Scatta l’ora delle verifiche tecniche nell’inchiesta “Ndrangheta di Mesoraca” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Il sostituto procuratore Paolo Sirleo, titolare del fascicolo che vede indagate 111 persone, ha deciso di affidarsi ad un consulente per «analizzare – si legge nella documentazione redatta dal pm – il materiale in ingresso e in uscita dalla centrale a biomasse Serravalle Energy di Cutro», in quanto sono necessarie «specifiche competenze». E la scelta è ricaduta sul perito Giampaolo Sommaruga che dovrà eseguire «accertamenti irripetibili» nell’impianto che dal 2015 è gestito dalla famiglia Serravalle.
Alla base delle verifiche, c’è quanto contenuto nel capitolo più corposo dell’operazione dei carabinieri che, lo scorso 3 ottobre, ha smantellato il clan di Mesoraca capeggiato dal boss Mario Donato Ferrazzo, detto “Topolino”. Tra le carte d’indagine, figurano le modalità, ritenute fraudolente, con le quali la centrale a biomasse Serravalle Energy di Cutro avrebbe lavorato la legna per produrre energia. Per gli inquirenti il cippato, ricavato dal taglio indiscriminato dei boschi della Sila, veniva bruciato insieme a rifiuti di ogni genere: dalla plastica al cemento fino al catrame. E il tutto, sarebbe avvenuto con la presunta compiacenza di agronomi, operatori e funzionari dell’impresa, ai quali spettava il compito di certificare la qualità del prodotto conferito e della regolarità della documentazione di accompagnamento.
Infatti, le ipotizzate condotte irregolari avrebbero garantito un ingiusto profitto non solo alle ditte boschive collegate alle organizzazioni criminali, ma anche alla stessa societò titolare della centrale di Cutro. Che a sua volta avrebbe intascato indebitamente incentivi maggiorati basati sui conferimenti del prodotto legnoso effettuati in violazione della normativa.
In questo modo, secondo la ricostruzione della Dda, sarebbero stati smaltiti oltre 21 milioni di quintali di materiale, di cui la metà avrebbe avuto provenienze illecite. C’è di più. Perché sulla nascita della centrale grava anche l’ombra del boss Nicolino Grande Aracri. Tra i primi a parlare della genesi del business “verde” è stato il pentito Salvatore Muto, le cui dichiarazioni sono confluite nel procedimento contro la ‘ndrina di Mesoraca. Il “mammasantissima”, ha raccontato il pentito, si sarebbe inserito nell’affare biomasse sin dalla creazione dello stabilimento a Cutro adoperandosi con gli amministratori pubblici di allora per le autorizzazioni.
Successivamente, il suo intervento facilitatore sarebbe stato retribuito dai vertici dell’impresa a biomasse mediante sovrafatturazioni alle aziende di comodo imposte dalla cosca cutrese, con quest’ultima che avrebbe anche pilotato le assunzioni di personale nella centrale.
Era il 2012, quando dentro la tavernetta del boss di Cutro si sarebbe deciso di indicare Mario Donato Ferrazzo come referente per il trasporto di cippato nello stabilimento a biomasse. In una conversazione intercettata 10 anni fa, Nicolino Grande Aracri affermò che un business così redditizio non poteva essere gestito da una singola organizzazione mafiosa dal momento che avrebbe consentito ingenti guadagni per più realtà ‘ndranghetiste, compreso il clan di Mesoraca. “Dobbiamo guadagnare tutti quanti…” disse il boss di Cutro. Fonte: Gazzetta del Sud