Catanzaro. Processo Rinascita Scott, il gup: “La ’ndrangheta è unitaria”. Il ruolo di Zio Luigi Mancuso il Supremo

«L’odierna indagine ha disvelato i collaudati rapporti tra ’ndrangheta e massoneria deviata», è uno dei passaggi contenuti nelle oltre 850 pagine con cui il gup del Tribunale di Catanzaro Claudio Paris ha motivato il suo primo verdetto sulla maxi inchiesta Rinascita Scott. Ieri, infatti, durante l’udienza con rito ordinario i magistrati della Dda hanno depositato il documento. Il 6 novembre scorso, al termine del processo con rito abbreviato, il gup Paris ha emesso 70 condanne, venti assoluzioni e una prescrizione. Confermate quindi in larghissima parte le risultanze delle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dal pool di magistrati della Dda di Catanzaro guidato dal procuratore capo Nicola Gratteri.

‘NDRANGHETA UNITARIA

La sentenza riconosce l’operatività dei clan Mancuso di Limbadi, Lo Bianco-Barba-Pardea di Vibo Valentia, Fiarè-Gasparro-Giofrè di San Gregorio d’Ippona, Accorinti di Zungri, ma soprattutto riconosce l’unitarietà della ’ndrangheta vibonese. Scrive il gup: «L’assunto di una ’ndrangheta unitaria, dapprima guardato con diffidenza da molti operatori, ha ormai trovato conferma». Per il giudice si conferma «la formale riconducibilità» al Crimine di Polsi anche della ‘ndrangheta vibonese. Nelle motivazioni si spiega però che non si tratta di una «dipendenza organizzativa». Le locali mantengono la loro autonomia operativa. C’è bisogno però di una «dipendenza formale» finalizzata a garantire, da un lato l’esistenza di organi di raccordo ultra-provinciali, dall’altro ad impedire «la proliferazione indiscriminata e non ortodossa di tipologie di cariche, doti e riti, che porrebbero un grave nocumento alla sicurezza delle informazioni che è alla base dell’interazione tra le diverse componenti dell’associazione». In sostanza per il gup «riveste fondamentale importanza l’istituto della copiata, permettendo tra l’altro il certo, riconoscimento di uno status o grado in capo ad un affiliato».

IL SUPREMO

Un intero capitolo della sentenza è dedicato al boss vibonese Luigi Mancuso ancora in attesa di giudizio con rito ordinario. Per il gup “si tratta del più carismatico capo di tutta la ‘ndrangheta vibonese, probabilmente il più autorevole di tutte le restanti cosche calabresi agli occhi del Crimine di Polsi, ed alla cui leadership devono giocoforza chinarsi tutte le cosche vibonesi”. Il capobastone, chiamato anche il Supremo, per il gup avrebbe dimostrato “lungimiranza” e “una sapiente strategia”. A Luigi Mancuso si deve infatti la riappacificazione interna al clan Mancuso. “Proprio il ritorno in libertà dello “Zio” ha segnato una nuova epoca per la cosca di Limbadi. A riprova della notorietà della sua strategia “pacifista” e del suo ruolo di “Supremo” negli ambienti della criminalità organizzata e della massoneria, ritornano una serie di conversazioni intercettate in cui si fa riferimento espresso all’autorevolezza di Luigi Mancuso, apprezzato fin da giovane per l’atteggiamento non aggressivo e tendente alla mediazione”.

Luigi Mancuso provvedeva anche ad uno dei settori strategici per la cosca di Limbadi, “quello delle speculazioni immobiliari in ambito turistico-alberghiero”. Era lui a mantenere i rapporti con esponenti di altre articolazioni della ‘ndrangheta, anche della provincia di Reggio, in particolare con le cosche Piromalli e De Stefano. Aveva a che fare direttamente con i “colletti bianchi”, professionisti, imprenditori, politici, massoni. “Tra questi c’era -evidenzia la sentenza -anche Giancarlo Pittelli, elemento di riferimento per la risoluzione dei problemi dell’organizzazione”.

La politica della coesione scelta da Luigi Mancuso, a giudizio del gup, avrebbe prodotto “effetti inimmaginabili”. In particolare, sottolinea il gup, è emerso “l’assoggettamento spontaneo della popolazione che, persino di propria iniziativa, andava a pagare le estorsioni direttamente a Luigi Mancuso”. La strategia pacifica del Supremo avrebbe riguardato non solo i contrasti interni alla famiglia ma anche i dissidi con gli altri clan del territorio. “Proprio grazie alla lungimiranza di Luigi Mancuso – si legge nella sentenza – si sono potuti rinsaldare i rapporti con le storiche ‘ndrine satellite dei Barba-Lo Bianco, dei La Rosa, degli Accorinti, stringere ancor pià strette relazioni con i Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona e soprattutto superare gli storici contrasti con la famiglia Bonavota di Sant’Onofrio”. La pace voluta da Zio Luigi avrebbe consentito a tutti di accrescere gli affari illeciti, ognuno per la sua parte. Usure, estorsioni, narcotraffico e soprattutto evidenzia il gup “una graduale infiltrazione nell’economia attraverso vere e proprie imprese mafiose o comunque vicine”.

“Emblematica – scrive Paris – è da questo punto di vista la gestione centralizzata per tutti i gruppi delle cosiddette “messe a posto” cui sono tenuti gli imprenditori (soprattutto le grandi stazioni appaltanti che hanno ottenuto commesse pubbliche, costrette a scegliere per la cessione in subappalto di parte delle lavorazioni le ditte indicate dai predetti gruppi)”.

I NUOVI PENTITI

La sentenza del processo abbreviato è anche il primo banco di prova per l’attendibilità dei nuovi pentiti vibonesi Bartolomeo Arena, Michele Camillò, Gaetano Cannatà e Walter Loielo. Per quanto riguarda Arena il gup sottolinea come abbia deciso di collaborare con la giustizia quando era ancora libero: “Le sue dichiarazioni si apprezzano dunque per spontaneità ma anche per compiutezza, diffusione, assenza di contraddizioni di sorta”. Michele Camillò e Gaetano Cannatà erano coinvolti nell’indagine e sono stati attinti dalla custodia cautelare in carcere, intraprendendo il loro percorso collaborativo dopo alcuni mesi. Anche in questo caso il gup ritiene il loro racconto “dettagliato, coerente, reiterato e privo di contraddizioni”. Regge al vaglio del gup anche il racconto fornito da Walter Loielo durante il processo. Ora accusa e difesa, dopo ver letto le motivazioni, potranno presentare appello”. Fonte: Gazzetta del Sud