Antonino Sanfilippo e Cosimo Rosolino Sposato. Un quadro eloquente di quanto sia ancora forte la ‘ndrangheta da queste parti.