Le finte lacrime di chi saluta Minà (di Antonio Padellaro)

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Sono stato allontanato dalla Rai anche quando governava la sinistra. Non ti danno risposte e, se te le danno, ti dicono: non è nella nostra linea editoriale. O adesso non è il momento”.
Gianni Minà, intervista a Vanity Fair nel 2007

Un giorno del 2010, Gianni Minà venne a trovarmi al “Fatto” che al tempo dirigevo. Non avevo mai avuto modo d’incontrarlo personalmente ma lo conoscevo come lo conoscevano tutti: un grande giornalista di fama mondiale. Tornò a trovarmi altre volte e ogni volta mi portava l’ultimo numero della rivista “Latinoamerica” che dirigeva da un decennio e che pubblicava articoli e reportage di scrittori, poeti e premi Nobel. “Di una parte di mondo che sta cambiando pelle e che per questo in Europa è spesso raccontata con pregiudizio”. Questa frase l’ho tratta da un articolo a sua firma che pubblicammo sul “Fatto”, dal titolo: “La mia Cuba tra verità, complotti e falsi dissidenti”. Gianni criticava la posizione assunta da alcune firme del “Corriere della Sera”, piuttosto sorprese che la morte in carcere del dissidente Orlando Zapata in seguito a uno sciopero della fame non avesse suscitato un coinvolgimento dell’opinione pubblica italiana e la richiesta di sanzioni nei confronti dell’Avana. Minà si domandava come mai il più grande giornale italiano ignorasse, invece, “le mattanze di giornalisti in Messico e il ritrovamento in Colombia della più grande fossa comune con duemila vittime mentre non da requie a Cuba”. Ne avevamo discusso francamente spiegandogli che le mie idee sul regime cubano erano più vicine a quelle del “Corriere” piuttosto che alle sue. Una ragione in più, avevo aggiunto, per pubblicare i suoi articoli sul nostro giornale che dava ospitalità a tutte le opinioni purché ben scritte e argomentate. E se poi c’era la firma di Gianni Minà, tanto meglio.

Dopo la sua scomparsa dall’archivio del “Fatto” sono emersi altri commenti sul conflitto Cuba-Usa, un ricordo di Maradona e un pezzone dedicato al “Ritorno di Lucky Luciano”, ovvero quel Luciano Moggi che la dirigenza juventina aveva deciso di riabilitare. Nell’occasione aveva intinto la penna nella sua accesa passione per il Toro, divinità che nel suo pantheon collocava accanto a Diego e a Fidel. Nella nostre chiacchierate sfogliavo con lui alcune pagine dell’enciclopedia Minà ed era un piacere straordinario sentirlo rievocare storie, vite, personaggi con quel sorriso da bravo ragazzo mentre gli occhi gli brillavano. Ogni tanto faceva cenno all’indifferenza della Rai: della sua azienda, del suo mondo che non era più il suo mondo. Gli faceva male ricordare il disinteresse quasi infastidito per le sue proposte, se e quando riusciva a superare il muro delle segreterie e del richiami domani. Era incredibile che in quell’agglomerato di mediocrità e servilismo non trovasse udienza un giornalista dalla fama planetaria. Che con i suoi scoop aveva ricoperto di gloria il servizio pubblico radiotelevisivo e dalla cui agendina si potevano ancora ricavare dieci speciali e cento interviste. Penso, perciò, che di certe celebrazioni sperticate e di tante finte lacrime da parte di chi, poi, lo aveva ignorato e mortificato Gianni Minà avrebbe fatto volentieri a meno.