Era la primavera inoltrata del 2019 quando il Palazzo della Prefettura di Reggio Calabria ospitava il Consiglio dei Ministri guidato da Giuseppe Conte e dal governo cosiddetto gialloverde (o Conte 1) in trasferta: tra qualche selfie, una visita ai Bronzi, una sciacallata a San Ferdinando, ecco che arrivava la firma sul Decreto Calabria, misura emergenziale per affrontare l’atavico bubbone della sanità calabrese. Per essere più precisi: “Decreto legge: Misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della Regione Calabria” meglio noto appunto come “Decreto Calabria”.
Un decreto già annunciato dall’allora ministro del M5s Grillo (non Beppe, la donna…) dopo che scandali e inchieste avevano ripuntato i fari nazionali sulla nostra regione e sui suoi ospedali, su un “sistema” indubbiamente infestato da infiltrazioni massomafiose, dove la politica tutta si è interessata più di clientele, nomine e assunzioni che del benessere dei calabresi, dove burocrati e manager sono subordinati agli interessi di chi li ha nominati. Un sistema che produce un disavanzo di circa 160 milioni di euro l’anno, e questo nonostante più di 10 anni di commissariamento, perché non dobbiamo dimenticare che per il rientro del debito siamo già commissariati dal 2009.
E i commissariamenti, istituto antidemocratico che purtroppo in Calabria conosciamo fin troppo bene, non hanno mai prodotto alcun passaggio positivo nella nostra regione: spesso e volentieri sono stati “telecomandati” da soggetti come l’ambiguo Andrea Urbani, che dal suo ruolo di subcommissario faceva fino all’altro giorno gli interessi dei pezzi da 90 della malapolitica calabrese, famiglia Cinghiali-Gentile in primis, tanto per fare un esempio... E naturalmente per far ulteriormente aggirare le leggi a chi avrebbe dovuto per primo farle rispettare.

Il decreto, nella sostanza, poneva la “novità” d’imporre al commissario ad acta precisi adempimenti a scadenza fissa: ogni sei mesi! Ma cosa dovrebbe controllare il commissario in merito al lavoro dei direttori generali delle aziende sanitarie calabresi? L’andamento del piano di rientro, la quadratura dei conti, non certo la garanzia dei servizi per i calabresi, non certo i Lea, il cui mancato raggiungimento diventava alibi per giustificare quella misura, senza che poi però venisse proposta alcuna soluzione al riguardo.
Della carenza di personale e strutture poco o nulla si diceva e si dice, che poi se non si garantiscono i Lea non è, o almeno non è solo, per malagestione. Sono i tagli lineari, la chiusura dei presidi periferici, la totale incuranza delle esigenze dei territori, i principali fattori che impediscono la garanzia di un minimo standard di qualità ed efficienza dell’offerta sanitaria pubblica.
Il nostro sistema di tutela della salute è un importante patrimonio di esperienze, organizzazione, servizi e assistenza; dovrebbe essere costantemente preservato e valorizzato, dovrebbe essere accudito e, ove necessario, rinnovato certamente con l’aiuto di mani esperte, ma che conoscano e soprattutto amino il territorio, e non solo siano attenti ai freddi bilanci.
Nei fatti, né prima e né tantomeno adesso si sottraeva e si sottrae la sanità alla politica calabrese: continuiamo solo a spostare il problema, con l’aggravante che lo stiamo facendo allontanando il momento decisionale dai territori, stiamo sancendo come calabresi la nostra subalternità. E la temporaneità del Decreto non è un alibi: se lo facciamo per 18 mesi saremo pronti a farlo per sempre… Tant’è vero che siamo già al decreto Calabria 3.0.
Ma prima di arrivare al 3.0 ovvero la proroga di 6 mesi data pochi mesi fa dal Consiglio dei Ministri, siamo passati anche dal decreto Calabria 2.0, che aveva visto la luce poco più di due anni fa, il 4 novembre del 2020, con il Paese in piena emergenza Covid e con la piena consapevolezza, già allora, che il decreto fosse stato uno dei tanti soliti e clamorosi fallimenti. Ma nonostante questo, la martoriata sanità del territorio vedeva prolungato ed esteso il commissariamento governativo.
