Eravamo appena tornati in Serie B.
Gianni Di Marzio era stato l’allenatore della storica promozione ma non aveva raggiunto un accordo con il presidente Carratelli e, di conseguenza, aveva annunciato che sarebbe andato via. La tifoseria è sconcertata ma Roberto Ranzani, il nostro direttore sportivo, prende in mano la situazione e porta a Cosenza Bruno Giorgi.
Siamo sinceri: eravamo tutti un po’ figli, calcisticamente parlando, di Gianni Di Marzio e questa storia non ci piaceva per niente. Di Marzio ci aveva insegnato i trucchi del mestiere, ci aveva dispensato la sua pragmatica saggezza, ci aveva spiegato come si faceva ad uscire dal pantano della serie C e ci sembrava impossibile accettare un altro al posto suo.
Siamo ancora più sinceri: dopo le prime partite, anche se la squadra giocava bene, raccoglieva pochi punti e in città la fronda degli irriducibili “dimarziani” si allargava sempre di più. Dopo Cosenza-Cremonese c’era stata una contestazione pesante contro la società e qualche buontempone aveva persino scritto sui muri del San Vito “Giorgi il gatto, Ranzani la volpe”. Insomma, c’era maretta.
Dal derby con la Reggina in poi, però, come tutti sapete, la ruota girò e il Cosenza di Giorgi e Ranzani, che era stato anche la creatura di Di Marzio, spiccò il volo entusiasmando ancora tutta una città e tutta una provincia.
Giorgi e Ranzani ci avevano “disarmato”, oltre che con i risultati, con il loro savoir faire, con il loro essere signori e gentiluomini e ci hanno fatto accarezzare a lungo un sogno impossibile. E i cosentini li hanno amati con tutto l’entusiasmo possibile, anche dopo averli criticati. Perché erano uomini di grande spessore.
Oggi che tutti e due, Bruno Giorgi e Roberto Ranzani, non ci sono più, ci è sembrato inevitabile ricordare quel periodo. Perché fa parte della storia della nostra città e del nostro essere cosentini.