Il Pd ha scelto: punta a Forza Italia e mette una “lapide” sui 5 Stelle

(DI TOMMASO RODANO – Il Fatto Quotidiano) – Alla Direzione del Pd, Enrico Letta sceglie un aggettivo funereo per chiudere definitivamente la porta al Movimento 5 Stelle. “A chi ha tentazioni” di tornare con i grillini, “a chi dice ‘ripensiamoci’, l’invito è a guardare a cosa pensano gli elettori, il loro giudizio è lapidario”. Una lapide, dunque, sul patto di centrosinistra che ha retto buona parte della legislatura. Ma poiché la legge elettorale “costringe a fare delle alleanze” – esclusi il M5S e la destra radicale – Letta apre le porte a tutti gli altri partiti. Tanto a sinistra (“Articolo Uno e Demos”) quanto nel centrodestra. Nella sua relazione, il segretario del Pd si dedica in particolare a Forza Italia. Non alla parte del gruppo dirigente berlusconiano che ha confermato la fedeltà a Matteo Salvini, ma agli eletti irrequieti e soprattutto agli elettori: “Forza Italia è un partito con cui abbiamo collaborato al governo, abbiamo lavorato bene”, dice. “Poi ha deciso di sciogliersi dentro la Lega, ma così si è aperta una voragine nel centrodestra. O noi convinciamo una parte degli elettori che hanno votato lì o sarà difficile giocarla solo sugli astensionisti”.

È un Letta diverso dal politico accomodante e sornione a cui ci aveva abituato: di recente ha giurato con una formula un po’ infantile di “avere gli occhi della tigre” per questa campagna elettorale. In Direzione garantisce di essere pronto ad assumersi la responsabilità di guidare il partito e la coalizione. Se necessario, pure a fare il capo del governo: “Derubrichiamo questa assurda discussione sulla premiership ma, se serve, assumo il ruolo di front runner della nostra campagna elettorale, questa responsabilità, con la massima determinazione”. Anticipa il prevedibilissimo leitmotiv delle prossime settimane, non parlando esplicitamente di pericolo fascista, ma scegliendo già di personalizzare la sfida: “L’attuale legge elettorale darà un risultato netto. O noi o Meloni, il pareggio non è contemplato”.

Il segretario del Pd è “lapidario” e assertivo nei toni, quanto moderato nel punto di approdo. La sua relazione spinge definitivamente il partito nel mucchione centrista e viene approvata all’unanimità. La sinistra dem non sembra più coltivare aspirazioni alternative, dopo lo strappo dei Cinque Stelle su Draghi. Al massimo c’è chi si permette qualche timida osservazione sulle alleanze. Come il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: “La direzione e soprattutto il segretario vigileranno perché ci sia una coerenza tra il messaggio politico e l’assetto delle alleanze”. Tradotto in parole più comprensibili: va bene tutto, magari anche Carlo Calenda, purché non significhi sacrificare un programma che contenga qualche forma di sensibilità alle questioni sociali. Sullo stesso argomento, Goffredo Bettini è molto più chiaro ed esplicito (d’altra parte, con Calenda, si scambia cortesie da parecchio tempo): “Bisogna verificare bene il rapporto con il patto repubblicano di Calenda. Ci sono differenze molto grandi di impostazione programmatica”. Ma soprattutto, per Bettini, c’è un’incompatibilità personale: “Il problema emerge se si parla di spirito costruttivo e di veti, Calenda si è posto come giudice di ogni singola forza o personalità politica italiana. Verifichiamo bene che la sua presenza ci porti più voti di quanti ce ne faccia perdere”. Anche perché, sottolinea Bettini, “la presenza di Calenda impedisce l’alleanza con la sinistra di Fratoianni”.

Malgrado la buona volontà del segretario del Pd, la preparazione del mucchione centrista sembra ancora una maionese che può impazzire da un momento. Lo stesso Calenda ieri non ha mancato di tenere fede alla sua fama, con parole non proprio distensive: “Noi dobbiamo ancora decidere se fare un accordo tecnico sui collegi oppure andare da soli. Stimo Letta, ma tra di noi ci sono differenze”. Poi c’è l’altro grande ego di Matteo Renzi, che gioca per accreditare Italia Viva al tavolo delle trattative e intanto scommette – bluffando – sull’ipotesi di non fare alcuna alleanza: “Al momento andiamo da soli, non abbiamo paura”. Infine c’è Luigi Di Maio: Letta l’ha incontrato nel pomeriggio insieme a Beppe Sala (e almeno il sindaco di Milano si è chiamato fuori dalla partita, darà solo “una mano”).