D’altra parte, con le forze politiche che si ritrova la Calabria non ci poteva essere decisione differente, visto che i calabresi hanno continuato a votare i mafiosi. Ma bisogna pure sottolineare, possibilmente fino alla noia (altrimenti c’è ancora qualcuno che ci viene a dire che Conte è… buono!) che il primo Decreto Calabria, partorito all’epoca in cui Conte e il M5s stavano a braccetto con la Lega è stato un fallimento totale. Eppure tutti ricordano che Conte insieme ai ministri leghisti e grillini arrivarono con grande risalto mediatico in Calabria, a Reggio, per “celebrare” quel Consiglio dei Ministri.
Tutti avevamo sperato che arrivasse la svolta e invece è arrivato un commissario (Cotticelli) che non ha concluso un fico secco e sono stati nominati direttori generali e commissari (come quelli di Cosenza, per esempio) che sono stati perfettamente funzionali alla politica corrotta e mafiosa. Lega e M5s, in sostanza, hanno fatto fiasco e la circostanza è stata subito sotto gli di occhi di tutti e nessuno, ma proprio nessuno, aveva la benché minima fiducia nel nuovo corso rappresentato dall’alleanza tra M5s e Pd. Eh sì, perché il Pd se possibile è stato anche “peggio” della Lega, basti pensare che siamo arrivati a sorbirci Speranza (!) ministro e non c’è bisogno di aggiungere altro.
Ma torniamo al decreto Calabria 2.0.
Anzitutto “i nuovi” poteri del commissario comprendevano anche un ruolo importante nel contrasto all’emergenza sanitaria che era in atto: ove delegato dal commissario straordinario nazionale Domenico Arcuri (altro soggetto incredibile…), il commissario della sanità calabrese avrebbe dovuto occuparsi del Programma operativo di potenziamento delle Terapie intensive e semi-intensive.
Il Decreto Calabria 2.0 recitava poi che “le disposizioni si applicano sino alla attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Calabria e comunque non oltre 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, prorogabili di ulteriori 12 mesi con delibera del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della salute”. Tradotto in soldoni, da novembre 2020 siamo arrivati a novembre 2022 e alla prima proroga di 6 mesi (con opzione per i prossimi sei…).
In quel Decreto Calabria 2.0 si stabiliva anche che fino alla nuova nomina, il ruolo continuava ad essere ricoperto dal generale Saverio Cotticelli.
Non sarebbero passati neanche dieci giorni che Cotticelli sarebbe balzato alla ribalta nazionale in piena emergenza Covid perché davanti alle telecamere della Rai confessava candidamente di non aver fatto il piano anti pandemia. Diventò un caso nazionale (http://www.iacchite.blog/calabria-zona-rossa-cotticelli-naufraga-su-rai3-il-piano-covid-dovevo-farlo-io-ora-mi-cacceranno/). Il Commissario ad acta era anche affiancato da due subcommissari, uno dei quali era la famosa “Maria” Crocco, che, sempre davanti alle telecamere della Rai sarebbe diventata protagonista di una leggendaria “sit-com” con il generale. Cotticelli fu cacciato ma per arrivare al successore andò in scena un vergognoso balletto di nomi. Poi alla fine Conte scelse il superpoliziotto Longo e si rivelò un’altra nomina perfettamente inutile.
Oliverio aveva cercato in tutti i modi di fare il commissario al posto dei pupazzi nominati dal governo in combutta con i Cinghiali “mascherati” ma non c’era mai riuscito e così, dopo il mitico Cotticelli – altro “regalo” del governo gialloverde o Conte 1, ci eravamo dovuti sorbire pure il superpoliziotto Longo, un’altra “genialata” ma del governo giallorosso o Conte 2… Perché avevamo votato Forza Mafia all’alba del 2020 (subito prima del Covid) e la frittata era stata completata. Con tanto di “ripetuta” dopo la morte di Jole Santelli con l’incoronazione da parte della massiomafia di un altro faccendiere funzionale al potere deviato ovvero l’attuale presidente parassita Roberto Occhiuto. Che, a differenza di Oliverio, è riuscito a farsi nominare commissario. Della serie: al peggio non c’è mai fine.
Siamo di fronte all’ennesima presa in giro per questa regione, siamo concretamente davanti al rischio di vedere ulteriori chiusure di presidi sanitari nei nostri territori, ma soprattutto stiamo permettendo noi stessi, votando i mafiosi ancora una volta, che ci sia tolta la possibilità di contare, di decidere sui nostri territori, e con un governo che oggi più che mai spinge per l’autonomia differenziata a favore delle regioni ricche ci sarebbe bisogno, e urgentemente, di un’impennata di orgoglio. Che puntualmente non arriverà mai. E poi siamo capaci anche di inalberarci quando qualcuno ci ricorda che la Calabria è una terra perduta.