(DI ANTONIO PADELLARO – Il Fatto Quotidiano) – Gentile Enrico Letta, avendo lei deciso di perdere convintamente, e perché no, serenamente, le prossime elezioni politiche, spianando un’autostrada alla destra col botto, ci facciamo portatori di un interrogativo che si va diffondendo nell’elettorato, sempre più sgomento, del centrosinistra: perché?
Convinti che non avremo mai il piacere di una sua risposta (lei, come è noto, predilige le interviste lenzuolate, oppure quelle in onda, purché nella comfort zone tranquillity) ci limiteremo a indicarle una serie di possibili domande riconducibili alle ragioni di questo notevole suicidio politico assistito targato Pd.
1. Che tipo di reazione ha avuto quando ha visto squadernata sui giornali la mappa dell’Istituto Cattaneo, quella dove il centrodestra fa cappotto nell’intera penisola mentre il centrosinistra si accontenta di un gilet a mezze maniche nelle immutabili roccaforti tosco-romagnole? Rassegnazione? Soddisfazione? Oppure quell’indicibile sentimento del marito che si taglia quei cosi lì per fare un dispetto ai 5Stelle?
2. Cosa risponde a Pier Luigi Bersani, uno che indubbiamente ne ha viste più di lei, quando sostiene che un’alleanza con i 5Stelle appartiene alla “razionalità” della politica (e, di conseguenza, la rottura alla stupidità)? La preghiamo solo di non fare torto alla sua e alla nostra intelligenza tirando fuori la boutade secondo la quale è stato il M5S a violare il patto con i Democratici non votando la fiducia al governo Draghi. Quando era scritto sui muri che il demiurgo venuto dalla Bce ne avesse le scatole piene, preso atto che la celebrata unità nazionale era il classico morto che cammina. A Giuseppe Conte si può semmai rimproverare l’ingenuità di avere acceso la miccia di una bomba che altri hanno fatto esplodere facendo ricadere le macerie sulla sua testa. Ma lei pensa davvero che il popolo Dem le perdonerà di avere rinunciato a competere (e a vincere) insieme ai grillini in un numero imprecisato di collegi uninominali? Per affidarsi all’ego di Calenda, che ancora non fa quorum?
3. Alla luce di ciò si ha il fondato sospetto che ella abbia deciso di cavalcare allegramente la sconfitta pur di vedere nella polvere il movimento concorrente, nella speranza di raccattarne i delusi. Dia retta segretario, “irreversibile” non è la rottura con Conte (visto che in politica tutto si può digerire, perfino la faccia di Renzi). Irreversibile è soprattutto la vocazione della sinistra a fare terra bruciata di tutto ciò che disturba il proprio strutturato sistema di potere.
4. Secondo qualche mente volpina il Pd avrebbe deciso di cappottarsi in garage fiducioso nella incapacità del futuro governo Meloni di governare le piaghe d’Egitto lasciate in eredità dai Migliori. Non succederà, ma nel caso Giorgia Vox chiedesse una mano quanto ci metterà il Nazareno, pur se dai banchi dell’opposizione, “a farsi carico responsabilmente dei problemi del Paese nello spirito della solidarietà repubblicana” (anticipiamo il comunicato). Non sappiamo, infine, se dopo l’arrivo dei barbari da voi così benevolmente agevolati, con quale faccia aderirete alle immancabili marce antifasciste e relativi piagnistei. Poiché, se la Meloni è il nuovo Duce a lei spetta, e di diritto, il ruolo di Facta…
CHI ERA FACTA
Luigi Facta è stato un politico e avvocato italiano. Ha svolto per ultimo l’incarico di presidente del Consiglio prima del governo Mussolini.
Il Governo Facta II è stato in carica dal 1º agosto al 31 ottobre 1922 per un totale di 91 giorni, ovvero 2 mesi e 30 giorni. Si dimise il 28 ottobre, in seguito al rifiuto del re Vittorio Emanuele III di firmare il decreto sullo stato d’assedio con cui si intendeva contrastare la Marcia su Roma dei gruppi fascisti. Si tratta dell’ultimo governo italiano prima dell’ascesa del Partito Nazionale Fascista e di Benito Mussolini. Facta non volle mai rivelare a nessuno che cosa fosse successo la notte in cui il re si rifiutò di firmare lo stato d’assedio: l’indomani, lui e il governo rassegnarono le dimissioni e Vittorio Emanuele III fece telegrafare a Mussolini che si trovava a Milano di recarsi immediatamente a Roma per formare il nuovo governo. Facta non si oppose al regime e nel 1924 fu nominato senatore del Regno.









