Sistema Rende, no alle trivellazioni nel Parco Acquatico (di Matteo Olivieri)

Da dove verrà prelevata l’acqua del Parco Acquatico di Rende?

Non dal Fiume Crati né dal confinante Torrente Campagnano, bensì dall’acquedotto pubblico e da una rete di pozzi che avranno una profondità compresa tra i 15 e i 180 metri, e il cui scopo è quello di intercettare le falde sotterranee. Quindi, acque potabili a tutti gli effetti, che andranno ad alimentare una piscina ed un lago per scopi ricreativi e attività sportive.

Come dire, a Rende si remerà sullo champagne coi soldi dei contribuenti!

Parliamo di numeri importanti. Infatti, dalla relazione generale si legge che il progetto “Parco Acquatico-Sportivo Santa Chiara e opere per la mobilità sostenibile” interesserà una superficie di circa 7 ettari e sarà dotato di una piscina con «una superficie di circa 3.000 m2 ed un’altezza media di 1,3 m e quindi un volume d’acqua di 3.900 m3» ed un lago con «una superficie di circa 8.500 m2 ed una profondità media di 2.5 m e quindi un volume di 21.150 m3».

Si è deciso cioè di utilizzare falde freatiche presenti all’interno di una pianura di origine alluvionale per rifornire d’acqua l’intera opera. Una scelta senza dubbio azzardata, per almeno tre motivi: in primo luogo perché si tratta di sorgenti di acqua dolce, che hanno subito un processo naturale di filtrazione ed hanno quindi un basso contenuto di inquinanti esterni; in secondo luogo, le falde freatiche hanno un tempo estremamente lungo di formazione e, quindi, tendono ad esaurirsi se utilizzate in maniera intensiva; in terzo luogo, l’acqua dolce di falda freatica – proprio perché è una risorsa preziosa e costosa – viene normalmente convogliata in acquedotti e impiegata per fabbisogni alimentari e sanitari, non per svaghi e tempo libero. Infatti l’acqua – da pulita che esce alla sorgente – dovrà essere «continuamente riciclata, depurata e disinfettata».

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Non desta quindi meraviglia che l’intero modello gestionale dell’opera richieda costi elevati, che lasciano emergere numerose perplessità riguardo alla sostenibilità economica ed ambientale dell’intera opera, non solo per gli elevati costi di energia elettrica e di ricambio dell’acqua, che – sempre nella relazione generale – si legge deve essere ricambiata totalmente ogni due giorni per «serbatoio con capacità fino a 30 metri cubi» e «non meno di 15 metri cubi giornalieri per serbatoi con capacità maggiore». Ancora, nella relazione generale si legge che «i periodi d’irrigazione verranno programmati principalmente nelle ore notturne per limitare l’effetto evaporazione <mediante> approvvigionamento di acqua di falda». Un bel guadagno per le tasche dei contribuenti, non c’è che dire. Chi poi possa veramente gradire la balneazione in una piscina dotata di fondo impermeabilizzato con teloni in PVC e disinfettata mediante cloro, rimane un mistero!

Oltre a ciò, occorre considerare la natura del sito, che è costituito prevalentemente da sabbie miste a ghiaia e da limi argillosi grigio-azzurri, il cui colore suggerisce che ci troviamo in presenza di argille a bassa plasticità ed elevato grado di consistenza del terreno nella sua condizione naturale. Ovvero, nella sua condizione normale può subire deformazioni senza che si creino cambi di volume. Ma cosa accadrà quando la morfologia del terreno cambierà tanto più verrà prelevata l’acqua? Trattandosi di sabbie di differente granulometria, è irrealistico ipotizzare la presenza di fenomeni di subsidenza, cioè cedimenti del terreno superficiale che tenderà a riempire i vuoti di terreno lasciati in profondità?

Gli imponenti lavori di movimento terra, derivanti dalle operazioni di scavo dei bacini e delle costruzioni, hanno purtroppo comportato una nuova morfologia dell’area e cancellato per sempre – nel nome della modernità e del progresso – parte dei resti ancora visibili di fossi e canali di scolo proprio nella zona di S. Chiara e S. Rosa di Rende, risalenti al modello di divisione agraria di epoca romana conosciuta col nome di “strigas et scamna”.

Un esempio che gli studiosi considerano tra i più importanti dell’agrimensura romana, poiché è orientata in meridiem, cioè seguendo il corso del sole, proprio per adeguarsi alle specificità della valle del Crati. Un’opera di ingegneria ambientale arrivata sostanzialmente indenne fino ad oggi, ma purtroppo non è sopravvissuta alle ruspe né all’ignoranza di chi ha deciso il progetto.

Basti pensare che nella relazione generale non risulta nulla di tutto ciò, anzi si sostiene – in maniera del tutto autoreferenziale che «gli interventi previsti per la realizzazione del parco non provocheranno effetti negativi sul territorio circostante che, va comunque evidenziato, nell’area immediatamente adiacente al lotto non presenta particolari caratteristiche di pregio. Infatti, per quanto riguarda gli aspetti naturalistici, considerata la caratterizzazione in chiave naturale dell’area, più che d’impatti negativi potremmo parlare di benefici dati dal rimboschimento dell’area e dall’inserimento del lago».

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Questa breve autodichiarazione è stata sufficiente ad escludere più approfondite indagini di natura storica, archeologica o paesaggistica sull’area, dove – si sa per certo – passava il tracciato della antica via consolare Annia Popilia. Neppure sono valsi i vincoli paesaggistici ex art. 142 comma 1 del D.lgs 42/2004 riguardanti le aree di rispetto di 150 metri dalle sponde dei fiumi, torrenti e corsi d’acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche. Come è facile constatare, tale opera ricade per buona parte in area sottoposta a vincolo paesaggistico, ed è in prossimità di un punto a rischio di esondazione del Torrente Campagnano indicato come “punto di attenzione” nel Pai-Calabria a motivo della altimetria decrescente proprio in direzione del parco acquatico. Ma se i vincoli possono essere aggirati così facilmente, è legittimo chiedersi a cosa servano?

Il parco acquatico verrà inaugurato a breve. Per accelerare i tempi, è giunto in soccorso perfino un finanziamento regionale extra di 3,5 milioni di Euro. Il giorno dell’inaugurazione sarà di certo un giorno di festa per molti, ma per chi ha a cuore l’identità dei luoghi ereditati dalla Storia, sarà un giorno triste. Chi taglierà il nastro dovrà pur trovare le parole adatte per spiegare ai cittadini di Rende il motivo di tanto dispendio di risorse pubbliche e di tanto disprezzo dei luoghi, che di fatto ha portato a ignorare i vincoli paesaggistici e ad intaccare il patrimonio di acque pubbliche per fini ludici e ricreativi, quando una buona parte della città è da tempo senza fornitura regolare d’acqua.

Matteo Olivieri