Omicidio Bergamini. Donata al Corriere di Bologna: “Internò ha provato a reggere il mio sguardo, ma non ci è riuscita”

Denis Bergamini, la Pasqua triste della sorella Donata: «Lotto da 30 anni per sapere la verità sulla morte di mio fratello»
di Davide Soattin

Fonte: Corriere di Bologna
Donata ha appena testimoniato al processo. In aula ha guardato negli occhi Isabella Internò, unica imputata ed ex fidanzata del calciatore

«Continuo ad avere fiducia nella giustizia, ma non è una cambiale in bianco». Chiede verità e la chiede ormai da trent’anni, all’ombra di un’altra Pasqua all’insegna dei ricordi, Donata Bergamini, sorella di Denis, il calciatore del Cosenza morto a soli 27 anni in circostanze mai chiarite lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza. Nei giorni scorsi, la donna è stata sentita in tribunale come testimone nel processo per la morte del fratello, che vede come unica imputata Isabella Internò, ex compagna del giocatore. La speranza – come racconta lei stessa in questa intervista – è quella di arrivare presto a conoscere cosa accadde quel tragico giorno di fine novembre, aiutata anche dal proprio legale Fabio Anselmo, già avvocato delle famiglie di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi.

Quella della famiglia Bergamini è una battaglia che va avanti da oltre trent’anni. Riavvolgiamo il nastro al 18 novembre 1989. Quali sono i ricordi di quel giorno?

«Riavvolgere il nastro è impossibile. Si è fermato quella sera in cui venimmo informati della morte di Denis. Un fulmine a ciel sereno. Ci mettemmo subito in viaggio. Io non volevo crederci, soprattutto quando Guido, il mio ex marito, si decise a raccontarmi tutto ciò che aveva saputo. Non era stato un incidente ma un suicidio. Si era buttato sotto un camion e lo diceva Isabella Internò. Da Boccaleone a Roseto Capo Spulico la strada è lunga. Ore e ore di auto. Interminabili. Non credevo a nulla di ciò che ci era stato detto».

Inizialmente, come ha detto, vi riferirono che fu un suicidio.

«Denis suicida? Impossibile. Non era Denis. Si erano sbagliati. E poi che ci faceva Isabella Internò con lui così lontano dal ritiro della squadra per la partita dell’indomani? Si erano lasciati da tempo e lui non voleva più vederla. Si sentiva perseguitato da lei. “È come l’attak” diceva. Tutto questo era falso ed impossibile».

Quali pensieri le attraversarono la mente in quegli attimi?

«“Se davvero Denis è morto allora c’entra la Internò”. Questi erano i miei pensieri ancor prima di arrivare a Roseto. Mio fratello amava la vita. Era un calciatore molto promettente del Cosenza nell’anno della promozione in serie B. Lo cercavano anche squadre di serie A. Un ragazzo molto serio ed estremamente disciplinato che dava tutto per il calcio. Era bellissimo il mio Denis».

Che cosa vi fece pensare che Denis non si fosse tolto la vita da solo?

«Quando arrivammo i miei sospetti divennero certezze condivise dai miei genitori e da Guido. Mio fratello avrebbe lasciato la sua Maserati con a bordo la Internò in una grande piazzola a bordo strada, nel fango della terra bagnata dalla pioggia. Quel fango non veniva via dalle nostre scarpe imbrattate ma noi, l’auto, l’avevamo appena vista alla stazione dei carabinieri perfettamente pulita. Il corpo di Denis sarebbe stato travolto dal camion e trascinato sull’asfalto della strada provinciale per oltre sessanta metri. Ma l’orologio e altri suoi effetti personali erano intatti quando ci erano stati consegnati dai carabinieri. L’orologio funzionava perfettamente. Non solo…».

Prego, prosegua.. 

«Quando vedemmo il suo corpo all’ospedale di Trebisacce non ci saremmo mai aspettati di trovarlo intatto a parte lo schiacciamento della parte sinistra dell’addome. Sembrava dormisse. Volto, testa e gambe erano perfetti. E quello doveva essere un cadavere trascinato da un grosso camion per oltre sessanta metri? Ci stavano raccontando solo bugie su bugie. Ne fummo subito certi».

Dopo numerose vicissitudini giudiziarie, da fine ottobre 2021 va avanti il processo che vede come unica imputata Isabella Internò. Nei giorni scorsi è scesa in Calabria a testimoniare, quali sensazioni ha provato a rivederla in aula?

«Quando nei giorni scorsi sono scesa a Cosenza per testimoniare, mi sono trovata di fronte, sul banco degli imputati, Isabella Internò. L’ho guardata a lungo negli occhi. Vi ho visto dentro la verità. Ha provato a reggere il mio sguardo, ma non ci è riuscita».

A proposito di sguardi tra donne, in questi anni si è avvicinata molto a Ilaria Cucchi. Cosa vi accomuna?

«Ilaria è una sorella, come me, cui hanno prima ammazzato un fratello e poi hanno fatto di tutto per negarle giustizia. Si è ribellata come me a depistaggi e magistrati che non hanno saputo o voluto vedere la verità per lunghi anni. Con genitori, come i miei, duramente provati dalla lotta per avere dallo Stato ciò che sarebbe stato loro dovuto fin da subito. Siamo entrambe superstiti ma io non ho ancora terminato il mio ergastolo giudiziario a cui sono stata condannata».

Si è mai chiesta oggi chi sarebbe diventato Denis se quella sera a Roseto Capo Spulico non fosse morto?

«Mi manca tantissimo Denis. Lo vedo e lo sento con me. La sua vita si è fermata il 18 novembre 1989. È troppo doloroso pensare a tutto quello che di bello avrebbe potuto fare. Non riesco ad immaginare come potrebbe essere oggi. Una vita barbaramente spezzata e tolta agli affetti di una famiglia devastata. Solo io posso sapere che cosa abbiamo passato e stiamo passando. Trentaquattro anni di battaglie».

La speranza oggi è quella di arrivare al più presto a ottenere finalmente la verità. È fiduciosa?

«Continuo ad avere fiducia nella giustizia, ma non è una cambiale in bianco. La giustizia è fatta di uomini. Noi non siamo stati fortunati. Abbiamo dovuto sudare sangue per ventotto anni prima di trovare magistrati che si facessero carico delle nostre istanze più che legittime. Le indagini sono state riaperte su istanza del mio avvocato (il legale Fabio Anselmo, ndr) e oggi siamo qui. Non posso tuttavia non pensare a chi ci ha costretto a questo calvario giudiziario senza fine».